Contesto macroeconomico
Viviamo
un momento storico particolare e complesso. Gli indici macroeconomici ci dicono
che il Paese è in ripresa, l’inflazione sembra ormai sotto controllo, le
esportazioni del settore manifatturiero sono tornate a registrare numeri
importanti, i volumi di spesa sono in aumento e il risparmio privato si
mantiene a livelli più che accettabili rispetto a tutta l’area Ue. La crisi
economica, originata con la caduta dei mutui subprime nel 2008 e deflagrata in tutti i Paesi a capitalismo
avanzato nel 2009, sembrerebbe rappresentare, ormai, il passato. Eppure, la
saggezza consiglierebbe di mantenere un margine di cautela più che
considerevole.
Il
sistema bancario europeo registra, infatti, continui affanni e la sua
esposizione a prodotti di rischio particolarmente tossici desta, tutt’oggi,
forti preoccupazioni internazionali. Ma a suscitare l’attenzione maggiore vi
sono i dati del comparto occupazionale, da sempre indice macroeconomico per
eccellenza nella valutazione dello stato di benessere di un’economia nazionale.
La
crescita dell'occupazione, iniziata nel 2015, ha beneficiato soprattutto degli
sgravi fiscali previsti dalle ultime due leggi di stabilità. La crescita
dell'occupazione si è stabilizzata nell'ultimo trimestre del 2016 grazie al
miglioramento dell'occupazione dipendente: 543mila posti di lavoro in più nella
media del terzo trimestre 2016, rispetto allo stesso periodo del 2015. Il saldo
è positivo (+93mila posti di lavoro nel III trimestre), di cui 83mila contratti
a tempo determinato.
Economia sommersa ed economia
criminale
L’economia
sommersa è l’insieme di tutte le attività economiche che contribuiscono al
prodotto interno lordo ufficialmente osservato, ma che non sono state
registrate e quindi regolarmente tassate, con l’esclusione del giro d’affari
delle attività criminali. In pratica, in base a questa definizione, possiamo
dire che esistono tre PIL: quello ufficiale, quello sommerso e quello
criminale.
Passando
ai numeri, le valutazioni di Banca d’Italia, Corte dei Conti, Istat ed Eurispes
sul sommerso vanno da un terzo a oltre metà del fatturato in
chiaro del settore privato.
Per
la Banca d'Italia, che si basa sull’analisi del flusso di denaro
contante nel quadriennio tra il 2008-2012, l’economia inosservata
rappresenta il 31,1% del PIL. In valore assoluto, l’economia che sfugge
alle statistiche ufficiali sfiora i 490 miliardi di euro, 290 dei quali dovuti
all’evasione fiscale e contributiva e circa 187 all’economia criminale.
Per
la Corte dei Conti l'evasione si situa intorno al 21% del PIL, dato
che pone l’Italia al secondo posto della graduatoria internazionale, dopo la
Grecia. La Corte, a differenza di Bankitalia, piuttosto che valutare in
modo sistematico il fenomeno del sommerso in termini di imponibile, valuta
il mancato gettito e in particolare gli effetti perversi e pesanti
della corruzione sul funzionamento della pubblica amministrazione.
Secondo
l’Istat - rapporto del 2016 in riferimento a dati del 2013 - il
sommerso rappresenta il 12,9% del PIL, ossia 210 miliardi di euro circa. Il dettaglio
dell’evasione è così ripartito: 31% nel settore agricolo, 13,4% nell'industria
e 21,9% nei servizi.
Le
stime dell'Eurispes si attestano a 540 miliardi di euro (36% del PIL
ufficiale). Circa 290 miliardi dovuti all'evasione fiscale e contributiva, 170
miliardi di lavoro nero nelle imprese e altri 105 di economia informale. Nello
stesso anno il PIL criminale avrebbe superato i 200 miliardi di euro. Il dato
si basa estendendo i risultati su oltre 700mila controlli effettuati
presso le imprese da parte della Guardia di Finanza - attraverso i quali
sono stati riscontrati 27 miliardi di euro di base imponibile sottratta
- ai circa quattro milioni di piccole e medie imprese. Da qui si arriva ai
quasi 160 miliardi sopra indicati. Sommando i tre PIL (ufficiale, sommerso e
criminale) il prodotto interno italiano complessivo schizzerebbe a oltre
2.200 miliardi.
La
quantificazione del fatturato e del patrimonio delle mafie è attività, invece,
molto più difficoltosa: secondo i diversi studi (Sos Impresa, Banca d'Italia e
Transcrime), si passa da 26 a 138 miliardi di euro. Di solito le
stime si basano su valutazioni soggettive ritenute attendibili dalle fonti
investigative istituzionali (denunce, sequestri e confische), ma si tratta
di criteri basati su presunzioni e non su una complessità di dati
empirici.
La
fonte che di solito viene presa a riferimento per la quantificazione in termini
economici delle attività criminali è il rapporto annuale di Sos Impresa,
secondo il quale nel 2012 il fatturato delle mafie era stimato in 142
miliardi di euro, la liquidità disponibile in circa 68 miliardi, l’utile in 105
miliardi.
La Banca
d'Italia ha effettuato una stima basandosi sulla domanda di contante
integrata da informazioni sulle denunce per droga e prostituzione messe in
relazione al PIL delle singole province italiane. Nel rapporto pubblicato nel
2015 attribuisce all’economia criminale un valore pari al 10,9% del PIL nel
periodo 2005-2008, ma in continua e costante ascesa.
Più
contenuti i dati di Transcrime (centro di ricerca sul crimine
transnazionale): il giro d’affari della criminalità organizzata ammonterebbe in
media “solo” all’1,7% del PIL, con un fatturato che varia in un intervallo
compreso tra i 17,7 e i 33,7 miliardi. L’ipotesi di fondo dello studio è
che solo una fetta delle attività illegali sia controllata da organizzazioni
criminali (ad eccezione delle estorsioni, tipiche del crimine
organizzato): il fatturato delle mafie varierebbe tra il 32 e 51% del PIL
illegale.
Mentre
sul fatturato delle mafie i dati risultano contrastanti,
viceversa sul patrimonio accumulato i numeri mancano del
tutto, così come sulle infiltrazioni delle organizzazioni criminali
nell'economia legale. L'unico dato certo è che il patrimonio sottratto fino a
oggi alla criminalità organizzata e a disposizione dello Stato ammonta a
circa 20 miliardi. In altre parole, sugli aspetti più
opachi dell’economia illegale non esistono analisi certe e dati
scientifici.
Di
certo v’è di certo l’esistenza di una gigantesca distorsione nel nostro tessuto
economico istituzionale tale da drenare, ogni anni, una quantità ingente di
risorse produttive.
Interventi normativi
I recenti provvedimenti adottati dal
Governo, in particolare l’approvazione del decreto legislativo sulla corruzione
tra privati (decreto legislativo 38/2017, in attuazione della delega prevista
dall’art. 19 della legge di delegazione europea 2015 - legge 170/2016),
rappresentano un ulteriore passo in avanti all’interno di un percorso riformatore
che, in questi anni, ha inteso combattere senza quartiere la corruzione,
riformulando le ipotesi criminose, aggravando la risposta sanzionatoria ed
introducendo anche meccanismi premiali e di deterrenza.
L’intervento
in esame si polarizza ancora una volta sia sui soggetti operanti che sulle
condotte di reato punendo, per il reato di corruzione nel settore privato,
coloro che svolgono funzioni direttive all’interno di un ente ed ampliano le
condotte sanzionatorie ricomprendendovi anche l’istigazione alla corruzione.
Il fenomeno corruttivo provoca, infatti, danni all’interno del sistema,
pubblico e privato, creando un deficit di trasparenza ed efficienza che incrina
la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e indebolisce il mercato, favorendo
la concorrenza sleale e scoraggiando gli investitori stranieri. Il
provvedimento ha completato la risposta normativa rispetto al fenomeno
corruttivo tra privati, già colpita dal nuovo Codice degli appalti che ha
introdotto, tra le altre misure, il sistema del rating di legalità quale
strumento di garanzia di accesso delle imprese sul mercato pubblico. Senza
contare l’introduzione di poteri molto più pervicaci in capo all’ANAC sul
fronte repressivo oltre che preventivo.
Sul piano sanzionatorio
si introducono nuovi illeciti penali e amministrativi per presidiare
l’osservanza degli obblighi di adeguata verifica della clientela, di
conservazione dei dati e di segnalazione delle operazioni sospette dettati in
funzione di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo,
nonché di un più adeguato controllo degli operatori del settore del “money transfer”. La natura di per sé
sovranazionale del fenomeno del riciclaggio ha indotto, poi, il nostro Paese a
dotarsi di strumenti di cooperazione più ampi, attuando il principio del
reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca a livello europeo e questo
con l'adozione del decreto legislativo n. 137 del 2015.
Tra le azioni di Governo, desidero ricordare inoltre l’approvazione il
18 ottobre 2016 del disegno di legge sul caporalato. La nuova normativa ha
rafforzato il contrasto a questa realtà, con l’introduzione nel codice penale
dell’art. 603 bis, collocato proprio tra i delitti contro la libertà
individuale della persona. Il caporalato è un fenomeno inumano che questo
Governo ha inteso avversare con grande determinazione. La
legge sanziona la condotta anche del datore di lavoro e non soltanto
dell’intermediario; prevede l’applicazione di un’attenuante in caso di
collaborazione con le autorità, l’arresto obbligatorio in flagranza di reato e,
in alcune ipotesi, la confisca dei beni.
Il provvedimento stabilisce, inoltre, l’assegnazione al Fondo anti -
tratta dei proventi delle confische ordinate a seguito di sentenza di condanna
o di patteggiamento per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento
del lavoro ed estende, altresì, le finalità del Fondo alle vittime del delitto
di caporalato, oltre a valorizzare le aziende virtuose.
Da segnalare, inoltre,
la riforma del codice penale, approvata poche settimane fa, che ha introdotto
una serie di innovazioni per l’aggravio delle pene in ordine ad alcuni reati ad
elevato allarme sociale (dal voto di scambio mafioso al furto e rapina
aggravati), ma che incidono anche sulla natura del processo, introducendo
elementi di forte modernizzazione, semplificazione ed innovazione.
Infine, ricordo che è
attualmente in atto la discussione sul testo di riforma del codice antimafia,
approdato al Senato dopo l’approvazione alla Camera. L’auspicio di tutti è che
si possa arrivare alla rapida conclusione del procedimento legislativo, così da
introdurre i correttivi più efficaci in tema di confisca dei beni mafiosi, di
poteri di scioglimento dei comuni infiltrati dalle organizzazioni mafiose e di
nuove regole a cui i comuni sciolti devono uniformarsi finito il periodo di
commissariamento.
Conclusioni
E’ necessario stabilire
un lavoro sempre più sinergico fra tutti gli attori istituzionali che agevoli il nostro Paese ad implementare la
propria crescita economica, i livelli occupazionali già in costante
aumento ed il clima di fiducia (già migliorata), rafforzando contestualmente la
cornice di legalità all’interno del sistema economico e sociale.
La nostra economia ha registrato una crescita che fa ben sperare per il
futuro e ci stimola a continuare il percorso di modernizzazione degli impianti
normativi volti alla semplificazione della burocrazia e alla
razionalizzazione delle risorse, come fatto in questi ultimi anni.
Per quanto concerne il settore di mia competenza, la giustizia, si è
avviato un cammino innovatore che sta portando risultati già molto importanti, quali:
la velocizzazione dei procedimenti e la conseguente diminuzione dell'enorme
carico di arretrato civile, la valorizzazione delle procedure di risoluzione
stragiudiziale ed arbitrali delle controversie, la razionalizzazione e
modernizzazione delle norme in materia fallimentare e la maggiore
specializzazione dei magistrati in materia commerciale con il potenziamento
dei Tribunali delle Imprese. Il buon funzionamento del “sistema giustizia” rappresenta uno dei
fattori di maggiore importanza per quanto concerne la potenziale attrattività
di un Paese. In un’economia sempre più globalizzata è decisivo attrarre investimenti
stranieri e incoraggiare la competitività sul piano internazionale, così come
contrastare con rinnovata efficacia le sacche di economia sommersa e criminale,
oggetto della nostra discussione odierna, che rappresentano un odioso freno
allo sviluppo economico e produttivo del Paese.
Abbiamo messo in campo azioni finalizzate al mantenimento della
continuità aziendale, alla maggiore accessibilità al credito per le imprese che
si trovano in un momento di difficoltà e a rendere più celere il recupero dei
crediti, con la creazione della nuova figura del pegno non possessorio.
Strumenti non solo repressivi, dunque, ma che intendono affiancare i settori
produttivi in crisi in un’ottica virtuosa e collaborativa, evitando che siano
le sacche mafiose a svolgere funzioni di “welfare” criminale per le imprese.
In conclusione,
vogliamo e dobbiamo vincere la sfida della legalità. Una sfida che è prima di
tutto culturale, poiché solo contrastando con efficacia i gli incancreniti
fenomeni mafiosi si può davvero ripristinare il rispetto della legalità nei
rapporti sociali ed economici. Abbiamo il dovere di garantire una leale
concorrenza sul mercato, improntata a parametri di equità e di equilibrio
sociale.
Inoltre, occorre garantire
una maggiore appetibilità delle strutture e delle funzioni statuali, a
cominciare dalle regioni maggiormente in difficoltà dal punto di vista
economico. Bisogna aiutare i cittadini a scegliere lo Stato e aiutare lo Stato
stesso ad essere appetibile agli occhi dai cittadini. Dobbiamo rompere questo
circuito pernicioso che conduce a trovare nelle mille opportunità sommerse
dell’economia mafiosa le risposte ai piccoli e grandi drammi occupazionali e
sociali esistenti, a maggior ragione in quei imprenditoriali sfibrati dalla
crisi.
Ecco perché, e vado a
concludere, il nostro Paese ha il dovere di continuare nel cammino intrapreso
dal Governo in maggiori investimenti nella pubblica amministrazione, nel
miglioramento dei servizi pubblici unitamente ad una loro costante
modernizzazione, qualificando sempre di più il capitale umano.
Fabrizio
Giulimondi
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