Strano a dirsi ma il bel film di Bernardo Bertolucci “Io e te” - proiettato all’ultima mostra internazionale del cinema di Cannes e tratto dall'omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti - ha un finale positivo (finisce bene!), a
fronte di una tradizione cinematografica
italiana che gongola nei finali a tinte fosche.
Lorenzo ha quattordici anni e gravi disturbi relazionali: possiede un “Sé” tale che non ha
bisogno degli altri, escludendoli del tutto. Solo con la madre (il padre compare solo per pochi istanti) un po’
comunica, seppur questi contatti umani contengono elementi di morbosità.
Il ragazzo, interpretato dallo stesso attore che ha
vestito i panni del figlio di Cetto Laqualunque,
fingendo di andare in settimana bianca con la scuola – notizia che aveva
suscitato la inevitabile contentezza della famiglia – si rifugia nelle cantine
dello stabile ove vive attrezzandosi a
mo’ di campeggio. Il programma di
Lorenzo di passare sette giorni finalmente da solo, senza essere costretto ad
intrattenere alcun tipo di rapporto con alcuno, naufraga nell’arrivo inaspettato
di Olivia, sua sorellastra dal lato paterno, di qualche anno più grande,
tossicomane in crisi di astinenza da
eroina.
La presenza di Olivia trasformerà il progetto di
Lorenzo di beata e folle solitudine in una scuola di umanità, di aiuto, di emozioni
e di dialogo.
Il fratello imparerà a volere bene e a non aver timore
di esprimerlo abbracciando la sorella e la sorella acquisterà una dose di eroina, che
non consumerà per averlo promesso al fratello.
Una volta tanto un the
end non drammatico ma proiettato ad una visione maggiormente luminosa del
futuro dei protagonisti dell’opera e, attraverso loro, di tutti quegli adolescenti in carne ed ossa raccontati
da Lorenzo e Olivia.
Fabrizio
Giulimondi
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