Steven Spielberg è il
cinema e il cinema è Steven Spielberg.
L’ “attacco”
alla “Salvate il soldato Ryan” e le ambientazioni rarefatte newyorkesi insieme
ad atmosfere raffinate evocanti la morbidezza ed eleganza scenica del film “Il
ponte delle spie”, ricamano un lavoro cinematografico (The Post di Steven Spielberg)
al quale la triangolazione Spielberg,
Meryl Streep e Tom Hanks fa scalare vette himalayane autoriali, attoriali,
recitative, interpretative, estetiche ed artistiche.
“La
libertà di stampa serve il governato non il governante”, questo è quanto stabilito
la Corte Suprema degli Stati Uniti e questo è il fil rouge che percorre trenta anni di menzogne sulla guerra in
Vietnam, partendo dal 1950 per giungere al 1971.
Il Pentagon Papers è il documento riservato
proveniente dalle segrete stanze del Ministero della Difesa statunitense, che finisce
prima nelle mani del New York Times e poi approda sulle scrivanie del Washington
Post, il cui editore (Meryl Streep) e
il direttore (Tom Hanks)
giganteggiano nella storia sia come protagonisti delle vicende sia come eccelsi
attori. La figura originariamente sopita e titubante dell’editrice assumerà
connotati eroici, anche grazie al supporto del suo direttore, verso l’imbrunire
di una pellicola che merita di essere vista e di ricevere molte “Statuette”.
L’accorto
mixage e shakeraggio di più elementi, come il puntiglioso rispetto della
storia nelle sue pieghe anche di natura giudiziaria, lo scrutinio delle immani
pressioni politiche e istituzionali subite dai protagonisti delle avvenimenti,
unitamente all’attenta analisti introspettiva di personalità ben delineate nei
loro tratti psicologici e caratteriali, colloca "The post" nel firmamento della grande tradizione cineastica
americana di cui Spielberg è l’impareggiabile imperatore.
Fabrizio Giulimondi
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