“Sant’Anna di Stazzema. Il processo, la
storia, i documenti”, di Marco De Paolis
e Paolo Pezzino (Viella)
Lavoro
attento, puntuale e puntiglioso, ottimamente corredato di documentazione
giudiziaria e processuale e corposamente annotato con richiami agli studi dei
migliori storici esperti di quell’epoca, intercetta due piani di ricerca:
quello storico e quello processual - giudiziario.
I fatti
sono sottoposti a due lenti di ingrandimento: quella del giuristi (De Paolis) e quella dello storico (Paolo Pezzimo). Due intelletti che
accentrano la propria azione sul medesimo fatto e su quanto avvenuto negli anni
successivi. Bello il tocco di umanità che viene messo in luce in mezzo a tanta
barbarie ad opera proprio di uno di quei barbari: fra di loro ve n’era qualcheduno
in cui ancora germogliava un labile segno di umanità quando qualche ufficiale
bloccò operazioni di eliminazione di massa o fece finta di sparare contro donne
e bambini inermi.
Il 22
giugno 1944 a Sant’Anna di Stazzema diversi reparti tedeschi delle SS fecero un
vero e proprio eccidio che vide, secondo le fonti storiche e la documentazione
raccolta dalla magistratura militare che si occupò della vicenda, 363 morti
brutalmente ammazzati, inclusi donne e bambini, finanche di soli 20 giorni.
La
strage si affianca ad altre realizzate dai nazisti nella stessa zona, come in
altre parti dell’Italia occupata. Lo scopo che muoveva questi massacri di
popolazione civile inerme era far comprendere agli italiani che non dovevano
prestare alcun aiuto ai partigiani ed ai disertori.
Le
vicende storiche raccontate dettagliatamente nel saggio si intersecano
fatalmente con quelle politico-istituzionali e processuali dei decenni
successivi.
Punti
essenziali sono:
si
sono svolti tre procedimenti giudiziari: uno del comando alleato britannico,
uno della magistratura italiana ordinaria per gli autori civili dei crimini,
uno della magistratura italiana penale per gli autori militari germanici.
Su
questo ultimo aspetto si basa parte del lavoro.
Sino
al 1960 si indagò in mezzo a mille difficoltà.
Nel
1960 a seguito del decreto del Procuratore Generale militare si archiviò il
procedimento si Sant’Anna di Stazzema e il fascicolo insieme ad altri 694
scomparve.
Nel
1994 furono ritrovati “misteriosamente” 695 fascicoli (incluso quello in parola)
nei locali della Procura Generale militare di Roma: 34 anni persi!
Nel
maggio del 2002 si avvia un nuovo procedimento penale militare con la richiesta
di 14 rogatorie prevalentemente verso la Germania (alcune per l’Austria e per
gli Stati Uniti).
Il 22
giugno 2005 si conclude finalmente con una sentenza di condanna di 10 SS,
sentenza confermata in Corte di Appello militare e, infine, in Cassazione. Questa
decisione è una pietra miliare della giurisprudenza militare in questo settore:
sino ad allora erano passibili di sanzione penale solamente i vertici militari
(ufficiali, etc); con questa sentenza anche un semplice soldato che abbia
contribuito con il proprio operare alla causazione dell’evento criminoso è
condannabile (per concorso nel compimento della condotta delittuosa e
inescusabilità nella esecuzione di un ordine manifestamente criminoso)
Dei
dieci condannati nessuno ha espiato la pena per ostacoli frapposti dalle Procure
dello Stato di Stoccarda e Amburgo.
La
memoria delle vittime ha visto un ristoro solo parziale dell’orrore subito: la
magistratura militare italiana ha cercato di dare un minimo di risposta al
desiderio di giustizia, ma la Germania ad essa non ha risposto frapponendo
ostacoli di vario genere, di natura extra-processuale e di altro ordine.
Questo
libro mette nero su bianco la caparbietà dell’Autore – che si è dipanato nei
meandri di un momento storico estremamente delicato e complesso - nella ricerca di quella giustizia le cui
vittime del massacro ed i loro cari reclamavano da troppi decenni.
I
Tribunali divengono luoghi dove la storia transita e il giudice non solo svolge
il costituzionale ruolo di somministrare condanne ma anche di riparare,
incominciando dall’oblio. Il rito processuale non è solo un insieme di fredde
regole codicistiche ma consacra e dà voce alla memoria di coloro che sono
sopravvissuti e che, testi in un processo divengono fatalmente testimoni di un
ricordo incancellabile che i tribunali con le loro ritualità aiutano a
mantenere e a tramandare. La parola data ad una persona che assume la veste di
testimone è già essa stessa esercente una funzione riparatrice, perché è
rinnovo di un ricordo, un ricordo che fa sì che quei morti trucidati non lo
siano stati invano.
Fabrizio Giulimondi
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