martedì 4 aprile 2017

“SANT’ANNA DI STAZZEMA. IL PROCESSO, LA STORIA, I DOCUMENTI” DI MARCO DE PAOLIS E PAOLO PEZZINO (VIELLA)


 
Sant’Anna di Stazzema. Il processo, la storia, i documenti”, di Marco De Paolis e Paolo Pezzino (Viella)
Lavoro attento, puntuale e puntiglioso, ottimamente corredato di documentazione giudiziaria e processuale e corposamente annotato con richiami agli studi dei migliori storici esperti di quell’epoca, intercetta due piani di ricerca: quello storico e quello processual - giudiziario.
I fatti sono sottoposti a due lenti di ingrandimento: quella del giuristi (De Paolis) e quella dello storico (Paolo Pezzimo). Due intelletti che accentrano la propria azione sul medesimo fatto e su quanto avvenuto negli anni successivi. Bello il tocco di umanità che viene messo in luce in mezzo a tanta barbarie ad opera proprio di uno di quei barbari: fra di loro ve n’era qualcheduno in cui ancora germogliava un labile segno di umanità quando qualche ufficiale bloccò operazioni di eliminazione di massa o fece finta di sparare contro donne e bambini inermi.
Il 22 giugno 1944 a Sant’Anna di Stazzema diversi reparti tedeschi delle SS fecero un vero e proprio eccidio che vide, secondo le fonti storiche e la documentazione raccolta dalla magistratura militare che si occupò della vicenda, 363 morti brutalmente ammazzati, inclusi donne e bambini, finanche di soli 20 giorni.
La strage si affianca ad altre realizzate dai nazisti nella stessa zona, come in altre parti dell’Italia occupata. Lo scopo che muoveva questi massacri di popolazione civile inerme era far comprendere agli italiani che non dovevano prestare alcun aiuto ai partigiani ed ai disertori.
Le vicende storiche raccontate dettagliatamente nel saggio si intersecano fatalmente con quelle politico-istituzionali e processuali dei decenni successivi.
Punti essenziali sono:
si sono svolti tre procedimenti giudiziari: uno del comando alleato britannico, uno della magistratura italiana ordinaria per gli autori civili dei crimini, uno della magistratura italiana penale per gli autori militari germanici.
Su questo ultimo aspetto si basa parte del lavoro.
Sino al 1960 si indagò in mezzo a mille difficoltà.
Nel 1960 a seguito del decreto del Procuratore Generale militare si archiviò il procedimento si Sant’Anna di Stazzema e il fascicolo insieme ad altri 694 scomparve.
Nel 1994 furono ritrovati “misteriosamente” 695 fascicoli (incluso quello in parola) nei locali della Procura Generale militare di Roma: 34 anni persi!
Nel maggio del 2002 si avvia un nuovo procedimento penale militare con la richiesta di 14 rogatorie prevalentemente verso la Germania (alcune per l’Austria e per gli Stati Uniti).
Il 22 giugno 2005 si conclude finalmente con una sentenza di condanna di 10 SS, sentenza confermata in Corte di Appello militare e, infine, in Cassazione. Questa decisione è una pietra miliare della giurisprudenza militare in questo settore: sino ad allora erano passibili di sanzione penale solamente i vertici militari (ufficiali, etc); con questa sentenza anche un semplice soldato che abbia contribuito con il proprio operare alla causazione dell’evento criminoso è condannabile (per concorso nel compimento della condotta delittuosa e inescusabilità nella esecuzione di un ordine manifestamente criminoso)
Dei dieci condannati nessuno ha espiato la pena per ostacoli frapposti dalle Procure dello Stato di Stoccarda e Amburgo.
La memoria delle vittime ha visto un ristoro solo parziale dell’orrore subito: la magistratura militare italiana ha cercato di dare un minimo di risposta al desiderio di giustizia, ma la Germania ad essa non ha risposto frapponendo ostacoli di vario genere, di natura extra-processuale e di altro ordine.
Questo libro mette nero su bianco la caparbietà dell’Autore – che si è dipanato nei meandri di un momento storico estremamente delicato e complesso -  nella ricerca di quella giustizia le cui vittime del massacro ed i loro cari reclamavano da troppi decenni.

I Tribunali divengono luoghi dove la storia transita e il giudice non solo svolge il costituzionale ruolo di somministrare condanne ma anche di riparare, incominciando dall’oblio. Il rito processuale non è solo un insieme di fredde regole codicistiche ma consacra e dà voce alla memoria di coloro che sono sopravvissuti e che, testi in un processo divengono fatalmente testimoni di un ricordo incancellabile che i tribunali con le loro ritualità aiutano a mantenere e a tramandare. La parola data ad una persona che assume la veste di testimone è già essa stessa esercente una funzione riparatrice, perché è rinnovo di un ricordo, un ricordo che fa sì che quei morti trucidati non lo siano stati invano.
Fabrizio Giulimondi 

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