Duro,
implacabile, impietoso, “Disconnect “di Henry Alex Rubin si muove al ritmo di riprese nevrotiche e
schizoidi e dei brani ansiogeni tecno e rap di Max Richter.
Tre
storie di nuclei familiari “senza famiglia”, senza affetti e senza legami, che
vengono gettate nel frullatore del web e delle chat, ove pornografia minorile e
scherzi informatici, coloriti di noia e di abissale superficialità, si trasformano spasmodicamente in crimini e,
fatalmente, in tragedia.
Ogni
minuto di proiezione è un pugno allo stomaco e, soltanto allo scader del the end di un film che
consiglio-sconsiglio ai ragazzi al di sotto dei quattordici anni, i tre drammi che esplodono contemporaneamente
davanti agli occhi dello spettatore, sono trapassati da un baluginio di speranza, che ha il gusto di sentimenti veri, ritrovati, riscoperti e che sa di un abbraccio dato da una sorella al fratello in coma, dopo aver
tentato di darsi la morte.
Fabrizio Giulimondi
Nessun commento:
Posta un commento