La madre di tutte le attuali leggi sulla prevenzione della corruzione,
quanto meno all’interno dello spazio economico europeo, è stato il “Bribery Act 2010 - Guidance about
procedures which relevant commercial organisations can put into place to
prevent persons associated with them from bribing”, mediante il quale
il Ministero della Giustizia inglese intese disciplinare tanto la corruzione
nell’ambito della Pubblica Amministrazione quanto la corruzione tra privati.
Esso ha costituito la base su cui verrà edificata negli anni successivi la
normativa di settore.
Oltre a prevedere varie fattispecie di reato in relazione ai molteplici
fenomeni corruttivi - corruzione passiva verso soggetti pubblici o privati,
corruzione di un pubblico funzionario straniero, mancata prevenzione della
corruzione da parte della società - il “Bribery
Act” ha introdotto nell’ordinamento inglese la responsabilità penale
dell’impresa per i reati di corruzione commessi da quei soggetti che operino in
nome e per conto della medesima. Tale responsabilità è perseguibile ogni qual
volta l’azienda non sia dotata di “Modelli Organizzativi” interni, volti a
prevenire tali atti. Per individuare siffatti protocolli, il Ministero della
Giustizia inglese pubblicò, nel marzo 2011, una guida sulle procedure che le
aziende potevano mettere in atto per impedire alle persone ad esse associate di
compiere atti di corruzione. Il documento, ideato per essere una linea guida
generale, conteneva sei principi, ognuno dei quali presentava anche commenti ed
esempi, ma non considerati come self
executing, ossia immediatamente applicabili alle varie fattispecie
elencate, ma applicabili caso per caso, cum
grano salis, esclusivamente dal giudice e in sede dibattimentale.
La legge britannica ridefinì, dunque, il concetto di corruzione e lo fece
recependo la convenzione internazionale OCSE sugli illeciti pagamenti a
funzionari stranieri, contemplando il “bribery come la concessione di un
vantaggio ad un altro soggetto affinché quest’ultimo abbia un comportamento
“inappropriato” (improper)”: la principale differenza rispetto alla
normativa italiana - fino all’emanazione del d. lgs. 38 del 2017 in attuazione
della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la
corruzione nel settore privato - era che in Gran Bretagna si commetteva bribery
non solo quando il soggetto corrotto fosse pubblico ma anche quando esso fosse
privato.
La Gran Bretagna introdusse il reato di corruzione privata in adempimento
alla Decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio UE che chiedeva agli Stati
membri di introdurre nei propri ordinamenti la fattispecie di corruzione nel
settore privato entro il termine del 22 luglio 2005. Limite temporale che
l’Italia fece decorrere infruttuosamente.
Con la legge n.34 del 2008, agli artt. 28 e 29, fu delegato il Governo a
dare attuazione alla suddetta Decisione quadro entro il 21 marzo 2009. La
delega al Governo previde l’introduzione di una nuova fattispecie di reato
societario relativa agli atti distorsivi della concorrenza, nonché la
conseguente estensione della responsabilità amministrativa degli Enti
(riperdendo quando in parte stabilito nel d. lgs. 231 del 2001). Purtroppo,
però, anche tale termine decorse inutilmente.
Peraltro, la Commissione Europea, con la Relazione al Parlamento Europeo
e al Consiglio (del 6 giugno 2011), segnalò numerose inefficienze a carico di
alcuni Stati Membri - tra i quali l’Italia - che non avevano dato completo
recepimento alla decisione quadro sulla corruzione privata. Dal canto suo, il
Parlamento Europeo, con una Risoluzione approvata a larga maggioranza il 15
settembre 2011, ha chiesto alla Commissione di intensificare la lotta alla
corruzione, sottolineando non solo l’importanza di contrastare il fenomeno in
modo serio, ma auspicando anche una “maggiore trasparenza delle operazioni
finanziarie, specie quelle che interessano le cosiddette giurisdizioni offshore
all’interno della UE e nel resto del mondo”. Inoltre, il 14 marzo 2012, il
Parlamento di Strasburgo istituì la prima commissione speciale sulla
criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio.
Nell’ambito del più ampio programma inteso a proteggere l'economia legale
europea, in linea con quanto stabilito nella strategia per la sicurezza
interna, la Commissione europea ha adottato, nel giugno 2011, il pacchetto
anticorruzione, composto da:
•
una comunicazione
sulla lotta alla corruzione nell'UE, che delineava gli obiettivi e gli aspetti
pratici della relazione anticorruzione, pubblicata con cadenza biennale a
partire dal 2013, basandosi sui meccanismi di monitoraggio esistenti (del
Consiglio d'Europa, dell'OCSE e delle Nazioni Unite), nonché sul parere di
esperti indipendenti, delle parti interessate e della società civile;
•
una decisione della
Commissione che stabilisce il meccanismo di relazione anticorruzione
dell'Unione europea ed istituisce un gruppo di esperti in materia;
•
una relazione
sull'attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla
lotta contro la corruzione nel settore privato;
•
una relazione sulle
modalità di partecipazione dell'Unione europea in seno al Gruppo di Stati del
Consiglio d'Europa contro la corruzione (GRECO).
A ciò ha fatto seguito, nel febbraio 2014, la pubblicazione,
da parte della Commissione europea, della prima relazione sulla lotta alla
corruzione nell'Unione europea, che esaminava il fenomeno della corruzione nei
28 (oggi 27) Stati membri ed illustrava le misure anticorruzione esistenti, la
loro efficacia ed alcune principali tendenze, tra le quali:
•
il forte divario tra
gli Stati membri in merito all’attuazione di efficaci politiche preventive (ad
esempio, norme etiche, misure di sensibilizzazione, accesso facile alle
informazioni di pubblico interesse);
•
il mancato
coordinamento, in molti Stati membri, dei controlli interni delle procedure in
seno alle autorità pubbliche (in particolare a livello locale);
•
le diverse
disposizioni sui conflitti d’interesse all’interno dell’UE, i meccanismi spesso
insufficienti intesi a controllare le dichiarazioni di conflitto di interesse e
la non efficace applicazione delle sanzioni per violazione;
•
il recepimento
disomogeneo negli Stati membri della decisione quadro 2003/568/GAI relativa
alla lotta contro la corruzione nel settore privato;
•
i diversi risultati
dell'azione delle forze dell'ordine e della magistratura nelle indagini sui
casi di corruzione nei vari Paesi;
•
la maggiore
vulnerabilità dei settori dello sviluppo urbano, dell’edilizia e
dell’assistenza sanitaria, nonché di quello relativo agli appalti pubblici, per
i quali la Commissione invita a rafforzare le regole di integrità e suggerisce
miglioramenti nei meccanismi di controllo;
•
le lacune per quanto
concerne la vigilanza sulle imprese pubbliche e la loro conseguente
vulnerabilità alla corruzione.
Nell’allegato sull’Italia, veniva messo in evidenza che l’adozione - per
quanto tardiva - della legge
anticorruzione n. 190 del 2012 rafforzava le politiche di prevenzione mirate a
responsabilizzare i pubblici ufficiali e la classe politica ed a bilanciare
l’onere della lotta al fenomeno, che ricadeva quasi esclusivamente sulle forze
dell’ordine e sulla magistratura. La Commissione consigliava anche di estendere
i poteri e di sviluppare la capacità dell’autorità nazionale anticorruzione in
modo che potesse reggere saldamente le redini del coordinamento, garantire
maggiore trasparenza degli appalti pubblici ed adoperarsi ulteriormente per
colmare le lacune della lotta anticorruzione nel settore privato. Inoltre, nell’applicazione
della legge anticorruzione, che prevedeva l’adozione di un piano nazionale
triennale ed obbligava tutti gli organi amministrativi ad adottare strategie
d’azione in materia, la Commissione rilevava che anche le Camere di Commercio
avrebbero dovuto predisporre piani pluriennali di prevenzione della corruzione.
La legge n. 190 del 2012 “Disposizioni
per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella
Pubblica Amministrazione”, in attuazione delle Convenzioni internazionali
contro la corruzione (legge n. 116 del
2009 e legge n. 110 del 2012)
ha definito i compiti dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e degli
altri organi competenti a coordinare le misure di prevenzione e contrasto
dell’illegalità e della corruzione in Italia.
Gli aspetti più
rilevanti della legge n. 190, e degli altri provvedimenti che ne sono il
naturale completamento - il Decreto
legislativo n. 33 del 2013 (riguardante gli obblighi di pubblicità e
trasparenza), il Decreto legislativo n.
39 del 2013 (sul regime delle inconferibilità e incompatibilità degli
incarichi presso le pubbliche amministrazioni), il Decreto legislativo n. 235 del 2012 (disciplina delle
incandidabilità), il D.p.r. n. 62 del
2013 (concernente le regole di condotta dei pubblici dipendenti) ed il Decreto legislativo n. 150 del 2009
(sul ciclo delle performance) - sono i seguenti:
1) Le
competenze dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. Le funzioni dell’Autorità, in seguito
anche al decreto legge n. 90 del 2014 e alla legge n. 229 del 2016 possono essere così riassunte:
·
collaborazione con gli organismi analoghi che
operano a livello internazionale;
·
definizione del Piano nazionale anticorruzione
e vigilanza sull’attuazione della legge da parte delle pubbliche
amministrazioni;
·
analisi dei fenomeni di corruzione e
presentazione di misure per contrastarli, anche attraverso una relazione
annuale alle Camere;
·
pareri consultivi sulle autorizzazioni allo
svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi
·
alta sorveglianza sulla realizzazione delle
opere dell’EXPO 2015 e su alcune tipologie di varianti consentite dal Codice
dei contratti pubblici. In seguito alla decisione del Consiglio dei ministri
del 27 agosto 2015, i poteri di alta sorveglianza di cui all’art. 30 del
decreto legge n. 90 sono stati estesi anche al Piano degli interventi
straordinaria da adottare in occasione del Giubileo.
·
alta sorveglianza sulla realizzazione degli
interventi di ricostruzione delle aree colpite dagli eventi sismici del 2016.
2) I
Piani anticorruzione. La
legge ha previsto una complessa attività di pianificazione e controllo, che
coinvolge tutti i diversi livelli di governo e che ha come elemento essenziale
il Piano nazionale anticorruzione, cui le singole amministrazioni devono
uniformarsi, approvando i relativi piani triennali di prevenzione della
corruzione. I piani devono individuare le attività a maggior rischio corruzione
e gli interventi di formazione e controllo utili a prevenire tale fenomeno. La
legge ha previsto, inoltre, la nomina per ciascun ente di un responsabile delle
attività di prevenzione, forme di tutela del dipendente pubblico che segnala
illeciti,
3) Gli
obblighi di trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Il Decreto
legislativo n. 33 del 2013 “Riordino della disciplina riguardante gli
obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle
pubbliche amministrazioni” è volto ad assicurare l’accesso da parte del
cittadino alle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle
pubbliche amministrazioni.
4) La
disciplina sugli incarichi presso le pubbliche amministrazioni. Il Decreto
legislativo n. 39 del 2013 “Disposizioni in materia di inconferibilità e
incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli
enti privati in controllo pubblico”, ha riguardato il conferimento degli
incarichi presso le pubbliche amministrazioni e gli enti di diritto privato in
controllo pubblico, al fine di evitare interferenze o commistioni tra
politica e amministrazione e situazioni di conflitto di interesse. La legge
detta la disciplina su:
·
inconferibilità, che comporta la preclusione,
permanente o temporanea, a conferire incarichi a coloro che sono stati
condannati per reati contro la pubblica amministrazione, oppure provengano da
enti di diritto privato regolati o finanziati, ovvero siano stati componenti di
organi politici di livello nazionale, regionale e locale; la preclusione si
applica anche per gli incarichi di direzione delle aziende sanitarie locali;
·
incompatibilità, che determina l’obbligo, per
il soggetto interessato, di scegliere quale incarico mantenere in caso di altra
carica di vertice in un’amministrazione pubblica ovvero in enti di diritto
privato sottoposti a controllo pubblico o finanziati.
5) La
normativa in materia di incandidabilità. Il decreto legislativo n. 235 del 2012
“Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di
ricoprire cariche elettive e di Governo” ha individuato le fattispecie che
precludono la candidabilità alle cariche di parlamentare, di componente del
Governo e di rappresentante nei consigli regionali e negli enti locali.
6) Il
codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Il D.P.R.
n. 62 del 2013 “Regolamento recante codice di comportamento dei
dipendenti pubblici” ha stabilito le regole cui i dipendenti
delle pubbliche amministrazioni devono conformarsi al fine di assicurare
la qualità dei servizi, la prevenzione
dei fenomeni di corruzione, il rispetto
dei doveri di diligenza, lealtà, imparzialità.
7) Il
ciclo delle performance. Il decreto legislativo n. 150 del 2009 in
materia di “Ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni” ha dettato una
riforma della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche, al fine di assicurare una migliore organizzazione del lavoro, più
elevati standard di qualità e di efficienza e maggiore trasparenza. Nel Piano
delle performance (da realizzare in stretto collegamento con il Piano Anti
corruzione ed il Programma della Trasparenza) devono essere precisati gli
obiettivi strategici ed operativi scelti da ciascuna amministrazione.
8)
Il whistleblower. La legge n. 190 del 2012 ha previsto che
il pubblico dipendente che denuncia condotte illecite di cui è venuto
a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non possa essere
sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria. A tal
fine è garantita la riservatezza di tali segnalazioni (art. 54 bis).
D. lgs. n.97 del 2016
Il Decreto
legislativo 25 maggio 2016 n. 97, entrato in vigore il 23 giugno 2016 in
materia di “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di
prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza” (“Decreto Madia”), e
che costituisce il primo degli undici decreti attuativi della delega di cui
all’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (“Legge Madia”), ha apportato
alcune modifiche ai primi 14commi della legge 6 novembre 2012 n. 190 (“legge
Severino”) e al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (“Decreto Trasparenza”).
In
particolare, il Decreto Madia persegue i seguenti obiettivi:
·
ridefinire l’ambito di applicazione degli
obblighi e delle misure in materia di trasparenza;
·
prevedere misure organizzative per la
pubblicazione di alcune informazioni e per la concentrazione e la riduzione
degli oneri gravanti in capo alle PA;
·
razionalizzare e precisare gli obblighi di
pubblicazione;
·
individuare i soggetti competenti
all’irrogazione delle sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza.
Il
Capo I del Decreto Madia apporta significative modifiche al Decreto Trasparenza
Ambito di applicazione soggettivo
L’art.
3, secondo comma, del Decreto Madia che la disciplina in materia di trasparenza
si applichi, oltre che alle PA e agli atri soggetti già previsti nella
previgente disciplina, anche ad ulteriori categorie di soggetti, e
specificamente:
• agli
enti pubblici economici e agli ordini professionali;
• alle
società in controllo pubblico ad eccezione delle società quotate; dunque, a
differenza della disciplina previgente, alle società controllate da PA ex art.
2359 c.c., si applica il Decreto Trasparenza, per qualsiasi tipo di attività e
non più solo per quelle di pubblico interesse;
• alle
società a partecipazione pubblica non maggioritaria, limitatamente ai dati e
documenti inerenti all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto
nazionale o dell’UE; in precedenza, invece, tali società erano soggette solo ai
commi 15-33 della legge Severino;
• alle
associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato comunque
denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a
500.000 euro, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario, per almeno
due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio, da PA e in cui la totalità
dei titolari o dei componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia
designata da PA.
Ambito di applicazione oggettivo
Il
Decreto Madia espressamente stabilito che, al fine di tutelare i diritti dei
cittadini e promuovere la partecipazione degli interessati all’attività
amministrativa, debba essere garantita l’accessibilità totale dei dati e
documenti detenuti dalle PA, dunque non limitando l’accessibilità alle sole
“informazioni relative all’organizzazione e all’attività delle PA”.
Accesso civico
Il
Decreto Madia conferma l’impostazione dell’art. 5 del Decreto Trasparenza e
garantisce a chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni
giuridicamente rilevanti, di poter accedere ai documenti della PA, fatto salvo
il rispetto di alcuni limiti, introdotti nel Decreto Trasparenza e previsti
all’articolo 5 bis, a tutela di interessi pubblici o privati di particolare
rilevanza. In altri termini la disciplina dell’accesso civico dettata dal
Decreto Trasparenza si differenzia dalla legge 241/90 in materia di accesso ai
documenti informativi, perché, nella prima ipotesi, la richiesta di accesso non
richiede alcuna qualificazione e motivazione, per cui il richiedente non deve
dimostrare di essere “titolare di un interesse diretto, concreto, e attuale,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso”, così come invece stabilito per
l’accesso ai sensi della legge sul procedimento amministrativo.
Il
procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e
motivato entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, con la
comunicazione al richiedente ed ai controinteressati. Nei casi di diniego
totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta entro il suindicato
termine, il richiedente può presentare richiesta di riesame al Responsabile
della Prevenzione della corruzione e trasparenza (“RPCC”), che deve decidere
nel termine di 20 giorni. Avverso la decisione della PA competente o in caso di
richiesta di riesame avverso la decisione del RPCC, il richiedente può proporre
ricorso al TAR.
Nuovi compiti dell’ANAC
Tra le
modifiche il Decreto Madia prevede anche l’introduzione di nuove funzioni per
l’Autorità Nazionale Anti Corruzione; in particolare, essa:
• può
identificare i dati, le informazioni e i documenti oggetto di pubblicazione
obbligatoria, per i quali la pubblicazione in forma integrale è sostituita con
quella di informazioni riassuntive, elaborate per aggregazione;
• può,
con il Piano Nazionale Anticorruzione, precisare modalità semplificate per
adempiere agli obblighi per i comuni con popolazione inferire a 15.0000
abitanti e per gli organi e collegi professionali;
• può
adottare gli standard, modelli e schemi per garantire in concreto l’attuazione degli
obblighi di pubblicità.
Obblighi di pubblicazione
Il
Decreto Madia specifica inoltre la disciplina relativa agli obblighi di
pubblicazione e prevede:
• obblighi
di pubblicazione in capo a ciascuna PA, nell’apposita sezione “Amministrazione
Trasparente” del proprio sito istituzionale dei dati sui propri pagamenti, con
particolare riferimento alla tipologia di spesa sostenuta, all’ambito temporale
di riferimento, ai beneficiari, del Piano triennale di prevenzione della
corruzione, con l’indicazione dei responsabili per la trasmissione e la
pubblicazione dei Documenti, e delle misure integrative della corruzione ex
art. 1. Comma 2 bis della Legge Severino;
• la
possibilità di assolvere agli obblighi di pubblicazione delle banche dati
mediante “rinvio”, attraverso l’indicazione sul sito, nella sezione
“Amministrazione trasparente”, del collegamento ipertestuale alle stesse banche
dati;
• l’obbligo
di indicare, sia in modo aggregato che analitico, negli atti di conferimento di
incarichi dirigenziali e nei relativi contratti, gli obiettivi di trasparenza,
con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del
personale; il mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi determina
responsabilità dirigenziale.
Responsabilità dirigenziale e sanzioni
Il
Decreto Madia prevede specifiche ipotesi di responsabilità dirigenziale nei
casi in cui siano violate le norme sulla trasparenza appena descritte e, nello
specifico, quelle attinenti all’accesso civico e agli obblighi di
pubblicazione, stabilendo che:
• il
differimento e la limitazione dell’accesso civico sono idonei a dar luogo a
responsabilità dirigenziale e responsabilità per danno all’immagine della PA;
• il
potere di irrogare le relative sanzioni spetta all’ANAC e non più alla autorità
amministrativa competente in base a quanto previsto dalla legge 689/1981;
• costituisce
ipotesi di responsabilità in capo al dirigente la mancata effettuazione della
comunicazione relativa agli emolumenti a carico della finanza pubblica e la
mancata pubblicazione dei dati.
Fabrizio Giulimondi
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