giovedì 10 agosto 2017

ECONOMIA SOMMERSA, LAVORO NON REGOLARE ED ECONOMIA CRIMINALE - CONCLUSIONI



Contesto macroeconomico

Viviamo un momento storico particolare e complesso. Gli indici macroeconomici ci dicono che il Paese è in ripresa, l’inflazione sembra ormai sotto controllo, le esportazioni del settore manifatturiero sono tornate a registrare numeri importanti, i volumi di spesa sono in aumento e il risparmio privato si mantiene a livelli più che accettabili rispetto a tutta l’area Ue. La crisi economica, originata con la caduta dei mutui subprime nel 2008 e deflagrata in tutti i Paesi a capitalismo avanzato nel 2009, sembrerebbe rappresentare, ormai, il passato. Eppure, la saggezza consiglierebbe di mantenere un margine di cautela più che considerevole.
Il sistema bancario europeo registra, infatti, continui affanni e la sua esposizione a prodotti di rischio particolarmente tossici desta, tutt’oggi, forti preoccupazioni internazionali. Ma a suscitare l’attenzione maggiore vi sono i dati del comparto occupazionale, da sempre indice macroeconomico per eccellenza nella valutazione dello stato di benessere di un’economia nazionale.
La crescita dell'occupazione, iniziata nel 2015, ha beneficiato soprattutto degli sgravi fiscali previsti dalle ultime due leggi di stabilità. La crescita dell'occupazione si è stabilizzata nell'ultimo trimestre del 2016 grazie al miglioramento dell'occupazione dipendente: 543mila posti di lavoro in più nella media del terzo trimestre 2016, rispetto allo stesso periodo del 2015. Il saldo è positivo (+93mila posti di lavoro nel III trimestre), di cui 83mila contratti a tempo determinato.

Economia sommersa ed economia criminale

L’economia sommersa è l’insieme di tutte le attività economiche che contribuiscono al prodotto interno lordo ufficialmente osservato, ma che non sono state registrate e quindi regolarmente tassate, con l’esclusione del giro d’affari delle attività criminali. In pratica, in base a questa definizione, possiamo dire che esistono tre PIL: quello ufficiale, quello sommerso e quello criminale.
Passando ai numeri, le valutazioni di Banca d’Italia, Corte dei Conti, Istat ed Eurispes sul sommerso vanno da un terzo a oltre metà del fatturato in chiaro del settore privato.
Per la Banca d'Italia, che si basa sull’analisi del flusso di denaro contante nel quadriennio tra il 2008-2012, l’economia inosservata rappresenta il 31,1% del PIL. In valore assoluto, l’economia che sfugge alle statistiche ufficiali sfiora i 490 miliardi di euro, 290 dei quali dovuti all’evasione fiscale e contributiva e circa 187 all’economia criminale.
Per la Corte dei Conti l'evasione si situa intorno al 21% del PIL, dato che pone l’Italia al secondo posto della graduatoria internazionale, dopo la Grecia. La Corte, a differenza di Bankitalia, piuttosto che valutare in modo sistematico il fenomeno del sommerso in termini di imponibile, valuta il mancato gettito e in particolare gli effetti perversi e pesanti della corruzione sul funzionamento della pubblica amministrazione.
Secondo l’Istat - rapporto del 2016 in riferimento a dati del 2013 - il sommerso rappresenta il 12,9% del PIL, ossia 210 miliardi di euro circa. Il dettaglio dell’evasione è così ripartito: 31% nel settore agricolo, 13,4% nell'industria e 21,9% nei servizi.
Le stime dell'Eurispes si attestano a 540 miliardi di euro (36% del PIL ufficiale). Circa 290 miliardi dovuti all'evasione fiscale e contributiva, 170 miliardi di lavoro nero nelle imprese e altri 105 di economia informale. Nello stesso anno il PIL criminale avrebbe superato i 200 miliardi di euro. Il dato si basa estendendo i risultati su oltre 700mila controlli effettuati presso le imprese da parte della Guardia di Finanza - attraverso i quali sono stati riscontrati 27 miliardi di euro di base imponibile sottratta - ai circa quattro milioni di piccole e medie imprese. Da qui si arriva ai quasi 160 miliardi sopra indicati. Sommando i tre PIL (ufficiale, sommerso e criminale) il prodotto interno italiano complessivo schizzerebbe a oltre 2.200 miliardi.
La quantificazione del fatturato e del patrimonio delle mafie è attività, invece, molto più difficoltosa: secondo i diversi studi (Sos Impresa, Banca d'Italia e Transcrime), si passa da 26 a 138 miliardi di euro. Di solito le stime si basano su valutazioni soggettive ritenute attendibili dalle fonti investigative istituzionali (denunce, sequestri e confische), ma si tratta di criteri basati su presunzioni e non su una complessità di dati empirici.
La fonte che di solito viene presa a riferimento per la quantificazione in termini economici delle attività criminali è il rapporto annuale di Sos Impresa, secondo il quale nel 2012 il fatturato delle mafie era stimato in 142 miliardi di euro, la liquidità disponibile in circa 68 miliardi, l’utile in 105 miliardi.
La Banca d'Italia ha effettuato una stima basandosi sulla domanda di contante integrata da informazioni sulle denunce per droga e prostituzione messe in relazione al PIL delle singole province italiane. Nel rapporto pubblicato nel 2015 attribuisce all’economia criminale un valore pari al 10,9% del PIL nel periodo 2005-2008, ma in continua e costante ascesa.
Più contenuti i dati di Transcrime (centro di ricerca sul crimine transnazionale): il giro d’affari della criminalità organizzata ammonterebbe in media “solo” all’1,7% del PIL, con un fatturato che varia in un intervallo compreso tra i 17,7 e i 33,7 miliardi. L’ipotesi di fondo dello studio è che solo una fetta delle attività illegali sia controllata da organizzazioni criminali (ad eccezione delle estorsioni, tipiche del crimine organizzato): il fatturato delle mafie varierebbe tra il 32 e 51% del PIL illegale.
Mentre sul fatturato delle mafie i dati risultano contrastanti, viceversa sul patrimonio accumulato i numeri mancano del tutto, così come sulle infiltrazioni delle organizzazioni criminali nell'economia legale. L'unico dato certo è che il patrimonio sottratto fino a oggi alla criminalità organizzata e a disposizione dello Stato ammonta a circa 20 miliardi. In altre parole, sugli aspetti più opachi dell’economia illegale non esistono analisi certe e dati scientifici.     
Di certo v’è di certo l’esistenza di una gigantesca distorsione nel nostro tessuto economico istituzionale tale da drenare, ogni anni, una quantità ingente di risorse produttive.


Interventi normativi
                      
I recenti provvedimenti adottati dal Governo, in particolare l’approvazione del decreto legislativo sulla corruzione tra privati (decreto legislativo 38/2017, in attuazione della delega prevista dall’art. 19 della legge di delegazione europea 2015 - legge 170/2016), rappresentano un ulteriore passo in avanti all’interno di un percorso riformatore che, in questi anni, ha inteso combattere senza quartiere la corruzione, riformulando le ipotesi criminose, aggravando la risposta sanzionatoria ed introducendo anche meccanismi premiali e di deterrenza.
L’intervento in esame si polarizza ancora una volta sia sui soggetti operanti che sulle condotte di reato punendo, per il reato di corruzione nel settore privato, coloro che svolgono funzioni direttive all’interno di un ente ed ampliano le condotte sanzionatorie ricomprendendovi anche l’istigazione alla corruzione.
Il fenomeno corruttivo provoca, infatti, danni all’interno del sistema, pubblico e privato, creando un deficit di trasparenza ed efficienza che incrina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e indebolisce il mercato, favorendo la concorrenza sleale e scoraggiando gli investitori stranieri. Il provvedimento ha completato la risposta normativa rispetto al fenomeno corruttivo tra privati, già colpita dal nuovo Codice degli appalti che ha introdotto, tra le altre misure, il sistema del rating di legalità quale strumento di garanzia di accesso delle imprese sul mercato pubblico. Senza contare l’introduzione di poteri molto più pervicaci in capo all’ANAC sul fronte repressivo oltre che preventivo.
Sul piano sanzionatorio si introducono nuovi illeciti penali e amministrativi per presidiare l’osservanza degli obblighi di adeguata verifica della clientela, di conservazione dei dati e di segnalazione delle operazioni sospette dettati in funzione di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, nonché di un più adeguato controllo degli operatori del settore del “money transfer”. La natura di per sé sovranazionale del fenomeno del riciclaggio ha indotto, poi, il nostro Paese a dotarsi di strumenti di cooperazione più ampi, attuando il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca a livello europeo e questo con l'adozione del decreto legislativo n. 137 del 2015.
Tra le azioni di Governo, desidero ricordare inoltre l’approvazione il 18 ottobre 2016 del disegno di legge sul caporalato. La nuova normativa ha rafforzato il contrasto a questa realtà, con l’introduzione nel codice penale dell’art. 603 bis, collocato proprio tra i delitti contro la libertà individuale della persona. Il caporalato è un fenomeno inumano che questo Governo ha inteso avversare con grande determinazione. La legge sanziona la condotta anche del datore di lavoro e non soltanto dell’intermediario; prevede l’applicazione di un’attenuante in caso di collaborazione con le autorità, l’arresto obbligatorio in flagranza di reato e, in alcune ipotesi, la confisca dei beni. Il provvedimento stabilisce, inoltre, l’assegnazione al Fondo anti - tratta dei proventi delle confische ordinate a seguito di sentenza di condanna o di patteggiamento per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ed estende, altresì, le finalità del Fondo alle vittime del delitto di caporalato, oltre a valorizzare le aziende virtuose.
Da segnalare, inoltre, la riforma del codice penale, approvata poche settimane fa, che ha introdotto una serie di innovazioni per l’aggravio delle pene in ordine ad alcuni reati ad elevato allarme sociale (dal voto di scambio mafioso al furto e rapina aggravati), ma che incidono anche sulla natura del processo, introducendo elementi di forte modernizzazione, semplificazione ed innovazione.
Infine, ricordo che è attualmente in atto la discussione sul testo di riforma del codice antimafia, approdato al Senato dopo l’approvazione alla Camera. L’auspicio di tutti è che si possa arrivare alla rapida conclusione del procedimento legislativo, così da introdurre i correttivi più efficaci in tema di confisca dei beni mafiosi, di poteri di scioglimento dei comuni infiltrati dalle organizzazioni mafiose e di nuove regole a cui i comuni sciolti devono uniformarsi finito il periodo di commissariamento.

Conclusioni

E’ necessario stabilire un lavoro sempre più sinergico fra tutti gli attori istituzionali che agevoli il nostro Paese ad implementare la propria crescita economica, i livelli occupazionali già in costante aumento ed il clima di fiducia (già migliorata), rafforzando contestualmente la cornice di legalità all’interno del sistema economico e sociale.
La nostra economia ha registrato una crescita che fa ben sperare per il futuro e ci stimola a continuare il percorso di modernizzazione degli impianti normativi volti alla semplificazione della burocrazia e alla razionalizzazione delle risorse, come fatto in questi ultimi anni.
Per quanto concerne il settore di mia competenza, la giustizia, si è avviato un cammino innovatore che sta portando risultati già molto importanti, quali: la velocizzazione dei procedimenti e la conseguente diminuzione dell'enorme carico di arretrato civile, la valorizzazione delle procedure di risoluzione stragiudiziale ed arbitrali delle controversie, la razionalizzazione e modernizzazione delle norme in materia fallimentare e la maggiore specializzazione dei magistrati in materia commerciale con il potenziamento dei Tribunali delle Imprese. Il buon funzionamento del “sistema giustizia” rappresenta uno dei fattori di maggiore importanza per quanto concerne la potenziale attrattività di un Paese. In un’economia sempre più globalizzata è decisivo attrarre investimenti stranieri e incoraggiare la competitività sul piano internazionale, così come contrastare con rinnovata efficacia le sacche di economia sommersa e criminale, oggetto della nostra discussione odierna, che rappresentano un odioso freno allo sviluppo economico e produttivo del Paese.
Abbiamo messo in campo azioni finalizzate al mantenimento della continuità aziendale, alla maggiore accessibilità al credito per le imprese che si trovano in un momento di difficoltà e a rendere più celere il recupero dei crediti, con la creazione della nuova figura del pegno non possessorio. Strumenti non solo repressivi, dunque, ma che intendono affiancare i settori produttivi in crisi in un’ottica virtuosa e collaborativa, evitando che siano le sacche mafiose a svolgere funzioni di “welfare” criminale per le imprese.
In conclusione, vogliamo e dobbiamo vincere la sfida della legalità. Una sfida che è prima di tutto culturale, poiché solo contrastando con efficacia i gli incancreniti fenomeni mafiosi si può davvero ripristinare il rispetto della legalità nei rapporti sociali ed economici. Abbiamo il dovere di garantire una leale concorrenza sul mercato, improntata a parametri di equità e di equilibrio sociale.  
Inoltre, occorre garantire una maggiore appetibilità delle strutture e delle funzioni statuali, a cominciare dalle regioni maggiormente in difficoltà dal punto di vista economico. Bisogna aiutare i cittadini a scegliere lo Stato e aiutare lo Stato stesso ad essere appetibile agli occhi dai cittadini. Dobbiamo rompere questo circuito pernicioso che conduce a trovare nelle mille opportunità sommerse dell’economia mafiosa le risposte ai piccoli e grandi drammi occupazionali e sociali esistenti, a maggior ragione in quei imprenditoriali sfibrati dalla crisi.
Ecco perché, e vado a concludere, il nostro Paese ha il dovere di continuare nel cammino intrapreso dal Governo in maggiori investimenti nella pubblica amministrazione, nel miglioramento dei servizi pubblici unitamente ad una loro costante modernizzazione, qualificando sempre di più il capitale umano.

Fabrizio Giulimondi

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