E’
postuma l’ultima opera del grande romanziere statunitense Kent Haruf “Le nostre anime
di notte” (NNE). Stava per
accingersi a morire e Haruf aveva
necessità di dare il suo “Addio” alla cittadina di Holt ed ai suoi abitanti
della working e medium class. Il testo è pubblicato senza correzioni, così come
partorito dall’Autore, ed è evocata dalla narrazione stessa la necessità di
sbrigarsi, di fare in fretta, perché il tempo sta finendo. Il “Non c’è più
tempo” è nei dialoghi dei protagonisti e nei silenzi, nelle pause, nel “non detto”
del romanzo. Il tempo ed il suo cinico e feroce trascorrere è l’”in sé” del
libro, la sua vera trama.
Lo
stile è morbido e caldo come un piumone nelle notti gelide invernali.
L’intimità
è il core del romanzo e la prova il lettore
durante le chiacchierate notturne fra Louis e Addie mentre stanno al letto e
fuori si sente il tintinnio delle gocce di pioggia, o nelle cene in campeggio
intorno al fuoco all’aperto. Non vi impressionate, cari lettori, se avvertirete
il tempore della legna che arde.
I
sentimenti sono semplici quanto autentici e creano famiglia, senso di
appartenenza e comunità.
Holt
è un luogo dell’anima, oltre il tempo e lo spazio, come Hora nelle opere di
Carmine Abate.
Ad Holt
chi l’ha conosciuta vuole tornarci, chi non l’ha ancora incontrata vuole
entrarvi.
Il tocco
lieve di Haruf rende sopportabile il
trauma di una morte terribile ed improvvisa, come dell’abbandono di un
ragazzino da parte della madre.
I
romanzi di Kent Haruf sono carezze in
ambientazioni bucoliche che scrutano bonariamente la vita quotidiana di persone
che, senza accorgersene, divengono eroi nella loro anti-eroicità.
“Le nostre anime di notte” pone l’ultima
pietra sulla elegia alla cittadina di Holt su cui era stata costruita la “Trilogia
della Pianura” (“Canto della pianura”, “Crepuscolo” e “Benedizione”), e la
lontananza si fa ricordo e poi già nostalgia.
"Adoro questa cosa. E’ meglio di quel che
speravo. E’ una specie di mistero. Mi piace per il senso di amicizia. Mi piace
il tempo che passiamo insieme. Starcene qui al buio di notte. Parlare. Sentirti
respirare accanto a me se mi sveglio. […] Amo questo mondo fisico. Amo questa
vita insieme a te. E il vento e la campagna. Il cortile, la ghiaia sul
vialetto. L’erba. Le notti fresche. Stare a letto al buio e parlare con te. […]
Quando lui andava da lei, continuavano a passare le notti abbracciati, ma era
più che altro abitudine e malinconia e presagio di solitudine e scoramento,
come se cercassero di fare scorta di quei momenti insieme in previsione di ciò
che sarebbe successo”.
Fabrizio Giulimondi
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