La legge 8 marzo 2017, n. 24 “Disposizioni in
materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di
responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” (c.d.
legge Gelli - Bianco), approvata in via definitiva il 28 febbraio 2017 dopo
oltre tre anni di iter parlamentare,
trae origine da numerosi progetti di legge che si sono incrociati e fusi nel
testo unico definitivo ora divenuto legge dello Stato.
·
“Linee Guida” e buone pratiche
L’art. 5 della legge
24/2017 stabilisce che i professionisti sanitari sono tenuti a osservare le “Linee
Guida” elaborate da estensori “validati”, ovvero – in mancanza delle “Linee
Guida” – ad attenersi alla buona pratica clinico-assistenziale; di tale adesione
si terrà conto in sede di valutazione della condotta in ambito penale (ex art. 6) e in ambito civile (ex art. 7).
I destinatari della norma sono i professionisti sanitari che
esercitano prestazioni con finalità preventiva, diagnostica, terapeutica, palliativa,
riabilitativa e di medicina legale: paiono dunque essere ricomprese le
categorie mediche, tecnico-sanitarie e infermieristiche.
Le “Linee Guida” hanno
avuto la loro consacrazione normativa con la legge Balduzzi. Come definizione
di “Linee Guida” può essere utilizzata quella elaborata dall’Institute of Medicine nel 1992: “Raccomandazioni di comportamento clinico,
elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e
delle opinioni di esperti, con lo scopo di aiutare i medici e i pazienti a
decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni
cliniche, nel tentativo di aiutare il
professionista a orientarsi nell’ampia letteratura su tematiche mediche oggi
proveniente da più fonti”. E’
opportuno precisare che, nonostante talvolta si assista a un’impropria sovrapposizione
terminologica, le “Linee Guida” sono ben diverse rispetto alle check list, alle procedure, ai protocolli,
ai profili di cura, ai percorsi diagnostico-terapeutici. Le “Linee Guida” raccolgono evidenze oggettive
e individuano comportamenti mirati ad appropriatezza e sicurezza della cura, in
maniera proporzionale alla “validità” scientifica dei loro presupposti, oltre a
sviluppare le risultanze derivanti dalla letteratura scientifica in
comportamenti clinici “possibili” (implementabili ed adattabili a seconda delle
caratteristiche della singola realtà), ma non certo “imperativi”; invece, i
protocolli e le procedure operative dettagliano una sequenza logica di azioni,
predefinita e standardizzata, con le finalità di uniformare i comportamenti:
essi, dunque, hanno carattere “vincolante”.
·
Responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria
L’art. 6 della legge 24/2017 introduce nel codice penale
l’art. 590 sexies c.p. dedicato alla
responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario, che
recita: “1. Se i fatti di cui agli
articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si
applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora
l’evento si è verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando
sono rispettate le raccomandazioni previste dalle “Linee Guida” come definite e
pubblicate ai sensi della legge ovvero, in mancanza di queste, le buone
pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle
predette “Linee Guida” risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
2. All’articolo 3 del decreto-legge
13 settembre 2012, n. 189, il comma 1 è abrogato”.
Per ricostruire la portata innovativa della cennata
disposizione occorre partire dal comma 2 dell’art. 590 sexies c.p. che abroga l’articolo 3, comma 1, della legge 8 novembre
2012 n. 189 (legge Balduzzi), secondo cui “l’esercente
la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si
attiene a “Linee Guida” e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica
non risponde penalmente per colpa lieve”.
La disciplina della legge
Balduzzi ha parzialmente depenalizzato le fattispecie incriminatrici colpose di
cui agli articoli 589 e 590 c.p., escludendo la rilevanza penale delle condotte
connotate da colpa lieve che si collochino all’interno dell’area segnata da “Linee
Guida”o da virtuose pratiche mediche, purché accreditate dalla comunità
scientifica (su questa linea di pensiero cfr. una fra tutte: Cass. IV, 29
gennaio 2013).
La legge Balduzzi, anche alla luce della appena approvata
legge 24/2017 e della correlata interpretazione giurisprudenziale di merito e
di legittimità, conferma che non vi sono spazi di impunità per le condotte
colpevoli del sanitario alla cui base vi sia negligenza e imprudenza.
La negligenza e
l’imprudenza costituiscono profili di colpa che non ammettono un esonero di
responsabilità, perché il medico deve essere comunque prudente e diligente. E’
nel momento in cui il medico deve esercitare la propria capacità tecnica (ad
esempio: diagnosi, effettuazione esami, scelta intervento pertinente) che si
deve disquisire sulla sua perizia. In questa prospettiva la presenza di “Linee
Guida” - o, in loro mancanza, di best
practices – assume rilievo ai fini della esclusione della responsabilità
penale delle scelte e delle decisioni.
La novità più importante
della legge 24/2017 rispetto al decreto Balduzzi è rappresentata proprio dal
venir meno del rilievo del grado della colpa. Per colpa grave si intende una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire
appropriato” (cfr. Cass. sez. IV, 15 aprile 2014) e non può certo
essere compatibile con il rispetto delle buone pratiche o delle Linee Guida:
una condotta contrassegnata dalla colpa grave non può in ogni caso essere esente
da responsabilità penale. Anche laddove la legge 24/2017 non richiami la colpa
grave (richiamo fatto, come visto, dal decreto Balduzzi), quest’ultima
determina sempre una responsabilità penale medica e sanitaria.
Le “Linee Guida” da
varare (e non varate neanche dopo l’approvazione nel 2012 del decreto Balduzzi)
e, in subordine, le buone prassi da codificare,
non imbrigliano affatto il libero convincimento del giudice, che resta libero
di valutare se le circostanze concrete non richiedano una condotta diversa,
come, al fine di non umiliare la professionalità del medico, non impediscono all’operatore
sanitario di intervenire diversamente qualora la situazione concreta lo richieda e il suo
bagaglio tecnico e la propria coscienza
lo impongano.
· La
responsabilità civile degli operatori sanitari nella legge“Gelli”
E’
certamente interessante rammentare l’origine dei vari progetti di legge
estrapolando alcuni passaggi rilevanti delle relazioni di accompagnamento delle
proposte e di supporto ai lavori in Commissione.
La legge 24/2017 trae origine da una
esigenza di riequilibrare la disciplina giuridica del rapporto paziente –
operatore sanitario e di introdurre, al contempo, forme nuove di tutela del
paziente danneggiato, prima fra tutte quella di poter agire direttamente contro
l’assicuratore del responsabile (azienda ospedaliera o professionista sanitario
che sia).
La
dottrina e giurisprudenza, scrutinando i testi di volta in volta partoriti
dalle Assemblee, si sono interrogate sulla natura (contrattuale o aquiliana) della
responsabilità civile dell’operatore sanitario e della struttura presso cui egli
presta servizio.
· La
natura contrattuale della responsabilità individuata dalla Suprema Corte
(prima dell’avvento della legge Gelli 24/2017)
“La responsabilità civile del medico è, in
generale, apparsa da sempre come un particolare genus della più ampia
responsabilità del prestatore d’opera. Nella evoluzione della responsabilità
risarcitoria ruolo centrale ha avuto la giurisprudenza di legittimità che,
nell’ambito delle sue funzioni di nomofilachia, ha introdotto profondi
cambiamenti nel campo della responsabilità medica dovendo confrontarsi, in
particolare, con la normativa costituzionale, quella codicistica e delle legislazioni speciali nazionali” …..”Per quel che
riguarda la natura giuridica della prestazione, sia del medico che della
struttura sanitaria, nei confronti del paziente giurisprudenza concorde ritiene
avere natura contrattuale. Tale opinione è autorevolmente suffragata da
Cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 577 del 2008, secondo cui la
responsabilità civile dei medici nei confronti dei pazienti assume carattere
contrattuale e si basa sull’obbligazione nascente da ‘contatto sociale’, che
costituisce un vero e proprio contratto da prestazione d’opera i cui caratteri
trovano fondamento nell’affidamento che il paziente pone nel sanitario. In
relazione alla responsabilità della struttura, la sentenza afferma
l’irrilevanza che il paziente si sia affidato a una struttura pubblica del
servizio sanitario nazionale o a una casa di cura privata (convenzionata o
meno) o a un medico di fiducia che abbia ivi effettuato un intervento: in ogni caso, per la Cassazione, si
configura una responsabilità contrattuale sia del medico che della struttura
sanitaria” [Camera dei deputati - Disposizioni in materia di responsabilità
professionale del personale sanitario - AA.CC. 259, 262, 1312, 1324 - Elementi
per l'istruttoria legislativa - terza edizione - Servizio Studi 40, 29 ottobre
2013].
In un contesto di grande predominanza dell’opera ermeneutica
dei giudici, la considerazione di maggiore rilievo da fare si sostanzia in una
costruzione della responsabilità civile medica che rotea intorno a quella “da
contratto” a mente dell’art. 1218 c.c.
Come si legge in altro passaggio della citata relazione “in
tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di
responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del
riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a
provare il contratto (o il contatto sociale) e l’aggravamento della patologia o
l’insorgenza di una affezione ed allegare l’inadempimento, astrattamente idoneo
a provocare il danno lamentato. Competerà al medico e alla struttura sanitaria
dimostrare o che tale inadempimento
non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato etiologicamente
rilevante.”.
Va da se che, quale chiosa finale, in una tale struttura
processuale, ove il soggetto convenuto non ottemperi in modo esaustivo a tale
gravoso onere probatorio, l’esito del giudizio non potrà che essere di
condanna.
·
Gli elementi aquiliani introdotti dalla legge “Balduzzi”
Vero è che nel 2012 la
c.d. “Legge Balduzzi”, la n. 189, aveva introdotto profili normativi di
richiamo alla responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. del medico ospedaliero, ma, è altrettanto vero
quanto si legge nella stessa relazione, ovvero che “nonostante l’art. 2043 c.c. citato dall’art. 3 della legge 189 faccia
riferimento alla responsabilità extracontrattuale (c.d. aquiliana) è, tuttavia,
da tempo pacifico in giurisprudenza che la responsabilità del medico (ma anche
dell’ente ospedaliero e delle cliniche) per inesatto adempimento della sua
prestazione abbia natura contrattuale, con la conseguenza che trova
applicazione, in tali ipotesi, il regime proprio di questo tipo di
responsabilità sia in riferimento alla ripartizione dell’onere della prova, ai
principi delle obbligazioni da contratto
d’opera intellettuale relativamente alla diligenza e al grado della colpa e
alla prescrizione ordinaria (l’onere della prova non è del paziente ma della
struttura sanitaria, la prescrizione non è quella breve, quinquennale, ma
quella ordinaria di 10 anni)”
E’ certo anche, quanto osservato dagli estensori della
relazione di accompagnamento in richiamo, ove si annotava che “anche
secondo le pronunce giurisprudenziali successive al decreto Balduzzi, il regime
di accertamento della responsabilità civile sanitaria non ha subito mutamenti.
La responsabilità del medico come della struttura sanitaria ha (ancora) natura
contrattuale, ed anche l’obbligazione del medico dipendente dell’azienda sanitaria nei confronti del paziente, seppur
fondata sul contatto sociale, costituisce vincolo contrattuale”.
·
L’ottica di riequilibrio della legge “Gelli” (24/2017) … Verso
la responsabilità civile medica di tipo aquiliano
La legge “Gelli” cerca di
segnare un punto di equilibrio fra il profilo generale della sicurezza pubblica
in sanità, le Linee Guida, le buone pratiche clinico-assistenziali e la
disciplina della colpa penale e civile.
Sarà la prassi
interpretativa, dottrinale e, soprattutto, giurisprudenziale, a dire se questa
ispirazione è stata effettivamente tradotta nelle maglie degli articoli che
introducono tali importanti aspetti innovativi (una volta completato il
percorso di produzione normativa e varati i numerosi decreti legislativi
delegati da disposizioni della legge Gelli).
La nuova legge tende a
riequilibrare la dialettica processuale fra paziente e medico a favore di
quest’ultimo.
Vigente il decreto Balduzzi, la giurisprudenza già era andata
in questo senso.
In particolar modo la
sentenza del tribunale di Milano, I sez. civ., del 17 luglio 2014, tra le prime
ad interpretare in modo sistematico l’art. 3 della legge 189/2012, si sbilanciò
chiaramente per una rilettura aquiliana della colpa del sanitario: “Sia il richiamo letterale alla norma cardine che prevede
nell’ordinamento il “risarcimento per fatto illecito” (art. 2043 c.c.) e
l’obbligo in essa previsto, in capo a colui che per dolo o colpa grave ha
commesso il fatto generatore di un danno ingiusto, sia l’inequivoca volontà
della legge Balduzzi di restringere e di limitare la responsabilità anche
risarcitoria derivante dall’esercizio delle professioni sanitarie, per
contenere la spesa pubblica e porre rimedio al c.d. “fenomeno della medicina
difensiva”, inducono a interpretare la norma in esame nel senso che il richiamo
alla responsabilità da fatto illecito nell’art. 3, c.1, della legge 189/2012, impone
di rivedere il criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria del
medico (dipendente o collaboratore di una struttura sanitaria) per i danni
provocati in assenza di un contratto concluso dal professionista con il
paziente”.
Ciò posto la soluzione giuridica adottata nella decisione di
allora portava all’affermazione del principio seguente: “Sembra dunque corretto interpretare la norma nel senso che il
legislatore ha inteso fornire all’interprete una precisa indicazione nel senso
che, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un
rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile al
medico ( e agli altri esercenti una professione sanitaria) va individuato in
quello della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., con tutto ciò
che ne consegue sia in tema di riparto dell’onere della prova, sia di termine
di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno.”.
Se questa poteva essere già l’interpretazione della legge del
2012 quale espressione della volontà del Legislatore di preservare la posizione
disciplinare del medico nel contesto aquiliano, la pratica giurisprudenziale
successiva si denotò per un forte dissenso verso tale orientamento applicativo
e conservativo di un testo di legge altrimenti di difficile comprensione, nel
senso che numerosi furono le decisioni di senso diametralmente opposto.
Certamente con maggiore
efficacia si pone la novella Gelli, che abbraccia non solo la disciplina della
colpa, definitivamente traslata nell’area della responsabilità
extracontrattuale (del medico dipendente o comunque strutturato nella azienda
sanitaria pubblica o privata), ma anche quella assicurativa e processuale.
In poche parole, si
affianca la responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 2043 c.c. a quella
contrattuale nel rispetto dell’art. 1218 c.c.
L’art.
7 stabilisce una netta bipartizione delle responsabilità dell’ente ospedaliero
e della persona fisica per i danni occorsi ai pazienti.
La
struttura sanitaria assume una responsabilità di natura contrattuale ex art. 1218 c.c., mentre il medico,
salvo il caso di obbligazione contrattuale assunta con il paziente, risponde in
via extracontrattuale ex art. 2043 c.c.
Per
nulla secondarie le conseguenze pratiche di tale qualificazione. Sul fronte
probatorio anzitutto, poiché nel primo caso ( responsabilità contrattuale) al
paziente danneggiato basta provare il titolo (che dimostri il ricovero e dunque
l’assunzione dell’obbligazione da parte dell’ospedale) ed allegare
l’inadempimento, il resto spettando all’ente convenuto; mentre nel secondo caso
( responsabilità extra-contrattuale) l’onere probatorio dell’attore abbraccia
tutti gli elementi della pretesa, e dunque tanto quello oggettivo, nella sua
triade condotta – evento – nesso di causa, tanto quello soggettivo, consistente
nella colpa (o nel dolo). La descritta bipartizione agisce, altresì, sul piano
della prescrizione dell’azione, decorrendo quella contrattuale nell’ordinario termine
decennale (art. 2946 c.c.) e quella aquiliana nel più breve termine
quinquennale (art. 2947 c.c.).
La riforma intende, dunque, diversificare in modo netto le
due posizioni, spostando il rischio sul soggetto maggiormente capiente (la
struttura sanitaria). Ciò, a ben vedere, va a vantaggio tanto dell’esercente la
professione sanitaria, il quale risponde solo dei danni integralmente provati
dal paziente, tanto del paziente che viene invitato ad agire contro chi più
facilmente può ristorare i danni (la struttura sanitaria).
·
Gli aspetti assicurativi
Molta parte della legge
24/2017 è dedicata agli aspetti assicurativi della responsabilità civile
sanitaria, altro elemento che ha fortemente ispirato la novella.
Sempre la relazione illustrativa prendeva spunto dagli atti
della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e
sulle cause dei disavanzi regionali, intrapresa negli ultimi sei mesi della
legislatura precedente, avente ad oggetto, in particolare, le coperture assicurative
presso le aziende sanitarie e ospedaliere.
Il documento conclusivo sottolineava che, nel periodo preso
in esame, i premi assicurativi richiesti alle aziende sanitarie erano
sensibilmente aumentati; contemporaneamente erano stati ritirati dal mercato
prodotti di garanzia della responsabilità civile professionale medica a favore
di prodotti meno rischiosi.
Nello specifico, l’indagine aveva evidenziato il dato che
erano cresciuti del 4,6 % annuo i premi assicurativi che le aziende pagano alle
compagnie, in conseguenza di un altrettanto marcato aumento delle richieste di
risarcimento, mentre erano calati del 75 % i danni liquidati.
L’incremento dei premi assicurativi versati tra il 2006 e il
2011 risultò pari al 23%, passando da 288 milioni di euro complessivamente
versati nel 2006 a 354 milioni del 2011.
Il premio medio annuo assicurativo, pagato dalle aziende
sanitarie a livello nazionale, infine, era passato da 2 milioni di euro nel
2006 a 2.7 nel 2011, con un incremento del 35%.
Da questi ed altri dati
il Legislatore è stato indotto a porre paletti e soluzioni finalizzati
all’ampliamento dell’offerta assicurativa e, contestualmente, alla contrazione
dei premi. A tale proposito v’è da sottolineare che buona parte della novella
assicurativa dovrà essere in seguito disciplinata dai decreti attuativi
richiesti dalla legge approvata.
In special modo, in una
realtà di obbligo assicurativo unilaterale (le imprese di assicurazione non
hanno nessun obbligo a contrarre a differenza della RCA), la riforma volge verso
una nuova valutazione del rischio e della sua sostenibilità. I decreti
legislativi metteranno nero su bianco queste novità.
·
Conclusioni
Se, come appare dalle
prime valutazioni sulla novella, la legge 24/2017 vuole fornire una serie di
strumenti protettivi in difesa dell’operatore sanitario, affrancandolo dalla responsabilità
dell’azienda sanitaria, tale sbilanciamento potrà condurre certamente a un decremento
del costo per il professionista, con pari appesantimento attuariale della
valutazione del rischio per l’azienda.
Se, per fare un esempio, la legge 24/2017 vuole una
riconduzione dell’operatore nel contesto della responsabilità aquiliana, mentre
resta contrattuale la colpa per l’azienda sanitaria, è evidente che questa
diversa disciplina indurrà a canalizzare le richieste, e, quindi, l’esposizione
patrimoniale del danno verso l’azienda, che si troverà ad assicurarsi a prezzi
- come è facile intuire - saranno
maggiore di oggi.
La legge 24/2017 appare articolata in modo adeguatamente ampio
da poter abbracciare tutti i vari profili disciplinari della responsabilità sanitaria.
Non resta che dare
ingresso (una volta messi sul piatto i decreti attuativi) agli effetti della
novella e al suo impatto pratico, onde valutare se la ratio legis e la volontà dei suoi proponenti sia stata
effettivamente tradotta in provvedimenti efficaci e tali da raggiungere gli
scopi prefissati: 1) una maggiore protezione processuale del medico (impedendo
la c.d. medicina difensiva che vede il medico adottare decisioni non a
vantaggio del paziente ma di se stesso, per evitare “grane giudiziarie”); 2)
una più efficace tutela del paziente che, in prima battuta, può citare in
giudizio ex art. 1218 c.c (con
maggiori facilitazioni probatorie e prescrizionali a favore dell’attore-paziente)
l’ospedale o la clinica convenzionata e non, potendone aggredire il più ampio
patrimonio; 3) in seconda battuta, o contestualmente, il paziente - ma questa volta in forza dell’art. 2043 c.c.
- può citare in giudizio il medico, che in veste di convenuto ha maggiori
facilitazioni probatorie e prescrizionali; 4) e, infine, una tutela
assicurativa a favore delle vittime calmierando, al tempo stesso, i costi delle
coperture assicurative.
Fabrizio Giulimondi