Vidi sulla metro di Roma una signora leggere “Le luci nelle case degli altri”, di Chiara Gamberale (ed. Mondadori numeri primi), alla quale la trama
stava piacendo parecchio. Incuriosito anche dal battage pubblicitario che v’era
stato intorno al libro, me lo sono comperato e letto.
Mandorla è una ragazzina che a sei anni perde la madre, Maria – donna particolarmente “frizzante” - in un incedente automobilistico. Il condominio
di via Grotta Perfetta 315 di Roma - presso il quale la defunta esercitava le mansioni
di amministratrice, molto amata, ma
anche molto odiata - “adotta” la bambina: giuridicamente il
soggetto adottante è Tina Polidori, la classica zitella, ma in realtà ognuno
degli abitanti degli altri quattro appartamenti, a turno, fungono da madri e
padri: famiglie con figli (qualcuno non proprio riuscito bene), coppie di fatto
eterosessuali e unioni omosessuali.
Il tempo trascorre con una narrazione senza particolari brividi, sino ad
arrivate al giorno di compleanno per i 18 anni di Mandorla, che trascorrerà in carcere a causa di un amore sbagliato con
Palomo, ragazzo che sin dall’inizio della sua esistenza nel romanzo si è
dimostrato un poco di buono.
L’unico colpo di scena è nel
prologo (a parte il finale), a seguito della scoperta di una lettera che Maria aveva
scritto alla figlia, per mezzo della quale le rilevava che il padre era un uomo con
cui si era intrattenuta fugacemente
nell’ex lavatoio (ambiente - ove si svolgono le riunioni condominiali - che si dimostrerà importante nel racconto).
Mandorla, ovviamente, vuole sapere chi sia il genitore, ma nessuno dei
condomini-adottanti ha l’intenzione di sottoporsi al test del DNA. In realtà
neanche lei lo desidera veramente!
La storia si snoda lungo la narrazione in prima persona di Mandorla che
riporta il dietro le quinte di tutti
i residenti dei cinque piani dello stabile di via Grotta Perfetta 315, nonché
dei vari personaggi con cui si imbatte nei suoi 12 anni di vita scrutati della
Gamberale. Fra di essi v’è anche Porcomondo,
il cattivo, l’uomo nero, che fino alla fine non capirete se sia un persona in carne ed ossa, oppure il
frutto degli incubi notturni e delle paure diurne di Mandorla.
Interessante è l’uso che fa della grafia l’Autrice, grafia che cambia,
tramutandosi in corsivo o variando i tipi di carattere, a seconda che il lettore abbia a che fare con
un ricordo, un fatto attuale, una
missiva o un dialogo diretto.
Altra peculiarità è la distribuzione fra le pagine di poesiole,
filastrocche e cantilene fanciullesche con cui la protagonista esprime il
proprio stato d’animo nel corso degli anni.
La trama, che alla signora della metro era piaciuta tanto, scorre
placida come un fiume carsico che
percorre lentamente il suo letto
sino ad un lago, con un arguta e inaspettata virata virulenta nelle ultime due
pagine, conducendo l’acqua verso un mare
in tempesta: un vero fulmine a ciel
sereno che non può non scuotere il lettore, a cui consiglio di non iniziare la
lettura dall’epilogo.
Fabrizio Giulimondi
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