Una delle misure più radicali introdotte dal decreto “Salva Italia” (art. 6 d.l. 201/2011, conv. in l. 214/2011) consiste nella abrogazione secca degli istituti del riconoscimento della infermità da causa di servizio e, del consequenziale rimborso delle spese di degenza, dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata.
Questi
sono istituti di natura previdenziale di diretta emanazione del principio
solidaristico di cui all’art. 38 della Costituzione, la cui ratio era quella di fornire un equo
indennizzo a chi, a causa del servizio prestato, si fosse trovato menomato
della propria integrità fisica. Essi sono nati e sono stati applicati nel settore del pubblico impiego sin dal D.P.R.
3/1957, il cui art. 68 disponeva: “ per le infermità riconosciute dipendenti da
causa di servizio, è a carico dell’Amministrazione la spesa per la
corresponsione di un equo indennizzo per la perdita della integrità fisica
eventualmente subita dall’impiegato civile dello Stato”.
La Corte Costituzionale
ha inserito tale istituto nel sistema previdenziale per le invalidità subite
dai pubblici dipendenti (disciplina successivamente estesa al personale
militare).
Analogamente
è stato riconosciuto al dipendente pubblico il pagamento, a carico della
Amministrazione di appartenenza, delle spese di cura, incluse quelle per il
ricovero in istituti sanitari o di protesi, sempre qualora l’infermità fosse
originata da ragioni di servizio.
Il
pagamento della indennità e delle cennate spese si fondava sul rapporto di causalità fra la forma morbosa
e l’attività lavorativa.
Il
sistema è stato completato con il riconoscimento della pensione privilegiata al
dipendente statale che, in ragione di infermità o lesioni dipendenti da fatti
di servizio, fosse rimasto inabile al lavoro.
I
procedimenti amministrativi instaurati in tale settore sono stati semplificati,
aggiornati e razionalizzati dal D.P.R. 461/2001, mentre il D.P.R. 1124/1965 ha
introdotto l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali solo per coloro che esercitano attività lavorative
pericolose.
Due sono
gli scopi che si sono voluti raggiungere con la cancellazione di questi istituti: la riduzione della spesa
pubblica e la eliminazione di un “privilegio” a favore dei lavoratori pubblici.
Una
eccezione è rappresentata per il personale pubblico appartenente al comparto
sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico, in forza dei maggiori rischi in cui esso va incontro
nello svolgimento della propria professione.
In
conclusione, il legislatore è in netto contrasto con l’ottimismo palesato
dalla Corte Costituzionale nel lontano 1984, quando, nella decisione n. 191, chiosò: ” Certo è
auspicabile che possa nel nostro ordinamento pervenirsi pure al ristoro di tale
danno (ndr economico, in aggiunta
a quello alla integrità fisica), ma
rientra nei poteri del legislatore di valutare se e quando esistono le
condizioni che consentano di farvi luogo.”.
Non solo
dopo trent’anni non sono sopravvenute le
condizioni per dare corpo a tale ampliamento, ma sono venute addirittura meno
quelle per mantenere in vita gli emolumenti preesistenti.
Prof.
Fabrizio Giulimondi
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