“Acciaio” di Silvia Avallone
(Rizzoli) è il romanzo Posizionatosi
secondo alla edizione 2010 del premio Strega, dopo un lungo testa a testa con “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi,
da cui è stato tratto l’omonimo film di Stefano Mordini.
La versione cinematografica è deludente, forse perché, come dice Niccolò
Ammaniti, ogni lettore se ne costruisce
una e, quando va a vedere quella girata da un altro, non assomigliando
generalmente alla propria, ne esce molto
critico: la trama, i dialoghi e la stessa ambientazione sono rispettati solo in
parte; il tratteggio caratteriale, psicologico e, persino, fisico dei
personaggi non corrisponde affatto – o, comunque, molto poco – a quelli descritti nella fatica
letteraria della Avallone.
Il libro, invece, risulta intrigante, probabilmente in parte
autobiografico, anche se non ne condivido alcune basi “ideologiche”.
A.D. 2001. Circola ancora la lira come valuta italiana. Città di Piombino.
Dinanzi v’è la tanto desiderata - dai
protagonisti della storia - ma irraggiungibile
Isola d’Elba. Piombino è sede di una leviatanica acciaieria , un monstrum che, con il suo acciaio, il suo carbone, il suo
ferro, la sua ghisa e il caldo insopportabile del suo altoforno, fornisce lavoro a migliaia di piombinesi,
ingoiandone anche la mente e il cuore.
Nei casermoni anonimi di quartieri senza anima voluti dalle sempiterne
giunte rosse vivono due ragazze quattordicenni. Anna, bruna, riccia,
ha un padre, Arturo, che di professione fa il truffatore e scompare per lunghi
periodi dalla vista dei familiari; la madre, Sandra, il vero caposaldo (ma non
troppo) della famiglia, donna capace, attivista appassionata di rifondazione
comunista, predica di diritti e solidarietà, ma quando la solidarietà deve praticarla
il coraggio viene a mancare. Anna ha anche un fratello, Alessio, operaio della
Lucchini (nella pellicola raffigurato come un bravo ragazzo che funge, in
assenza del padre, da perfetto capofamiglia),
il bono
della compagnia, passa da una ragazza ad un'altra, ma in realtà non ha mai
dimenticato il suo vero amore Elena, che se la ritroverà dopo anni ai vertici
della fabbrica.
Anna vive al quarto piano del palazzone grigio di via Stalingrado,
mentre al terzo abita la bella e bionda Francesca, anche lei quattordicenne,
amica sin dall’infanzia di Anna, molto amica di lei: Francesca è innamorata di
Anna!
Francesca ha un padre, anche egli operaio presso l’acciaieria, bravo con
le mani non solo nel suo lavoro ripetitivo alla catena di montaggio, ma anche a
picchiare violentemente la figlia, fino a romperle il naso, fino a riempirle
tutto il corpo di lividi, fino a lasciarla esanime per terra: Enrico non vuole che la figlia diventi una puttanella e, quindi, la annienta nel
corpo e nello spirito.
La madre di Anna, Rosa, nativa di un piccolo paese calabrese, non ha mai
conosciuto un attimo di gioia e, come ci raccontano le cronache, come tante
donne in simili condizioni, non vede e non sente e, nonostante lo pensi, non
denuncerà mai il marito. Il marito passerà sì i guai ma per giustizia divina.
Anna e Francesca sono affogate nel “nulla” di una Piombino che è la sua
acciaieria e il suo altoforno, dove niente si fa, a parte scopare e farsi le canne
e, chi se lo può permettere, pippare
cocaina.
Ad Anna, come è naturale,
piacciono i ragazzi, ma altrettanto innaturalmente, si “fidanzerà” (con
immediati annessi e connessi) con Mattia, di 21/22 anni (lei ha quattordici
anni). Mattia (inevitabilmente operaio), con un passato travagliato, fa parte
del gruppetto di amici di Alessio, fra cui spicca per dabbenaggine Cristiano (ovviamente
operaio) - padre inesistente di un
figlio (James), avuto dalla quindicenne Jennifer (perché quando si scopa qualche volta il pargoletto ci
scappa!) - che continua con l’amico Alessio a cazzeggiare e ad assumere coca.
Anna ha progetti alti, nobili, Francesca solo di essere amata da Anna e che il padre muoia. La presenza di Mattia
nella vita di Anna porterà alla rottura
del rapporto fra le due, rottura che porterà conseguenze devastanti nelle
scelte esistenziali di Francesca.
Interessanti anche le figure minori del racconto: Lisa, la sfigata,
brufolosa e sovrappeso, che avrà il suo momento
di gloria divenendo amica di Francesca al posto di Anna; Donata, sorella di Lisa, sulla sedia a rotelle per
una grave invalidità, schivata e schifata da tutti e di cui la stessa sorella
si vergogna, eticamente superiore agli altri; Nino, innamorato perdutamente di
Francesca e Massi, con cui Anna ha fatto le prime pomiciate; la cerchia di
ragazzine, Sonia e co, il cui unico obiettivo e andare a letto con il più figo di Piombino, il resto è il buio.
L’ ”amicizia” fra Anna e Francesca è qualche cosa di forte e, nonostante
il finale tragicamente bello, tingerà di una qualche, anomala, speranza
l’epilogo della storia, mentre l’isola d’Elba si avvicinerà al loro orizzonte.
Fabrizio Giulimondi
Dopo aver letto questa recensione non credo andrò a vedere il film, perché la storia e lo stile dell'opera di Silvia Avallone mi ha creato emozioni forti anche se l'atmosfera "sfigati è bello" che pervade un po' tutta la la trama, qualche volta mi ha dato ai nervi.
RispondiEliminaPurtuttavia esistono i Casermoni, che tutti i governi hanno sempre voluti tali, esistono vite senza via d'uscita in quei casermoni perché per uscire ci deve essere una via che in quei ghetti spesso non c'è o non viene riconosciuta perché il ghetto rende ottuse anche le menti promettenti e lo squallore è spesso più nocivo della miseria. Questo concetto trasversale mi è piaciuto in "Acciaio" e se il film l'ha stravolto, non mi interessa vederlo.
Grazie Carlotta.....e in gamba!!!
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