V’è
una storia di serie A e una storia di serie B. Quest’ultima non sempre è
affrontata con i dovuti mezzi storiografici e rigore scientifico. Quando gli
studi della contemporaneità sono affasciati a quelli della vita delle persone, sconosciute
e vaporizzate nelle masse travolte dall’azione disgregatrice dei grandi eventi,
o appartenenti al gotha dell’inteligentia,
la ricerca e i risultati che ne conseguono si manifestano estremamente
stimolanti per le menti degli amanti del genere.
I Paesi
baltici (Lettonia, Estonia e Lituania) hanno conosciuto epopee di bellezza e di
martirio, di pacifica convivenza e di stragi, oppressioni, deportazioni e sangue.
Il
giornalista, scrittore e viaggatore olandese Jan Brokken in “Anime
baltiche” (Iperborea) trasfonde
nel suo lungo saggio questo sforzo di parlare di fatti del passato tramite l’intimità
di donne e uomini, le cui memorie vengono estratte dalle miniere dell’oblio e portate
alla luce nell’esatto istante in cui il lettore ne scruta le esistenze e le
devastazioni.
Un
viaggio vero e un viaggio metaforico lungo lo zarismo, lo stalinismo, il
nazismo e di nuovo il comunismo che hanno dominato le tre Repubbliche, sino
alla agognata indipendenza nata nel 1991 sulle ceneri dell’impero sovietico.
Il leitmotiv della narrazione è lastricato
di lettere struggenti e molteplici e puntuali riferimenti geografici,
cronologici e fotografici, seppur con qualche sbavatura (la Finlandia non è affatto
entrata a far parte della Unione Sovietica dopo il patto Molotov-Ribbentrop del 23
agosto 1939).
La musica, la letteratura, la
scultura, la pittura e l’architettura sono inscindibilmente attratte alle
vicende legate alle imprese belliche, alla politica, alle tirannidi ed agli orrori
marchiati dalla “Falce e Martello” o dalla “Svastica”.
L’arte ispirata dalle tragedie del
Secolo Breve. L’arte che coraggiosamente si oppone alle dittature imperanti. L’arte
che descrive la follia da cui è circondata.
Arte e Storia. Storia e Arte.
Estoni, lituani e lettoni che
conducevano la stessa nostra vita e che si sono visti proiettati dentro un vertiginoso
buco nero.
Sì “Anime baltiche” è un
viaggio: un viaggio vero, un viaggio metaforico, un viaggio metafisico, un
viaggio di milioni di persone per decine di migliaia di chilometri fra la
Russia, la Polonia, la Germania sino ai confini dell’Europa.
Brokken
nel suo lavoro, a tratti algido, a tratti appassionato, segue meticolosamente
come stella polare le parole di Czeslaw Milosz: “Cosa strana: la nostra è un’epoca in cui si parla tanto di storia. Ma
se fossimo capaci di ravvivarla con qualcosa di personale, la storia rimarrebbe
sempre più o meno astratta, piena di scontri di forze anonime e di schemi. La
generalizzazione, indispensabile per una visione di insieme di un materiale
immenso e caotico, uccide però i particolari, che sfuggono per definizione alle
semplificazioni schematiche”.
Il corposo studio gravita proprio
intorno ai particolari: gli accadimenti per l’Autore nederlandese non sono altro
che un insieme concatenato e inscindibile di particolari che, nel fornire corporeità
a dimensioni storiche composte da esseri umani in carne ed ossa, soverchiano la
storiografia ufficiale costituite da un sistema di date, luoghi e nomi roboanti.
La storia per Brokken è una
costellazione silenziosa e sofferente di tante Lotti: “‘Sono nel letto di qualcun altro’, si diceva ‘sotto le lenzuola di
qualcun altro. Proprio come adesso, nel mio letto di Nõmme o nella mia
cameretta in mansarda a Mõisamaa, è sdraiato qualcuno che non conosco’. Sul
cuscino le sembrava di sentire ancora l’odore di chi ci aveva dormito prima di
lei”.
Fabrizio Giulimondi
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