Nelle
librerie è approdato l’ultimo lavoro letterario di uno dei maggiori Autori
thriller europei, “L’uomo del labirinto”
di Donato Carrisi (Longanesi). I successi di vendite e
traduzioni in molti idiomi de Il
suggeritore, Il tribunale delle anime, L’ipotesi del male, Il cacciatore del
buio, Il maestro delle ombre e, non ultimo, La ragazza nella nebbia - di
cui Carrisi è stato anche registra della
trasposizione cinematografica -, hanno lanciato l’eclettico e geniale Scrittore
nel panorama internazionale.
“L’uomo del labirinto” immerge di nuovo il
lettore nel buio catacombale di labirinti sotto città che restano senza nome e
senza connotazioni geografiche, in sotterranei privi di luce che si dipanano
lungo la narrazione speculare di un sadico consolatore rinchiuso e rinchiudente
le altrui esistenze in un reticolato nascosto nella terra che, nell’attraversare
il deep web, risucchia e infetta i “figli
del buio”.
Lo
stile è meno di Carrisi e più di Faletti, al cui Niente di vero tranne gli occhi l’osservatore rimanda la mente
quando si imbatte in un detective affezionato frequentatore di un trans. Lo
schema narrativo si avvicina a quello del film Saw (e dei suoi sequel)
di James Wan, con innesti evocativi alla pellicola del 1999 8mm – Delitti a luci rosse di Joel
Schumacher. L’investigatore privato Genko è la storpiatura nel cognome dell’ispettore
Ginko, che trascorre invano la sua vita a catturare Diabolik e, al pari di
Ginko, l’investigatore protagonista del romanzo cerca da quindici anni di
trovare una ragazza scomparsa nel buio. Genko, però, ignora che v’è in corso
una staffetta del male che ha lo stesso sapore ricostruttivo che registriamo ne
Il tocco del male, diretto nel 1998
da Gregory Hoblit.
Il coupe de theatre finale lascia aperto una
probabile prossima opera che si ricongiungerà alla prima: Il suggeritore.
Meno
mordace, in certi passaggi il racconto risulta un poco debole per la inspiegabile
capacità dell’“attore principale” di giungere troppo facilmente a soluzioni e
testimoni, pur rimanendo lo stile agile e accattivante, punteggiato da un linguaggio
ben lungi da quello ricercato de Il
cacciatore del buio e Il maestro
delle ombre. L’itinerario immaginifico è lontano dalle passate atmosfere
misteriose ed esoteriche. Le tinte claustrofobiche della storia si abbracciano
con toni turpi che occhieggiano ad orripilanti pratiche pedofile (mai
ellenicamente esplicitate) e a degenerazione porno- sessuali.
“Non esiste azione umana che non lasci tracce.
Specie se si tratta di un atto criminale”.
Fabrizio Giulimondi
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