La
forma espressiva del fumetto rimanda all’infanzia e possiede i sapori e i
contorni ludici della giocosità e della fiaba.
Lo
scintillio intellettuale e quel lampo artistico colorato di genio che riposa nelle
menti di alcuni esseri umani hanno mosso Emanuele
Merlino e Beniamino Delvecchio (“Foiba rossa. Norma Cossetto, storia di un’italiana”,
Ferrogallico editrice) ad eleggere il
fumetto come forma estetica e comunicativa per raccontare la storia di una
ragazza, di anni 23, italiana, nativa dell’Istria, vilipesa e stuprata da
diciassette partigiani comunisti titini e gettata ancora viva in una foiba,
nella notte fra il 4 e il 5 ottobre 1943. Quella ragazza si chiamava Norma
Cossetto.
Merlino - apprezzato studioso
e storico - e Delvecchio, inconfondibile disegnatore di Diabolik il cui tratto di
matita lo si riconosce anche in questo lavoro - con immagini rapide e metodo
didattico e didascalico, narrano di Norma Corsetto e, tramite il suo eroico
martirio, delle indicibili sofferenze di quei 10.000 italiani infoibati e dell’indescrivibile
dramma di 350.000 esuli italiani dalmati, istriani e giuliani.
Le
ideazioni di Emanuele Merlino, nel
trasformarsi nelle raffigurazioni fumettistiche di Beniamino Delvecchio, mai si compiacciono della violenza e della
truculenza, velatamente evocandole similmente a tragedie della Grecia classica,
sussurrando al lettore abissi e orrore.
Le
immagini, ancor più della parola, ancor più dello scritto, fanno sentire, fanno
provare, forgiano emozioni, talvolta in maniera autenticamente prorompente.
Io mi
sono sentito sull’orlo della foiba.
Io mi
sono sentito inghiottire nell’oscurità di quel pozzo senza fondo dove Norma
Cossetto e altri 10.000 italiani sono stati precipitati, molti ancora vivi,
insieme alla carcassa di un cane nero in modo che non potessero riposare
neanche da morti, secondo una leggenda slava.
Io ho visto
senza vedere diciassette belve titine abusare, uno alla volta, per diciassette volte, del corpo di una
ragazza che voleva solo laurearsi e cantare il suo amore per L’Italia.
Io ho
sentito il freddo, le urla, il terrore, la ferocia della ghenga comunista.
Merlino e Delvecchio mostrano poco ma irrompono, delicatamente e senza
riguardi, nel lettore senza sonoro, effetti speciali o schermi pluridimensionali.
Solo immagini, solo disegni, solo fumetto.
L’Autore
e il Disegnatore realizzano un’opera di maieutica socratica facendo partorire ed
emergere verità inabissate nell’oblio programmato da una storiografia ideologicamente
orientata (e, in quanto tale, negatrice di se stessa).
L’Autore
e il Disegnatore ridonano il sorriso ad una ragazza che voleva solo laurearsi e
rendere onore ad una Patria in cui credeva e che così tanto amava da accettare
il martirio.
Quella
laurea, Norma Cossetto, l’ha ricevuta ad
honorem dall’Università
di Padova l’8 maggio 1949.
Cartine
geografiche e scritti perimetrano a livello territoriale e storico gli
accadimenti raccontati, ma saranno i disegni a prendere il sopravvento. I tratti
di matita sfumano e si confondono nei ricordi e i ricordi non sono altro che intimi
sentimenti che sembravano evaporati e che invece divengono emozioni, che finalmente possono liberarsi e librarsi in un
pianto non più trattenibile.
Fabrizio Giulimondi
Recensione molto toccante!
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