lunedì 20 gennaio 2014

"THE BUTLER - UN MAGGIORDOMO ALLA CASA BIANCA" DI LEE DANIELS

Magnificente e coinvolgente affresco che attraversa una porzione importante della  storia americana,  “The Butler – un maggiordomo alla Casa Bianca”, di Lee Daniels,  racconta la storia di Cecil Gaines e della sua famiglia e, per il suo tramite, della segregazione razziale e della lotta dei diritti civili negli U.S.A. dagli anni ’50 ad oggi.
Cecil, schiavo in un campo di cotone,  vede ammazzare il padre dal “padrone”, reo di un brutale stupro ai danni  della madre.
Di lì fuggirà per non essere ammazzato a sua volta e la vita lo condurrà ad essere un bravo “negro di casa”, ossia un maggiordomo,  che finirà a servizio, grazie alle proprie capacità,  alla White House.
Sullo sfondo appaiono, con tinte sfumate, i Presidenti degli Stati Uniti che Cecil servirà per venti anni: Dwight David Eisenhower (1953 – 1961); John Fitzgerald Kennedy  (1961 – 1963); Lyndon Baynes Johnson (1963 – 1969); Richard Nixon (1969 – 1974); Gerald Rudolph Ford (1974 – 1977); James Earl Carter (1977 – 1980); Ronald Wilson Reagan (1980 – 1988).
Ogni volto presidenziale narra un episodio  della lotta per l’affermazione della eguaglianza fra popolazione nera e quella bianca.
Il racconto degli orrori che i nigger hanno subito per anni lascia sgomenti e, seppur a pennellate, vengono ripercorsi i momenti salienti delle grandi battaglie e rivolte condotte  da Malcom X, Martin Luther King ed  altri grandi  leader afro-americani. Terribili le scene degli allenamenti a cui sono sottoposti i ragazzi neri per imparare a  resistere agli insulti e alle percosse,  per essere pronti ad  intraprendere azioni gandhiane alla conquista defli  spazi nei ristoranti destinati ai wasp.
Cecil (interpretato da Forest  Whitaker,  Premio Oscar nel 2007 come miglior attore in  L’ultimo re di Scozia), ha una moglie (la cui attrice è Oprah Winfrey,  famosa conduttrice per molti anni di seguitissimi talk show statunitensi) e due figli, che incarnano il diverso e violentemente contrapposto pensiero americano a cavallo fra gli anni sessanta e settanta: i nemici del sistema il primogenito, combattente non violento, per poi indossare il basco nero delle black panthers;   il patriottismo il più giovane, che morirà in  Vietnam. Due visioni alternative, radicalmente alternative, furiosamente alternative, che si unificheranno nell’amore fraterno e filiale.
La morte dell’uno sarà devastante anche per i rapporti fra Cecil e il figlio rimasto in vita che, dismessa la divisa delle pantere nere,  indossa i panni di un coraggioso e fattivo membro del Congresso.
Sarà la lotta per la liberazione di Mandela e per l’abolizione dell’apartheid in Sudafrica  a far riabbracciare  padre e figlio,  in un finale il cui sottofondo regalerà allo spettatore il sonoro originale  di  frasi fatidiche declamate da Presidenti favorevoli ai   rights of black people.
Yes, we can” di obamiana memoria echeggerà nel buio della sala, venuta via l’ultima immagine.
I brani musicali  gospel, blues, folk e country dei grandi singers di colore sono la splendida colonna sonora di un film che meritava, senza ombra di dubbio, almeno qualche nomination.
Stralci di cinegiornali del tempo e il richiami  in salsa  ideologica a pellicole come La calda notte dell’Ispettore Tibbs e Indovina chi viene a cena,  con un Sidney Poitier visto come uno Zio Tom, sono il tocco di classe finale.

Fabrizio Giulimondi



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