Questa recensione si allontanerà da quelle fino ad ora pubblicate su
questa rubrica, perché l’Autore di "Nulla andrà perduto, il mio grido di speranza per l’Italia" (Piemme incontri) è don Giovanni D’Ercole.
Padre Giovanni d’Ercole, prima di
essere Vescovo Ausiliario della Arcidiocesi dell’Aquila dal 20 dicembre 2009,
eminente esponente della Segreteria di Stato della Santa Sede per venti anni, ancor prima
Vice Direttore della Sala Stampa vaticana e, prima ancora, Provinciale per il centro-meridione d’Italia
della Congregazione di don Orione, ha ricoperto, a cavallo fra il 1984 e il 1985, il ruolo di Parroco
della chiesa orionina di Ognissanti in Roma -
ove esercitava la propria missione il “gruppo Speranza” da me fondato e
diretto, teso all’aiuto dei tossicodipendenti, farmacodipendenti e alcolisti – e
vi era approdato dopo nove anni come missionario in Costa d’Avorio.
L’ho rincontrato dopo un lungo lasso di tempo lo scorso anno a l’Aquila,
nel corso della inaugurazione di una struttura destinata a riavvicinare le
donne e uomini dell’Aquila, devastati dal terremoto del 6 aprile 2009 dentro e fuori.
L’ho rivisto in abiti talari vescovili, ma per me è sempre don Giovanni,
o, meglio, Giovanni.
Le sue doti letterarie già mi erano note, frutto anche delle esperienze
avute in veste di giornalista della
carta stampata prima, del video poi , passando da Telepace, per arrivare a programmi di contenuto religioso - spirituale alla RAI, molto apprezzati da credenti e non.
Il lavoro letterario di Padre D’Ercole è strutturato intorno al dialogo
fra lui e una giovane ragazza, Alice, da cui ha ricevuto una mail che
manifestava il suo disgusto per il mondo e la sua volontà di farla finita.
A questa mail don Giovanni
risponde con questo libro.
Una mail: sono passati 22 anni da quando don Giovanni pubblicò nel 1990
“Lettere dalla droga” (ed. Piemme), scritto centrato sul dialogo epistolare fra
lui e ragazzi che uscivano dalla tragica esperienza della tossicodipendenza, attraverso
il duro cammino terapeutico e di lavoro della “Comunità Incontro” di Don Pierino Gelmini.
L’epistola, la missiva, la lettera cartacea era lo strumento
comunicativo adoperato dall’Autore per relazionarsi con i suoi interlocutori e
trattare temi delicati e drammatici.
Oggi con “Nulla andrà perduto” è la e mail: il dialogo scritto è telematizzato, lo scambio di idee è
informatizzato, la trasmissione delle idee, del pensiero e delle emozioni avviene
per mezzo della elettronica. Cambia il mezzo, evolve e si sviluppa la
comunicazione, ma le domande sono le
medesime.
A pagina 155 don Giovanni riporta questi interrogativi: “Perche vivere?
Perché morire? Perche la sofferenza e l’ingiustizia?”
Sono domande che nascono con
l’uomo. L’essere umano è tale in quanto
si pone queste questioni. Appena l’homo sapiens
apparve in Etiopia 195.000 anni prima della nascita di Cristo e la sua
mente ha cominciato a cogitare, i
primi quesiti posti a sé stesso sono stati questi.
Cogito ergo sum, la locuzione
cartesiana in forza della quale è innalzato l’essere a essere umano in quanto
pensante e svolgente attività raziocinante e, quindi l’uomo è tale perché pensa
e il pensiero è l’uomo stesso, ha come suo
corollario: “Sum perché mi pongo gli interrogativi sulle
ragioni del male, sulle ragioni del dolore, sulle ragioni della sofferenza, specie se il male, il dolore e la
sofferenza coinvolgono innocenti e bambini, non comprendendo perché debbano
essere vittime del libero arbitrio esercitato diabolicamente da altri”.
Sono interrogativi coessenziali alla stessa esistenza umana, ai quali
Papa Benedetto XVI ha risposto in maniera grandiosa definendo il male
uno scandalo: lo scandalo del male.
Il male è inspiegabile e inaccettabile,
irrompe scandalosamente dentro l’ uomo creato a immagine e somiglianza di Dio.
Colpiscono a tale riguardo le citazioni del pensiero di alcuni pensatori, come il
francese Leon Bloy, vissuto fra l’800 e il ‘900, Pellegrino dell’Assoluto, che definisce il male come necessario. Affermazione forte e, se
vogliamo, sconcertante: il male è necessario per arrivare a stadi
successivi e superiori verso il Bene e la
Felicità, per giungere all’unico Bene e Felicità a cui
l’essere umano deve aspirare: Dio
Don Giovanni D’Ercole percorre il suo cammino narrativo indicando
la vita di molti eroi e campioni del coraggio, dell’amore e della vera coerenza, contemporanei e non, laici ed ecclesiastici ,
alcuni di loro martiri del nazismo (il sacerdote polacco padre Massimiliano
Kolbe); del comunismo (il cardinale
vietnamita Francois Xavier Nguyen Van Thuan: 13 anni in carcere in Vietnam, di
cui 9 in completo
isolamento in un buco senza luce e in compagnia di un serpente); dell’islam
oltranzista, oramai massicciamente
diffuso negli Stati a maggioranza musulmana; e della follia brigatista,
armata dalla menzogna dei soliti noti, come nell’omicidio del commissario di
polizia Luigi Calabresi il 17 maggio 1972.
La fatica letteraria di Giovanni
affronta molti temi pruriginosi, incluso
quello mediaticamente molto sentito
della pedofilia di cui alcuni preti si sono resi ignobilmente responsabili.
Due premesse e una curiosità a
tale proposito.
Gesù dice: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in
me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e
sia gettato nel mare (Marco 9,42).
L’art. 61 del codice penale, nell’elencare le circostanti aggravanti
comuni, inserisce fra esse la condotta delittuosa posta in essere da un
ministro di culto: io, se non fosse tacciata di violare l’art. 3 della Carta
Costituzionale, trasformerei
quest’ultima da aggravante comune (aumento di un terzo della pena base) ad
aggravante ad effetto speciale (aumento
oltre il terzo della pena base, ossia
prescrizione di autonoma e
sensibilmente superiore sanzione in relazione a quella base).
La curiosità che mi assilla è conoscere i casi criminali similari presso
le altre confessioni cristiane e acristiane.
Date le premesse e in attesa di avere risposte alla mia curiosità, mi
preme condividere quanto affermato da Giovanni: la pedofilia è la conseguenza
estrema della più assoluta libertà sessuale. Dal tutto è permesso passare alla pedofilia non è un salto così lungo. Ricordo Maurizio Costanzo decantare la libertà
di una donna ospite della sua trasmissione di fare la porno attrice,
scandalizzandosi, però, della
proposta fattale di avere
rapporti sessuali con animali. E perché
no? E’ Costanzo – o chi per lui – a decidere i confini della morale? La Chiesa no, Costanzo si? e perché non con le bestie? o
altro? Se è tutto permesso!
La assoluta, incondizionata, incontestabile libertà sessuale non è altro
che la filiazione del relativismo etico, pilastro (insieme a quello religioso,
culturale e cognitivo, come ben argomentato da Magdi Cristiano Allam in Grazie Gesù, Mondadori,
collana Frecce), dell’unica ultima e vera ideologia rimasta: il politicamente corretto (su cui Tony
Blankley, in L’ultima change
dell’Occidente, ed. Rubettino, si intrattiene
ampliamente), interpretazione decadente e versione radicaleggiante di certo pensiero
progressista, orfano della concezione
marxista.
Profetico fu il grande romanziere e intellettuale russo Fedor
Dostoevskij - come viene riportato a
pag. 170 del libro – nel romanzo I demoni:
“Molti pensano che sia sufficiente credere nella morale di Cristo, per essere
cristiani. Non la morale di Cristo, né l’insegnamento di Cristo salverà il
mondo, ma precisamente la fede del Verbo che si è fatta carne.” E monsignor
D’Ercole aggiunge: “C’è chi segue un cristianesimo senza Cristo; si parla di
valori cristiani indipendentemente da Cristo. Corollario della miscredenza-
afferma Dostoevskij – è la superficialità, che è una appendice della ignoranza
e si nutre di dilettantismo culturale. Questa superficialità emerge nel modo
con cui sono affrontate le grandi questioni etiche.”.
Il linguaggio è diretto e colloquiale - talora a mo’ di omelia, di quelle omelie
profonde e, nello stesso tempo, accessibili a tutti (senza cadere nel banale e
nel semplicistico), oramai in via di estinzione
- e si rivolge alle tante e ai tanti Alice,
alle loro grida silenziose, a quelle grida inascoltate di ragazze e ragazzi che ricordano la potenza evocatrice
pittorica dell’Urlo di Edvard Munch
(che a me fa venire subitaneamente alla mente le voci strillanti dei non nati).
La parola Speranza è il leitmotif del libro, la linea di pensiero guida del
racconto, il canovaccio della narrazione, la lente attraverso cui guardare gli
accadimenti della vita, la weltanschauung dell’Autore.
Mi è piaciuta l’agilità comunicativa (e qui si vede il Giovanni
televisivo, dispensatore anche di consigli
a ecclesiastici e suore poco avvedute nell’accettare certi inviti ad alcuni
tipi di talk show), il periodare infarcito di richiami culturali e di idee
supportate e rafforzate dai pensieri dei grandi filosofi, pensatori, scrittori
e teologi antichi e moderni, il richiamo
agli aforismi di vecchi saggi africani e di anziane, altrettanto sagge,
abruzzesi.
Il lettore, però, non è
abbandonato a se stesso (non lo ha ordinato il medico di conoscere la Patristica, ossia le
opere dei Padri della Chiesa, primi fra tutti San Tommaso D’Aquino e
sant’Agostino), perché ogni enunciato
riportato fra le pagine è spiegato in maniera didascalica e chiara …tanto che
anche il sottoscritto riesce a comprenderlo!
Signore e Signori, consiglio natalizio di lettura: acquistatelo (euro 15),
leggetelo e poi mi saprete dire
Fabrizio Giulimondi
Post Scriptum: doverosa postilla
dovuta al fatto che mentre il mio antico amico Monsignor Giovanni D’Ercole, Vescovo ausiliario de L’Aquila, metteva nero
su bianco il suo cuore, ancora erano in corso i due procedimenti giudiziari che
lo riguardavano. Ovviamente i giornali, specie quelli che godono delle
disavventure vissute da cattolici, ancor di più se indossano il clergyman, sono zelanti nel riportare
notizie di avvisi di garanzia, indagini penali e iscrizioni in registri
tribunalizi, ma non altrettanto solerti nel rammentare alla Comunità, con la
stessa dovizia di particolari, che il destinatario delle attenzioni della
magistratura penale è risultato completamente estraneo ai fatti a lui
contestati.
Bene: Monsignor (o don o Padre, come meglio desiderate) Giovanni D’Ercole, Vescovo ausiliario de
L’Aquila, è stato, nell’uno archiviato, nell’altro, il 14 giugno 2012, assolto
con formula piena perché in fatto non costituisce reato.
Fabrizio
Giulimondi.
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