Romanzo
di fine anno!
“Chesil Beach” dello scrittore britannico
Ian
McEwan (Einaudi).
Storia
d’amore, fra intellettualismi e imbranataggine, dell’accademico Edward con la
violinista Florence (e la mia mente va alle impareggiabili pagine di Che cosa è la letteratura di Sarte sulla
parola Florence, che evoca una bella donna ma anche la superba città di Firenze),
nella Inghilterra elisabettiana dominata
dalla repressiva educazione inglese, dai loro primi incontri, al fidanzamento,
al matrimonio, sino alla prima tragicomica
notte di nozze, raccontata con elegante sensualità e qualche tocco di ironia.
Il
filosofo esistenzialista francese sembra sia un terzo incomodo per tutta la
narrazione proprio per l’uso che l’Autore compie del linguaggio, con il quale
gioca e fa divertire il lettore: l’aggettivazione è ricca, esuberante e variopinta;
i verbi sono utilizzati in maniera eccentrica (le piccole onde che sculacciano la barca) e poetica (sciabolio delle piccole onde); i
vocaboli sono affascinanti e pieni di significato (mesmerizzare); espressioni curiose cospargono qua e là i periodi ( imbottitura di premuroso silenzio). Lo sviluppo
narrativo si alterna tra l’arco temporale 1940-1945 (bombardamento missilistico
hitleriano su Londra) e il periodo che abbraccia la fine del 1950 ed i primi
anni del 1960, che il lettore focalizza grazie a distratti richiami a Kennedy,
alla invasione del canale di Suez, alla costruzione del muro di Berlino e all’inizio della corsa al riarmo nucleare.
Il
libro ha una sua colonna sonora, nelle vellutate sinfonie di un austero quartetto
d’archi. Il finale è triste e malinconico.
Fabrizio Giulimondi
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