“Se un sogno è il tuo sogno,
quello per cui sei venuto al mondo, puoi passare la vita a nasconderlo
dietro una nuvola di scetticismo, ma non
riuscirai mai a liberartene. Continuerà a mandarti dei segnali disperati, come
la noia e l’assenza di entusiasmo, confidando nella tua ribellione”.
E’ una delle 223 pagine del romanzo autobiografico di Massimo Gramellini “Fai bei sogni” (Longanesi); è una delle 223 pagine che costellano un libro
di rara bellezza contenutistica e di rara profondità, paragonabili solamente
alle opere di Marcello Veneziani.
Pagine commoventi, emozionanti, toccanti, delicate e tenere e, poi,
ironiche nel dramma, divertenti nella tragicità del racconto, leggere nella
drammaticità della narrazione. Pagine che ricordano il drama greco che toccava le corde dell’anima e del cuore, senza
infierire con la violenza e il sangue.
Pagine intense che descrivono come possa determinarsi la vita di un bambino sino all’età adulta privato della mamma, una madre che è morta quando egli aveva
appena 9 anni a causa di un infarto.
Quel fanciullo è Gramellini, che ha avuto il coraggio di raccontare la
sofferenza, il dolore e la disperazione nascosta nelle anse più intime di se stesso; come quel bimbo insieme
al suo peso sia diventato l’affermato giornalista del quotidiano la Stampa di Torino e il noto polemista televisivo che noi
conosciamo; quale percorso professionale abbia attraversato, dallo sport, alla
politica, ad inviato di guerra nell’inferno di Sarajevo, dove incontra Salem,
con lo stomaco squarciato da una pallottola sparata da un cecchino serbo. E tutto
questo mentre Belfagor è dentro di
lui: ”Belfagor è il nome che da bambino
avevo dato al mostro che abita dentro di noi. Uno spiritaccio animato da buone
intenzioni, in realtà pernicioso, perché pur di tenerci lontano dalla
sofferenza ci chiude in una gabbia di paure.
Paura di vivere, di amare, di credere nei propri sogni”.
L’assenza della mamma, la morte della madre, ha segnato profondamente sino
alla età di 49 anni Massimo Gramellini, anche nelle sue relazioni con le donne,
finché non ha incontrato la attuale moglie, Elisa. Ecco il suo cuore
risuscitato come parla dei sentimenti: ”
Le emozioni sono violente e brevi,
colpiscono e svaniscono. I sentimenti invece sono lenti e profondi, a volte noiosi.
Ma parlano il linguaggio universale del cuore, che non si esprime attraverso le
parole e i ragionamenti, ma con i simboli”.
E sopraggiunge la verità, fatalmente ed ineluttabilmente la verità, non
conosciuta sino alla soglia dei 50 anni o, forse, sempre saputa e fuggita per
lungo, troppo, tempo. Madrina, una vecchia amica della madre e della famiglia, gli
consegna una busta……
Turbamento e rigenerazione è quello che ho provato al termine della lettura
di questo libro “unico”: è un imperativo kantiano immergervisi!
Credo che lo rileggerò almeno un’altra
volta.
Vorrei terminare con un pensiero di George Bernard Shaw, ripreso dallo
stesso Autore del romanzo: “La missione
di un uomo consiste nell’essere una
forza della natura e non un grumo agitato di guai e di rancori che recrimina
perché l’universo non si dedica a renderlo felice”.
Fabrizio Giulimondi
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