La cena di Natale di «Io che amo solo te» Continuano
le avventure amorose – fintamente nascoste agli occhi degli altri – di don Mimì
e di Ninella, condite con le buffe vicende delle relative famiglie, raccontate in
maniera accattivante da Luca Bianchini in
“La cena di Natale” (Mondadori), secondo tempo del romanzo “Io che amo solo te”.
Luca
Bianchini sta alla Puglia come Carmine Abate sta alla Calabria e, il set scelto da entrambi della cena della
Vigilia, potrebbe accumunare “La festa
del ritorno” (fra i finalisti del Premio Campiello 2004) al libro in commento,
anche se la poesia, la melodicità e la
grazia di Abate, prevalgono senza incertezze sulla leggera comicità ed ironia
di Luca Bianchini.
In “Io
che amo solo te” avevamo lasciato sposi Chiara e Damiano. Adesso troviamo lei
incinta e il marito alle prese con qualche problema conseguenziale alle corna
messe sul capo della sposa, mentre la signora Matilde (la first lady), moglie di don Mimì, è alle fibrillanti prese con i
preparativi dei festeggiamenti del Natale alla
barese (ossia anche la sera del 24 dicembre), per mostrare a tutti il prezioso dono ricevuto dal fedifrago consorte.
Graziosa,
ilare, nel solco della tradizionale commedia
italiana, la storia è liscia come l’olio, lo stile semplice e il libro si fa
leggere in un solo boccone.
Vi
ripropongo la recensione (già pubblica in questa Rubrica) di “Io che amo solo
te”, perché credo ben inquadri i personaggi e i contorni della narrazione.
Buona
lettura!
Fabrizio Giulimondi
Indubbiamente un libro gradevole, molto
scorrevole e assolutamente adatto alla stagione
estiva è l’ultima fatica letteraria di Luca Bianchini “Io che amo solo te”
(Mondadori), titolo tratto dalla omonima canzone di Sergio Endrigo e che ne fa
da colonna sonora.
Il romanzo in molti suoi passaggi e
personaggi ricorda opere cinematografiche e teatrali che, a mio sommesso
avviso, l’Autore aveva ben presente durante la stesura del libro.
Don Mimì, una delle figure principali della
narrazione, rimanda nella sua descrizione fisica e, specialmente, in quella dei
baffi, Pasqualino Settebellezze, interpretato da Giancarlo
Giannini nel famoso film di Lina Wertmuller, ma anche in qualche suo aspetto
caratteriale il Don Mimì della
grandiosa commedia di Eduardo de Filippo Filumena Marturano.
La tragi-comica personalità di Orlando, omosessuale,
rimanda la mente alle storie raccontate in Manuale d’Amore 2 (di Giovanni Veronesi) da Sergio
Rubini e Antonio Albanese e, in maniera meno leggera e più sofferta, in Mine
Vaganti (di Ferzan
Ozpetek) da Riccardo Scamarcio e Alessandro Preziosi.
Al pari di queste due pellicole, il racconto
è ambientato nell’entroterra pugliese, in cittadine di cui lo Scrittore esalta
il provincialismo e i dettagli piccolo-borghesi, facendoli diventare motivo di
ironia, strappando più di qualche sorriso al divertito lettore.
La trama si snoda intorno ai preparativi del
matrimonio fra Chiara e Damiano, sino al giorno delle nozze e alle ore che si
snoderanno successivamente.
Come tutte le commedie all’italiana che si
rispettano, dietro l’organizzazione dell’evento e parallelamente alla storia
ufficiale di ogni singolo personaggio, esiste
un altro racconto, ad una vicenda se ne cela un’altra, una vicissitudine ne
svela un’altra.
Chiara è figlia della vedova Ninella (umile
sarta) e sorella di Nancy, diciassettenne che ha come obiettivo primario
imminente la perdita della verginità (regolarmente con l’idiota di turno Tony).
Damiano, figlio della ricca famiglia Scagliusi, re delle patate locali, balbuziente
quanto basta per creare delle simpatiche
gheg, si sposa perché così va fatto e perché ad un certo punto un uomo si deve
sistemare. E’ così che gli ha insegnato Don Mimì, il padre, sposato con
Matilde, donna che ce l’ha sempre con il mondo interno.
Orlando - altro figlio di Matilde e don Mimì e fratello di Damiano - si fa
usare senza ritegno da un altro uomo (l’innominato),
latore delle stesse
tendenze - ma sposato e con
prole - che si presenterà
al matrimonio, determinando una vis comica simile alla migliore tradizione latina
di Terenzio e Plauto, rafforzata dalla pantomima di Orlando di fingersi eterosessuale portandosi in
Chiesa, a mò di fidanzata, Daniela,
che in realtà è lesbica e convive con un’altra donna.
La verità è che i consuoceri si amano da
quando erano ventenni. Don Mimì ha dovuto sposare Matilde e non Ninnella a
causa del fratello di quest’ultima, zio Franco, al tempo arrestato per essere
implicato in un affare di contrabbando.
Ninella e don Mimì non hanno mai spesso di
amarsi e solo a messa, al momento della comunione, possono lanciarsi uno
sguardo furtivo: al taglio della torta, finalmente, potranno concedersi un
romantico e struggente ballo.
Chiara e Damiano si sono sposati al posto
loro.
Interessanti anche i personaggi secondari, la
cui raffigurazione non può non far balenare ad ognuno di noi il ricordo di
parenti lontani che hanno passato il
tempo a spettegolare, a mettere bocca su tutto, ad impicciarsi di ogni piccola
cosa che riguardasse gli altri, che conoscevano sempre la cosa migliore da fare
e, al momento del pranzo nuziale, davano il meglio di se stessi: “ci voleva un po’ più…ci voleva un po’ meno…..”.
Cosimo (cugino di Damiano), Mariangela
(cugina di Chiara) e, soprattutto, la zia Dora, moglie di Zio Donato, fratello
del defunto marito di Ninella, incarnano mirabilmente tutto questo.
Non posso non spendere una ultima parola sui saggi consigli
forniti da Ninella alla figlia Chiara
alle soglie del “grande passo”, di cui uno, credo, possa risultare - qualora seguito - particolarmente efficace: “Nel dubbio fatti i cazzi tuoi!”
Fabrizio Giulimondi
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