“Napoli velata” è l’ultima opera cinematografica di Ferzan Ozpetek da un titolo affascinante non consentaneo alla narrazione cineastica.
Il film,
dalle caratteristiche tinte purpuree proprie della produzione artistica di Ozpetek, immerse in ambientazioni
raffinate che si alternano fra musei ed edifici del barocco e rococò napoletano
e suggestivi vicoli partenopei, è costellato da ideazioni immaginifiche,
presenze ectoplasmatiche, oggetti e immagini cariche di simbolismi e voluti
richiami psicoanalitici (connotati peculiari propri del cinema del regista
turco). A tratti noioso, altre volte confuso, la ripetitività delle tematiche
rischia di far scappare lo sbadiglio; talora tronfio e pretenzioso, l’occhiuto
Autore dietro la pellicola pare voglia costringere lo spettatore a comprendere come la verità non sia quella che appare essendo
essa stessa – come altri aspetti della vita – velata, similmente ad una tormentata statua
palesata al pubblico verso il calare della proiezione, da uno strato di incomprensione, di nascosto,
di non svelato, taciuto, non detto, negato. Soltanto un dono celato da tempi immemorabili
in uno scrigno, costituito da un bulbo oculare, indica alla protagonista (Giovanna Mezzogiorno, brava attrice
lontana dallo schermo da alcuni anni per essere diventata madre, impegnata, lei sempre
pudica, in fastidiosi quanto brutali virtuosismi erotici) cosa le sia accaduto
in un lontano passato.
La
conclusione – oscura – è aperta alle più
variopinte interpretazioni.
D’altronde
Ozpetek è come il caviale e le
ostriche: anche se non piacciono debbono obbligatoriamente essere graditi.
Il
cast di attori appartiene prevalentemente alla eccellenza campana - le cui artefatte fisionomie edulcorano il
bello esasperando aspetti prospettici volgari e grotteschi - e va da Alessandro
Borghi a Anna Bonaiuto, Peppe Barra,
Luisa Ranieri, Maria Pia Calzone, Isabella Ferrari, Lina Sastri.
Colpisce
l’assenza del divieto della visione ai minori: evidentemente è conseguenza dell’epoca
che stiamo vivendo in cui ai bambini è proibito pregare o fare il presepe nelle scuole pubbliche, ma certamente non mostrar loro una possente quanto dolorosa penetrazione anale (mi auguro che
siffatto sintagma sia compatibile con la neo-lingua)
Fabrizio Giulimondi
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