Venuto al mondo, come il
precedente Non ti muovere, è la
versione cinematografica - diretta e
interpretata da Sergio Castellitto - del romanzo della brava scrittrice e coniuge
Margaret Mazzantini.
Il primo tempo si snoda in maniera tranquilla, pur
sempre nella onnipresente carica drammatica, fra l’Oggi e lo Ieri. L’Oggi vede Penelope Cruz nei panni di Gemma risucchiata nel passato a seguito della telefonata di un vecchio amico di Sarajevo, dove si recherà
insieme al figlio Pietro (lo straordinario giovane attore Pietro
Castellito), lasciando il marito, ufficiale dei carabinieri (ma non padre del
ragazzo: chi è il vero padre?), a Roma.
Lo Ieri è la
vita a Sarajevo raggiunta da Gemma per studiare i poeti e i drammaturghi dell’allora Iugoslavia. Lì la
protagonista ha trovato una comunità di amici molto legati fra di loro,
astretti da comuni interessi letterari e teatrali. Poi la Repubblica Socialista
Federale di Iugoslavia nel 1990 implode, scoppiano le guerre di indipendenza Slovene e Croate e,
infine, arriva l’orrore delle barbarie poste in essere dalle milizie comuniste
serbe durante l’aggressione della Bosnia-Erzegovina nel 1992: la capitale Sarajevo viene tenuta sotto assedio per 43 mesi!
Il secondo tempo è ambientato prevalentemente in questa
mostruosità, ove sarà messo alla luce Pietro (di chi è figlio Pietro?), in
ragione dell’immenso desiderio di Gemma di
avere un figlio per legarsi indissolubilmente a suo marito, Diego, che ama e da
cui è amata intensamente. A Gemma era stata proferita la condanna che il suo utero era incompatibile alla vita.
La Mazzantini, quando ha delineato e strutturato nella sua
mente il romanzo Venuto al mondo, riempiendolo di contenuti, di idee e di
emozioni (pur avendolo buttato giù molti
anni dopo), era incinta di uno dei due figli (che guarda caso si chiama Pietro
ed è lo stesso attore che ricopre il ruolo di Pietro-figlio di Gemma) ed era in corso l’attacco bellico dell’esercito serbo-montenegrino contro le popolazioni bosniache.
Le televisioni di tutto il mondo mostravano i corpi dei bambini di Sarajevo uccisi dai
cecchini dei serbi di Bosnia, i quali si
divertivano un mondo a godersi lo spettacolo della incommensurabile disperazione delle loro madri.
La
Mazzantini sente nel suo cuore cosa voglia significare per una
donna sentirsi dire “il tuo utero è incompatibile con la vita!” Il dramma e la
lama che entra nell’anima di Gemma sono
– e non potrebbe essere altrimenti! – meglio rappresentati nel romanzo, dovendo
inevitabilmente la trasposizione sul grande schermo ridurre racconto, storia e
sviluppo narrativo del libro e, quindi, ridimensionarne emozioni e tragedie.
Stupri orripilanti di donne da parte di gruppi di
soldati-animali-comunisti serbi; donne che si suicidano; bambini ammazzati da cecchini gongolanti; città distrutte; gente terrorizzata in fuga; una comunità annientata; l’inutilità
dei caschi blu dell’O.N.U.. In questo scenario dantesco Gemma capisce cosa sia
successo nelle Terre slave al suo ritorno in Italia circa la scomparsa di Diego e il
figlio Pietro.
Lentamente, con la commozione della platea, da cui vedrete
scorgere non poche lacrime, madre e
figlio si riavvicineranno e Pietro amerà sua madre senza più cortine fumose e, Gemma griderà con forza: “Pietro è mio figlio,
mio figlio capite?”
Durante tutta la proiezione del film, specialmente nel
secondo tempo, non sono riuscito neanche per un secondo a non pensare alla
massa di pacifisti che con le loro bandierine
arcobaleno e le loro magliettine con
l’effige di Che Guevara (ma insieme a Fidel Castro non ha sconfitto Batista con le armi?o ricordo
male?) riempivano le piazze delle più importanti città italiane avverso l’intervento militare nei Balcani su
disposizione del Governo D’Alema nel
1999, intervento necessario e non più procrastinabile per impedire la
prosecuzione dello sterminio delle popolazioni etnicamente diverse da quelle
serbe e gli stupri di massa delle donne bosniache ed albanesi ad opera delle truppe militari e delle
milizie paramiliari guidate dai crudeli mostri sanguinati Slobodan Milosevic,
prima Presidente della Repubblica Federale di Yugoslavia, poi di quella serbo-montenegrina,
Radovan Karazic, comandante in capo dell’esercito
serbo-bosniaco e Ratko Mladic, generale serbo bosniaco.
Chissà se queste
anime belle che gridavano contro la
guerra imperialista occidentale sapevano
che ne era già in corso una, estremamente efferata, al di là delle coste adriatiche
italiane sin dal 1992 e, che gli abitanti di Pristina, di Sarajevo e di Srebrenica
attendevano come angeli salvatori gli aerei americani ed europei, inclusi quelli italiani, non facendosene nulla dei
disarmati soldati appartenenti ai mezzi di interposizione delle Nazioni Unite.
Fabrizio Giulimondi
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