“La più amata” di Teresa Ciabatti (Mondadori),
inserito nella “cinquina” del Premio Strega 2017, non lo ascriverei nel genere
romanzo ma senza ombra di dubbio in quello autobiografico, fortemente,
robustamente autobiografico. Teresa
Ciabatti a quarantaquattro anni, ventisei anni dalla morte del padre e a
quattro da quella della madre, è ossessionata dal dover capire chi fosse il
professor Lorenzo Ciabatti, chirurgo, primario e Padreterno a Grosseto. La
trama attraversa le vicende familiari e si inerpica in quelle italiane, dal
tentativo di golpe del 7 dicembre 1970, alla P2 e ai mille misteri che
avviluppano, soffocandola, la storia italiana.
Il
ritmo è sincopato, le parole come singulti e i periodi brevi, convulsi,
concitati. Lo stile assorbe i gravi strascichi comportamentali, psicologici e
psichiatrici di ogni protagonista della narrazione, a partire dall’Autrice.
Teresa Ciabatti era assillata
dalla figura paterna, era oppressa da una domanda: “Chi era veramente il padre?”
Co-protagonista
è la madre, Francesca Fabiani, donna ribelle, complice, succube e, infine, anch’essa
tormentata dallo stesso dubbio: “Io devo
sapere chi è mio marito”.
Passare
dalla ricchezza più luminescente alla mediocrità medio borghese, da essere la “figlia
del Professore” a divenire una Ciabatti qualsiasi. Drammi sociali, umani,
personali, fanciulleschi che portano a conseguenze mentali che impregnano l’esistenza
di angosce e quesiti insoluti.
Sociopatia,
disaffettività, necessità di amore vero, famiglia autentica.
“Francesca Fabiani non sa come frenare il
disfacimento. Papà vende, svende, persino regala. Presta soldi, cento milioni a
un giovane medico in difficoltà, regala appartamenti non si sa a chi”.
Ironia
e autoironia, scrittura e terapia, analisi e letteratura, questo è “La più amata”: ”Questa sono io adolescente. Un agitarsi di forze scomposte e disperate.
Una protesta cieca contro qualcosa. Il mondo, la famiglia, me stessa? Sono
grassa, mamma…Sono bassa…Sono sola, così sola, non voglio crescere, torniamo
indietro tutti insieme, ti prego”.
Fabrizio Giulimondi.
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