martedì 8 agosto 2017

NORMATIVA IN MATERIA DI TRASPARENZA E DI PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE



La madre di tutte le attuali leggi sulla prevenzione della corruzione, quanto meno all’interno dello spazio economico europeo, è stato il Bribery Act 2010 - Guidance about procedures which relevant commercial organisations can put into place to prevent persons associated with them from bribing”, mediante il quale il Ministero della Giustizia inglese intese disciplinare tanto la corruzione nell’ambito della Pubblica Amministrazione quanto la corruzione tra privati. Esso ha costituito la base su cui verrà edificata negli anni successivi la normativa di settore.
Oltre a prevedere varie fattispecie di reato in relazione ai molteplici fenomeni corruttivi - corruzione passiva verso soggetti pubblici o privati, corruzione di un pubblico funzionario straniero, mancata prevenzione della corruzione da parte della società - il “Bribery Act” ha introdotto nell’ordinamento inglese la responsabilità penale dell’impresa per i reati di corruzione commessi da quei soggetti che operino in nome e per conto della medesima. Tale responsabilità è perseguibile ogni qual volta l’azienda non sia dotata di “Modelli Organizzativi” interni, volti a prevenire tali atti. Per individuare siffatti protocolli, il Ministero della Giustizia inglese pubblicò, nel marzo 2011, una guida sulle procedure che le aziende potevano mettere in atto per impedire alle persone ad esse associate di compiere atti di corruzione. Il documento, ideato per essere una linea guida generale, conteneva sei principi, ognuno dei quali presentava anche commenti ed esempi, ma non considerati come self executing, ossia immediatamente applicabili alle varie fattispecie elencate, ma applicabili caso per caso, cum grano salis, esclusivamente dal giudice e in sede dibattimentale.
La legge britannica ridefinì, dunque, il concetto di corruzione e lo fece recependo la convenzione internazionale OCSE sugli illeciti pagamenti a funzionari stranieri, contemplando il “bribery come la concessione di un vantaggio ad un altro soggetto affinché quest’ultimo abbia un comportamento “inappropriato” (improper)”: la principale differenza rispetto alla normativa italiana - fino all’emanazione del d. lgs. 38 del 2017 in attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato - era che in Gran Bretagna si commetteva bribery non solo quando il soggetto corrotto fosse pubblico ma anche quando esso fosse privato.
La Gran Bretagna introdusse il reato di corruzione privata in adempimento alla Decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio UE che chiedeva agli Stati membri di introdurre nei propri ordinamenti la fattispecie di corruzione nel settore privato entro il termine del 22 luglio 2005. Limite temporale che l’Italia fece decorrere infruttuosamente.
Con la legge n.34 del 2008, agli artt. 28 e 29, fu delegato il Governo a dare attuazione alla suddetta Decisione quadro entro il 21 marzo 2009. La delega al Governo previde l’introduzione di una nuova fattispecie di reato societario relativa agli atti distorsivi della concorrenza, nonché la conseguente estensione della responsabilità amministrativa degli Enti (riperdendo quando in parte stabilito nel d. lgs. 231 del 2001). Purtroppo, però, anche tale termine decorse inutilmente.
Peraltro, la Commissione Europea, con la Relazione al Parlamento Europeo e al Consiglio (del 6 giugno 2011), segnalò numerose inefficienze a carico di alcuni Stati Membri - tra i quali l’Italia - che non avevano dato completo recepimento alla decisione quadro sulla corruzione privata. Dal canto suo, il Parlamento Europeo, con una Risoluzione approvata a larga maggioranza il 15 settembre 2011, ha chiesto alla Commissione di intensificare la lotta alla corruzione, sottolineando non solo l’importanza di contrastare il fenomeno in modo serio, ma auspicando anche una “maggiore trasparenza delle operazioni finanziarie, specie quelle che interessano le cosiddette giurisdizioni offshore all’interno della UE e nel resto del mondo”. Inoltre, il 14 marzo 2012, il Parlamento di Strasburgo istituì la prima commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio.
Nell’ambito del più ampio programma inteso a proteggere l'economia legale europea, in linea con quanto stabilito nella strategia per la sicurezza interna, la Commissione europea ha adottato, nel giugno 2011, il pacchetto anticorruzione, composto da:
         una comunicazione sulla lotta alla corruzione nell'UE, che delineava gli obiettivi e gli aspetti pratici della relazione anticorruzione, pubblicata con cadenza biennale a partire dal 2013, basandosi sui meccanismi di monitoraggio esistenti (del Consiglio d'Europa, dell'OCSE e delle Nazioni Unite), nonché sul parere di esperti indipendenti, delle parti interessate e della società civile;
         una decisione della Commissione che stabilisce il meccanismo di relazione anticorruzione dell'Unione europea ed istituisce un gruppo di esperti in materia;
         una relazione sull'attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;
         una relazione sulle modalità di partecipazione dell'Unione europea in seno al Gruppo di Stati del Consiglio d'Europa contro la corruzione (GRECO).

A ciò ha fatto seguito, nel febbraio 2014, la pubblicazione, da parte della Commissione europea, della prima relazione sulla lotta alla corruzione nell'Unione europea, che esaminava il fenomeno della corruzione nei 28 (oggi 27) Stati membri ed illustrava le misure anticorruzione esistenti, la loro efficacia ed alcune principali tendenze, tra le quali:
         il forte divario tra gli Stati membri in merito all’attuazione di efficaci politiche preventive (ad esempio, norme etiche, misure di sensibilizzazione, accesso facile alle informazioni di pubblico interesse);
         il mancato coordinamento, in molti Stati membri, dei controlli interni delle procedure in seno alle autorità pubbliche (in particolare a livello locale);
         le diverse disposizioni sui conflitti d’interesse all’interno dell’UE, i meccanismi spesso insufficienti intesi a controllare le dichiarazioni di conflitto di interesse e la non efficace applicazione delle sanzioni per violazione;
         il recepimento disomogeneo negli Stati membri della decisione quadro 2003/568/GAI relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;
         i diversi risultati dell'azione delle forze dell'ordine e della magistratura nelle indagini sui casi di corruzione nei vari Paesi;
         la maggiore vulnerabilità dei settori dello sviluppo urbano, dell’edilizia e dell’assistenza sanitaria, nonché di quello relativo agli appalti pubblici, per i quali la Commissione invita a rafforzare le regole di integrità e suggerisce miglioramenti nei meccanismi di controllo;
         le lacune per quanto concerne la vigilanza sulle imprese pubbliche e la loro conseguente vulnerabilità alla corruzione.

Nell’allegato sull’Italia, veniva messo in evidenza che l’adozione - per quanto tardiva -  della legge anticorruzione n. 190 del 2012 rafforzava le politiche di prevenzione mirate a responsabilizzare i pubblici ufficiali e la classe politica ed a bilanciare l’onere della lotta al fenomeno, che ricadeva quasi esclusivamente sulle forze dell’ordine e sulla magistratura. La Commissione consigliava anche di estendere i poteri e di sviluppare la capacità dell’autorità nazionale anticorruzione in modo che potesse reggere saldamente le redini del coordinamento, garantire maggiore trasparenza degli appalti pubblici ed adoperarsi ulteriormente per colmare le lacune della lotta anticorruzione nel settore privato. Inoltre, nell’applicazione della legge anticorruzione, che prevedeva l’adozione di un piano nazionale triennale ed obbligava tutti gli organi amministrativi ad adottare strategie d’azione in materia, la Commissione rilevava che anche le Camere di Commercio avrebbero dovuto predisporre piani pluriennali di prevenzione della corruzione.

La legge n. 190 del 2012 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”, in attuazione delle Convenzioni internazionali contro la corruzione (legge n. 116 del 2009 e legge n. 110 del 2012) ha definito i compiti dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e degli altri organi competenti a coordinare le misure di prevenzione e contrasto dell’illegalità e della corruzione in Italia.
Gli aspetti più rilevanti della legge n. 190, e degli altri provvedimenti che ne sono il naturale completamento - il Decreto legislativo n. 33 del 2013 (riguardante gli obblighi di pubblicità e trasparenza), il Decreto legislativo n. 39 del 2013 (sul regime delle inconferibilità e incompatibilità degli incarichi presso le pubbliche amministrazioni), il Decreto legislativo n. 235 del 2012 (disciplina delle incandidabilità), il D.p.r. n. 62 del 2013 (concernente le regole di condotta dei pubblici dipendenti) ed il Decreto legislativo n. 150 del 2009 (sul ciclo delle performance) - sono i seguenti:
1)   Le competenze dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. Le funzioni dell’Autorità, in seguito anche al decreto legge n. 90 del 2014 e alla legge n. 229 del 2016 possono essere così riassunte:
·        collaborazione con gli organismi analoghi che operano a livello internazionale;
·        definizione del Piano nazionale anticorruzione e vigilanza sull’attuazione della legge da parte delle pubbliche amministrazioni;
·        analisi dei fenomeni di corruzione e presentazione di misure per contrastarli, anche attraverso una relazione annuale alle Camere;
·        pareri consultivi sulle autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi
·        alta sorveglianza sulla realizzazione delle opere dell’EXPO 2015 e su alcune tipologie di varianti consentite dal Codice dei contratti pubblici. In seguito alla decisione del Consiglio dei ministri del 27 agosto 2015, i poteri di alta sorveglianza di cui all’art. 30 del decreto legge n. 90 sono stati estesi anche al Piano degli interventi straordinaria da adottare in occasione del Giubileo.
·        alta sorveglianza sulla realizzazione degli interventi di ricostruzione delle aree colpite dagli eventi sismici del 2016.
2)   I Piani anticorruzione. La legge ha previsto una complessa attività di pianificazione e controllo, che coinvolge tutti i diversi livelli di governo e che ha come elemento essenziale il Piano nazionale anticorruzione, cui le singole amministrazioni devono uniformarsi, approvando i relativi piani triennali di prevenzione della corruzione. I piani devono individuare le attività a maggior rischio corruzione e gli interventi di formazione e controllo utili a prevenire tale fenomeno. La legge ha previsto, inoltre, la nomina per ciascun ente di un responsabile delle attività di prevenzione, forme di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti,
3)   Gli obblighi di trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Il Decreto legislativo n. 33 del 2013 “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” è volto ad assicurare l’accesso da parte del cittadino alle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni.
4)   La disciplina sugli incarichi presso le pubbliche amministrazioni. Il Decreto legislativo n. 39 del 2013 “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico”, ha riguardato il conferimento degli incarichi presso le pubbliche amministrazioni e gli enti di diritto privato in controllo pubblico, al fine di evitare interferenze o commistioni tra politica e amministrazione e situazioni di conflitto di interesse. La legge detta la disciplina su:
·        inconferibilità, che comporta la preclusione, permanente o temporanea, a conferire incarichi a coloro che sono stati condannati per reati contro la pubblica amministrazione, oppure provengano da enti di diritto privato regolati o finanziati, ovvero siano stati componenti di organi politici di livello nazionale, regionale e locale; la preclusione si applica anche per gli incarichi di direzione delle aziende sanitarie locali;
·        incompatibilità, che determina l’obbligo, per il soggetto interessato, di scegliere quale incarico mantenere in caso di altra carica di vertice in un’amministrazione pubblica ovvero in enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico o finanziati.
5)   La normativa in materia di incandidabilità. Il decreto legislativo n. 235 del 2012 “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo” ha individuato le fattispecie che precludono la candidabilità alle cariche di parlamentare, di componente del Governo e di rappresentante nei consigli regionali e negli enti locali.
6)   Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Il D.P.R. n. 62 del 2013 “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici” ha stabilito le regole cui i dipendenti delle pubbliche amministrazioni devono conformarsi al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri di diligenza, lealtà, imparzialità.
7)   Il ciclo delle performance. Il decreto legislativo n. 150 del 2009 in materia di “Ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni” ha dettato una riforma della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, al fine di assicurare una migliore organizzazione del lavoro, più elevati standard di qualità e di efficienza e maggiore trasparenza. Nel Piano delle performance (da realizzare in stretto collegamento con il Piano Anti corruzione ed il Programma della Trasparenza) devono essere precisati gli obiettivi strategici ed operativi scelti da ciascuna amministrazione.
8) Il whistleblower. La legge n. 190 del 2012 ha previsto che il pubblico dipendente che denuncia condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria. A tal fine è garantita la riservatezza di tali segnalazioni (art. 54 bis).

D. lgs. n.97 del 2016
Il Decreto legislativo 25 maggio 2016 n. 97, entrato in vigore il 23 giugno 2016 in materia di “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza” (“Decreto Madia”), e che costituisce il primo degli undici decreti attuativi della delega di cui all’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (“Legge Madia”), ha apportato alcune modifiche ai primi 14commi della legge 6 novembre 2012 n. 190 (“legge Severino”) e al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (“Decreto Trasparenza”).
In particolare, il Decreto Madia persegue i seguenti obiettivi:
·        ridefinire l’ambito di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza;
·        prevedere misure organizzative per la pubblicazione di alcune informazioni e per la concentrazione e la riduzione degli oneri gravanti in capo alle PA;
·        razionalizzare e precisare gli obblighi di pubblicazione;
·        individuare i soggetti competenti all’irrogazione delle sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza.
Il Capo I del Decreto Madia apporta significative modifiche al Decreto Trasparenza

Ambito di applicazione soggettivo
L’art. 3, secondo comma, del Decreto Madia che la disciplina in materia di trasparenza si applichi, oltre che alle PA e agli atri soggetti già previsti nella previgente disciplina, anche ad ulteriori categorie di soggetti, e specificamente:
      agli enti pubblici economici e agli ordini professionali;
      alle società in controllo pubblico ad eccezione delle società quotate; dunque, a differenza della disciplina previgente, alle società controllate da PA ex art. 2359 c.c., si applica il Decreto Trasparenza, per qualsiasi tipo di attività e non più solo per quelle di pubblico interesse;
      alle società a partecipazione pubblica non maggioritaria, limitatamente ai dati e documenti inerenti all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’UE; in precedenza, invece, tali società erano soggette solo ai commi 15-33 della legge Severino;
      alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a 500.000 euro, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario, per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio, da PA e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata da PA.
Ambito di applicazione oggettivo
Il Decreto Madia espressamente stabilito che, al fine di tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa, debba essere garantita l’accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle PA, dunque non limitando l’accessibilità alle sole “informazioni relative all’organizzazione e all’attività delle PA”.

Accesso civico
Il Decreto Madia conferma l’impostazione dell’art. 5 del Decreto Trasparenza e garantisce a chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, di poter accedere ai documenti della PA, fatto salvo il rispetto di alcuni limiti, introdotti nel Decreto Trasparenza e previsti all’articolo 5 bis, a tutela di interessi pubblici o privati di particolare rilevanza. In altri termini la disciplina dell’accesso civico dettata dal Decreto Trasparenza si differenzia dalla legge 241/90 in materia di accesso ai documenti informativi, perché, nella prima ipotesi, la richiesta di accesso non richiede alcuna qualificazione e motivazione, per cui il richiedente non deve dimostrare di essere “titolare di un interesse diretto, concreto, e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, così come invece stabilito per l’accesso ai sensi della legge sul procedimento amministrativo.
Il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, con la comunicazione al richiedente ed ai controinteressati. Nei casi di diniego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta entro il suindicato termine, il richiedente può presentare richiesta di riesame al Responsabile della Prevenzione della corruzione e trasparenza (“RPCC”), che deve decidere nel termine di 20 giorni. Avverso la decisione della PA competente o in caso di richiesta di riesame avverso la decisione del RPCC, il richiedente può proporre ricorso al TAR.

Nuovi compiti dell’ANAC
Tra le modifiche il Decreto Madia prevede anche l’introduzione di nuove funzioni per l’Autorità Nazionale Anti Corruzione; in particolare, essa:
      può identificare i dati, le informazioni e i documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria, per i quali la pubblicazione in forma integrale è sostituita con quella di informazioni riassuntive, elaborate per aggregazione;
      può, con il Piano Nazionale Anticorruzione, precisare modalità semplificate per adempiere agli obblighi per i comuni con popolazione inferire a 15.0000 abitanti e per gli organi e collegi professionali;
      può adottare gli standard, modelli e schemi per garantire in concreto l’attuazione degli obblighi di pubblicità.

Obblighi di pubblicazione
Il Decreto Madia specifica inoltre la disciplina relativa agli obblighi di pubblicazione e prevede:
      obblighi di pubblicazione in capo a ciascuna PA, nell’apposita sezione “Amministrazione Trasparente” del proprio sito istituzionale dei dati sui propri pagamenti, con particolare riferimento alla tipologia di spesa sostenuta, all’ambito temporale di riferimento, ai beneficiari, del Piano triennale di prevenzione della corruzione, con l’indicazione dei responsabili per la trasmissione e la pubblicazione dei Documenti, e delle misure integrative della corruzione ex art. 1. Comma 2 bis della Legge Severino;
      la possibilità di assolvere agli obblighi di pubblicazione delle banche dati mediante “rinvio”, attraverso l’indicazione sul sito, nella sezione “Amministrazione trasparente”, del collegamento ipertestuale alle stesse banche dati;
      l’obbligo di indicare, sia in modo aggregato che analitico, negli atti di conferimento di incarichi dirigenziali e nei relativi contratti, gli obiettivi di trasparenza, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale; il mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi determina responsabilità dirigenziale.


Responsabilità dirigenziale e sanzioni
Il Decreto Madia prevede specifiche ipotesi di responsabilità dirigenziale nei casi in cui siano violate le norme sulla trasparenza appena descritte e, nello specifico, quelle attinenti all’accesso civico e agli obblighi di pubblicazione, stabilendo che:
      il differimento e la limitazione dell’accesso civico sono idonei a dar luogo a responsabilità dirigenziale e responsabilità per danno all’immagine della PA;
      il potere di irrogare le relative sanzioni spetta all’ANAC e non più alla autorità amministrativa competente in base a quanto previsto dalla legge 689/1981; 
      costituisce ipotesi di responsabilità in capo al dirigente la mancata effettuazione della comunicazione relativa agli emolumenti a carico della finanza pubblica e la mancata pubblicazione dei dati.

Fabrizio Giulimondi


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