Un
romanzo è un genere letterario che comporta un notevole lavoro di costruzione
narrativa da parte dello scrittore, un’autentica elaborazione ingegneristica ed
architettonica fatta di parole e silenzi.
Un
romanzo thriller impegna ancora più il suo ideatore perché la trama avviluppa
in un reticolato labirintico molte storie e molti personaggi.
Il “Il dio dei boschi” di Liz Moore (NNE) è tutto questo all’ennesima potenza.
La
parola “panico” deriva dal nome della divinità dei boschi, Pan, e sono i boschi
il set dove si svolge il racconto, anzi, si svolgono i racconti, racconti che
si intersecano e si aggrovigliano fra di loro. I boschi danno forma e forza all’atmosfera
delle vicende il cui retrogusto è morbido e pungente, dolce e asprigno come
alcune pietanze esotiche.
Prima
scompare un bambino di otto anni. Dopo anni scompare la sorella di tredici. Camp
Emerson è uno spazio silvestre dove adolescenti di famiglie facoltose
trascorrono il periodo estivo. Il passato incombe, il futuro anche seppur
celato da una verità che non si vuole rivelare.
La
storia avanza e avvinghia il lettore alla sedia. L’Autrice sopravanza i
pensieri di chi legge che vuole solo sapere. Sapere e capire. Le certezze vanno
accantonate. I pensieri che albeggiano in mente non sono mai veritieri. Tutto è
fallace. Tutto è grandioso nella pochezza umana. Eroi sono solo coloro che
vivono ai margini, messi all’angolo già in gioventù, beffati dai propri
familiari, parenti, amici, fidanzati.
Il
tratteggio dei caratteri è solo apparentemente sfumato. In realtà, le linee
sono marcate, incise su un foglio dalla carta porosa.
È
tempo di cominciare a leggere.
Fabrizio Giulimondi