Mi auguro che questo breve scritto possa essere di Vostro interesse e possa contribuire al dibattito che si sta svolgendo da anni nel nostro Paese su questo delicato e spinoso tema.
Fabrizio Giulimondi
“Una serena – e breve – riflessione sui Patti Civili di Solidarietà( PA.C.S.)”
I PA.C.S. («Patti Civili di
Solidarietà»), è un istituto già presente in molti ordinamenti giuridici europei e, segnatamente:
in Danimarca dal 1989 è riconosciuta
l’unione civile fra omosessuali; in Norvegia dal 1993 è consentita la
registrazione delle unioni fra persone dello stesso sesso; in Svezia dal 1994
v’è tale riconoscimento, con l’aggiunta dal 2002 della possibilità di adottare
bambini, come in Islanda ove dal 1996
sussiste tale riconoscimento con diritto di adozione dal 2000, in Germania dal 2001 e dal 2004 l’adozione, mentre in Olanda già dal
2001 è stato previsto contestualmente il matrimonio vero e proprio fra
omosessuali oltre l’adozione di fanciulli, diritto non riconosciuto in Ungheria che, però,
ha consentito le unioni omosessuali sin
dal 1996; in Francia dal 1999 coppie dello stesso o diverso sesso
possono stipulare in Comune un contratto che conferisce loro gli stessi
diritti dei coniugi; in Finlandia dal 2001 all’unione civile fra coppie dello
stesso sesso sono stati assegnati parte dei diritti propri dei coniugi
eterosessuali de iure; nel Regno
Unito il civil partnership bill
approvato nel 2004 dalla Camera dei Lord ha attribuito alle unioni civile omosessuali gli stessi diritti delle coppie
sposate; in Lussemburgo nel 2004 è stata approvata la legge sul partenariato,
in forza della quale sono assegnate alle coppie omosessuali diritti molto
simili a quelle eterosessuali sposate; in Spagna il riconoscimento in questione
è arrivato nel giugno del 2005; in Svizzera, infine, esiste dal 2004 una legge
federale sulla unione domestica registrabile anche tra coppie omosessuali, normativa confermata nel
giugno 2004 da un referendum popolare.
Per PA.C.S. si suole intendere gli
accordi di natura civilistica stipulati innanzi al sindaco, al notaio o ad
altro pubblico ufficiale da parte di coppie eterosessuali od omosessuali,
conviventi a qualsiasi titolo anche da un breve lasso di tempo, al fine di
regolare alcuni aspetti del loro rapporto, segnatamente riconoscendo ai
componenti della «coppia» diritti soggettivi di natura patrimoniale e non,
similmente a quelli propri dei coniugi de
iure.
In primo luogo è opportuno dividere
le coppie di fatto in due categorie: quelle che non vogliono e quelle che non
possono sposarsi.
Delle prime, non solo è opportuno,
ma è doveroso che il diritto non si occupi: l’intenzione dei conviventi è
esplicita e chiara, sostanziandosi nella volontà di non legarsi giuridicamente.
Non si comprende, pertanto, la
ragione per la quale la legge dovrebbe far loro tale «violenza», creando un
legame, sia pure flebile, in forza della stipulazione dei labili PA.C.S.. La stessa
giurisprudenza della Corte Costituzionale ha ritenuto che la scelta fra il
matrimonio civile o religioso e la convivenza appartiene alla libera autonomia
decisionale della coppia e qualsiasi applicazione in via analogica di elementi
del rapporto di coniugio alla convivenza può risultare un vulnus a tale libera
scelta. A quanto detto si può però eccepire che alcune coppie escludono solo il
matrimonio «tradizionale», non altre tipologie di riconoscimenti giuridici.
Se viene richiesta la istituzione
dei PA.C.S. è proprio per consentire la fruizione di alcuni diritti — in genere
di natura economica — che sono attualmente goduti solamente dalle coppie
sposate. Ma la ragione per la quale tali diritti non sono riconosciuti ai
conviventi more uxorio è che essi non
hanno alcuna intenzione di assumere quei doveri a base dell’istituto
matrimoniale, doveri dettagliatamente individuati dal codice civile.
Non si può non definire parassitaria
l’intenzione di coloro che pretendono il riconoscimento pubblico della
convivenza per ottenere diritti senza ottemperare reciprocamente ad alcun
dovere. Si verrebbe a creare un particolare tipo di rapporto giuridico in cui
non vive l’ordinaria — e naturale — corrispettività fra diritti e doveri, ma la
mera esistenza di reciproci diritti. Fra l’altro una parte dei diritti a cui i
coniugi de facto aspirano come coppia possono essere ottenuti con il loro
esercizio individuale. Non vi è pertanto alcun motivo per introdurre nuovi
istituti nel tessuto connettivo ordinamentale giuscivilistico.
Il testamento è strumento adoperato
proprio per trasmettere parte del proprio patrimonio a chiunque, salvaguardando
ovviamente le categorie di familiari strettamente legate iure sanguinis al defunto, tassativamente individuate dalla
legislazione. Anche il contratto di donazione, unitamente alla costituzione del
vincolo nato dalle obbligazioni naturali, vive in seno al rapporto coniugale di
fatto. Il contratto di locazione della abitazione di comune residenza può
essere stipulato da entrambi i conviventi in modo tale che, in caso di decesso
di uno dei due, l’altro possa continuare ad abitare l’appartamento.
È di palmare evidenza che non sia
vera la negazione di specifici diritti civili ai soggetti conviventi. La
differenza rispetto al matrimonio «tradizionale» consiste nella attribuzione di
diritti ai coniugi sposati come «coppia», non quindi solamente uti singulus ma anche uti socius, mentre in caso di convivenza
i diritti possono essere attivati solamente uti
singulus, ossia esercitati unicamente dai singoli componenti la coppia di
fatto. Tale sistema di tutele è coerente con una comunità di vita priva di
doveri vincolanti la coppia.
Passando a trattare delle coppie che
non possono sposarsi, è opportuno precisare che esse possono essere suddivise
in due sotto-categorie.
La prima è composta da coloro che
non possono sposarsi per impedimenti transitori di ordine legale, come la
minore età o l’attesa della sentenza di divorzio. Per queste coppie l’offerta
dei PA.C.S. risulta essere senza senso. Gli ostacoli giuridici che impediscono
il matrimonio impediscono necessariamente anche la stipula dei PA.C.S..
La seconda sotto-categoria consiste
nelle coppie che desidererebbero sposarsi, ma, per ragioni primariamente di
natura economica, rinviano lo svolgimento delle nozze. I PA.C.S. non risolvono
certamente i loro problemi. Queste coppie non vogliono un «piccolo matrimonio»,
un «matrimonio allo stato fetale», «un matrimonio di serie B», bensì contrarre
un matrimonio vero: lo Stato ha il dovere di fornire tutti quegli aiuti
economico-sociali, previsti anche dalla nostra Costituzione, atti a superare
gli ostacoli che impediscono di contrarre il matrimonio.
Cosa resta delle istanze sociali
alla base del riconoscimento dei PA.C.S.? Sembrerebbe nulla. A meno che dietro
i PA.C.S. non si celi l’intento di conferire dignità giuridica al matrimonio
fra omosessuali, nella sua versione embrionale nella nostra compagine
giuridica, legislativa e sociale. Mi permetto solo di ricordare alcune
disposizioni di rilievo costituzionale e internazionale che si frappongono con
forza a tale animus. L’art. 29 della nostra Carta parla di famiglia e, per
interpretazione giurisprudenziale cementificatasi nei decenni, vi è famiglia
solo fra un uomo e una donna che, in quanto appartenenti a sessi diversi, sono
in grado potenzialmente di procreare e costituire, quindi, un nucleo familiare
formato da padre, madre e figli. Sulla stessa lunghezza d’onda sono: l’art. 16
della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948; l’art. 12 della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950, fatta propria
dall’ordinamento italiano nel 1955; e, infine, l’art. 23 dei Patti Internazionali
dei Diritti Civili e Politici del 1966.
Alla ontologica sterilità delle
coppie omosessuali si vorrebbe far fronte riconoscendo anche a loro l’istituto
della adozione. Pare che le consolidate argomentazioni scientifiche provenienti
dagli psicologi della età evolutiva che
affermano la assoluta necessità della presenza di genitori di sesso diverso per
una corretta e sana crescita del bambino non scalfiscano le granitiche
convinzioni degli «ideatori dei PA.C.S.». Solamente il padre (uomo) e la madre
(donna), essendo portatori di una sensibilità, di esperienze e di una fisicità
diverse ma nello stesso tempo straordinariamente complementari, sono in grado
in maniera unica ed irripetibile di arricchire il patrimonio della personalità,
della psiche e del carattere del figlio nella delicatissima fase della
crescita. Non posso che condividere in pieno quanto affermato dal prof.
Francesco D’Agostino, Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani:
«Siamo tutti testimoni che si è aperta una partita decisiva… che ha per oggetto
la famiglia e attraverso la famiglia la stessa identità umana. La famiglia
chiede di essere difesa: ma per difenderla non c’è bisogno di argomenti
teologici o religiosi; bastano comuni argomenti umani, perché ciò che la famiglia
tutela e promuove è innanzitutto il bene umano».
Prof. Fabrizio Giulimondi
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