sabato 17 maggio 2025

"IL DIO DEI BOSCHI" di LIZ MOORE

 


Un romanzo è un genere letterario che comporta un notevole lavoro di costruzione narrativa da parte dello scrittore, un’autentica elaborazione ingegneristica ed architettonica fatta di parole e silenzi.

Un romanzo thriller impegna ancora più il suo ideatore perché la trama avviluppa in un reticolato labirintico molte storie e molti personaggi.

Il “Il dio dei boschi” di Liz Moore (NNE) è tutto questo all’ennesima potenza.

La parola “panico” deriva dal nome della divinità dei boschi, Pan, e sono i boschi il set dove si svolge il racconto, anzi, si svolgono i racconti, racconti che si intersecano e si aggrovigliano fra di loro. I boschi danno forma e forza all’atmosfera delle vicende il cui retrogusto è morbido e pungente, dolce e asprigno come alcune pietanze esotiche.

Prima scompare un bambino di otto anni. Dopo anni scompare la sorella di tredici. Camp Emerson è uno spazio silvestre dove adolescenti di famiglie facoltose trascorrono il periodo estivo. Il passato incombe, il futuro anche seppur celato da una verità che non si vuole rivelare.

La storia avanza e avvinghia il lettore alla sedia. L’Autrice sopravanza i pensieri di chi legge che vuole solo sapere. Sapere e capire. Le certezze vanno accantonate. I pensieri che albeggiano in mente non sono mai veritieri. Tutto è fallace. Tutto è grandioso nella pochezza umana. Eroi sono solo coloro che vivono ai margini, messi all’angolo già in gioventù, beffati dai propri familiari, parenti, amici, fidanzati.

Il tratteggio dei caratteri è solo apparentemente sfumato. In realtà, le linee sono marcate, incise su un foglio dalla carta porosa.

È tempo di cominciare a leggere.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 5 maggio 2025

“VOCI IN FUGA” (“AFTERLIVES”) DEL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2021 ABDULRAZAK GURNAH

 


Voci in fuga” (“Afterlives”) del Premio Nobel per la Letteratura 2021 Abdulrazak Gurnah (La nave di Teseo) è un romanzo il cui stile risente delle sue origini tanzaniane.

Il colonialismo tedesco e poi inglese dell’Ostafrika (Tanzania, Ruanda, Burundi), dopo la sconfitta subita dalla Germania al termine della Prima Guerra mondiale, costituisce il filo del ricamo della trama, attenta in maniera talvolta ossessiva ai particolari per poi tralasciare i grandi temi.

La Storia, le guerre, i conflitti, le evoluzioni e involuzioni sociali, la ferocia degli askari, non sono altro che il fruscio di sottofondo, perché per l’Autore contano solo le vicende esistenziali dei personaggi che si affastellano lungo il tracciato narrativo, punteggiato da tanti racconti che si inseguono senza mai trovare una conclusione, una definizione, una spiegazione, rimanendo in sospeso a galleggiare nell’aria afosa estiva africana, come se il finale non interessasse, essendo null’altro che l’orizzonte del deserto in cui si confondo sabbia e cielo.

Non contano cosa fanno o dicono i protagonisti e le comparse del romanzo, ma solo i momenti delle giornate vissute dai protagonisti e dalle comparse.

È certamente una letteratura diversa da quella europea o nordamericana, lenta come il cammino di una carovana di dromedari, lenta come il passare delle ore di un anziano che fuma la sua pipa Calabash in attesa che accada qualche cosa, lenta come il fluire dell’acqua in una oasi bruciata dal sole del Sahara.

L’Islam e le sue regole asfissianti le esistenze delle donne innervano le parole, i periodi e le pagine:”Sentiva che qualcosa in lei si rattrappiva e diventava teso come se si aspettasse sempre un rimprovero. C’erano tante cose che le erano vietate in quanto inappropriate.”.

Fabrizio Giulimondi

venerdì 25 aprile 2025

"UNA FIGLIA" di IVAN DE MATTEO

 


Una figlia” di Ivan De Matteo è un film ad altissima e permanente carica drammatica e di una bellezza seducente come non si vedeva da molo tempo nel cinema italiano. Stefano Accorsi interpreta magistralmente il padre e credo vada incontro al Premio David di Donatello come Miglior Attore Protagonista. Coinvolgente è l’arpeggio recitativo della figlia, la giovanissima Ginevra Francesconi, dotata di una notevole mimica e una peculiare espressione degli occhi che modula a seconda delle diverse ambientazioni narrative.

La trama è piastrellata da una attenta osservazione dello sviluppo e della maturazione psicologica ed interiore di ogni singolo personaggio che vive, ognuno da un angolo prospettico diverso, immani tragedie personali. Si è sempre soli nella sofferenza e più la sofferenza è grande e più si è soli. La ricerca introspettiva è circostanziata e densa e porta a scavare dentro all’intimità più profonda e nascosta dell’animo umano.

Quattro blocchi scenici come in un complesso statuario: uno è il padre, vittima di un crimine terribile; l’altro è la figlia, autrice del crimine; l’altro è, di sottofondo, la famiglia dell’assassinata; ultimo è la dimensione penitenziaria minorile, dal centro di prima accoglienza, all’istituto carcerario sino al collocamento in comunità, con la loro umanità e rassegnazione.

È la vita, in realtà, che riscatta le esistenze interrotte e rotte. È una nuova vita che fa rinascere la propria vita. Una nuova vita può essere il sentiero del riscatto, la vera nostalgia del futuro.

Un film privo di pregiudizi ma pregno di giudizi. Un film maieutico. Un film vero.

Fabrizio Giulimondi


                        


lunedì 21 aprile 2025

"LA CITTÀ PROIBITA" di GABRIELE MAINETTI

 


La città proibita” di Gabriele Mainetti (il regista di "Lo chiamavano Jeeg Robot") è un action movie di sapore tarantiniano e splatter, seppur non ad alta gradazione.

Lo schema narrativo cita spesso “Kill Bill”, tanto che la co-protagonista Yaxi Liu (interprete di Mei) ricorda parecchio nei combattimenti le movenze guerriere di Huma Thurman.

I corpi a corpo negli scontri a colpi di kung fu risultano avvincenti e evocano le pellicole degli anni ‘70 con il karateka Bruce Lee.

Convince, e non poco, Enrico Borello - per la prima volta attore protagonista in un film sul Grande Schermo - nel ruolo di Marcello, ragazzo pacifico che si trova coinvolto in vicende tragiche e connotate da estrema violenza, al termine delle quali capirà come è scomparso il padre Alfredo (Luca Zingaretti).

L’ambientazione a piazza Vittorio e nel quartiere multietnico dell’Esquilino a Roma rende particolarmente intrigante il racconto, reso ancor più colorito dalla presenza di Marco Giallini (Annibale, un “infamone” amico del cuore di Alfredo) e di Sabrina Ferilli (Lorena, madre di Marcello e proprietaria del ristorante, parte del set del film).

L’aspetto storiografico funge da interessante retrogusto del racconto: fra il 1979 e il 2015 in Cina era spietatamente proibito avere più di un figlio. La storia inizia in una provincia cinese con due sorelle che si “ritroveranno” nella periferia romana verde e un po' pasoliniana: la delinquenza borgatara-cinese, condita con prostituzione, immigrazione clandestina e brutalità, serve da bassorilievo ad una trama facilmente fruibile dallo spettatore, che potrà contare sul lieto fine.

Fabrizio Giulimondi

                        


"CLEMENTINA" di GIULIANA SALVI

 


Clementina” di Giuliana Salvi (Einaudi) è un mare placido, tranquillo, senza onde, che dalla metà in poi comincia ad incresparsi, ad assumere un moto ondoso spinto da venti sempre più turbolenti, sino ad esplodere sul finale in una tempesta dove acqua e bora si confondono in un amplesso rugginoso e violento.

Una famiglia. I Martello. Tre sorelle: Clementina, Maria e Anna. Tre fratelli: Francesco, Filippo e Emira. E poi Giuliana, Cesare, Emilia, Chiara, Margherita e Marga, anzi Margherita che è Marga. E Germain e Gianni. Storie che si rincorrono, si intrecciano, si sovrappongono, si inseguono.

La vita è dramma. Il dramma è vita.

La morte segue alla vita che segue alla morte in un eterno avvicendarsi senza tregua né respiro.

La vita ha senso perché la morte ne concluderà il cammino. La morte ha senso perché la vita ne ha conferito il suo misterioso significato.

La narrazione sa di cannella e miele.

La narrazione odora di gelsomino.

Clementina avvertì l’odore di cannella che le si fissò nelle radici. Inspirò forte ed espirò, e così ancora e ancora. Provò a piangere. Voleva piangere per sua sorella. Per Anna, che aveva avuto il privilegio di conoscere, di vedere bambina e donna. E per Emilia, che era rimasta bambina per sempre. Ma le lacrime non uscirono e i respiri non divennero singhiozzi.”.

Fabrizio Giulimondi

sabato 19 aprile 2025

"LE ASSAGGIATRICI" di SILVIO SOLDINI

 


Le assaggiatrici” di Silvio Soldini è tratto dall’omonimo romanzo di Rosella Postorino, vincitore del Premio Campiello 2018.

Il film mantiene una costante tensione, una permanente carica emotiva e drammatica che non abbandonano mai lo spettatore. Le tinte chiaro scure, ocra, soffuse e grigie, ci immergono in una trama che evoca le storie vere di donne che assaggiavano, con brutale imposizione, cibi per verificare che non fossero avvelenati e non attentassero alla vita di Hitler.

Si percepisce la presenza demoniaca del despota tedesco per tutta la durata della proiezione della pellicola pur non vedendolo mai.

Il Male lo si respira per tutto il tempo, perché è dentro l’ottusa e criminale obbedienza di uomini in divisa che hanno dismesso ogni minimale forma di umanità, trincerandosi proprio dietro a quella orripilante obbedienza. L’obbedienza atona, anonima, acritica e vitrea conduce quel mondo che gravitava intorno alla Croce Uncinata ad accettare e compiere ogni blasfemia.

Attraverso la fisicità delle sette assaggiatrici, attraverso la loro mimica straordinariamente empatica, coinvolgente e comunicativa, attraverso episodi che possono apparire di portata di gran lunga inferiore al genocidio e agli orrori bellici, ognuno interiorizza a quale abisso imperscrutabile e senza confine può giungere l’Umanità.

Sette cavie, sette vite schiacciate, sette corpi, una unica volontà di potenza.

Il cibo, così, da elemento gustoso di sostentamento vitale muta in mezzo di angosciante tirannide.

Fabrizio Giulimondi




martedì 11 marzo 2025

"LA RAGAZZA DELLO SPUTNIK" (1999) di MURAKAMI (EINAUDI SUPER ET)

 


La ragazza dello Sputnik” (1999) dell’immenso scrittore nipponico Murakami (Einaudi Super ET) si inserisce in pieno nello stile letterario del realismo magico di Gabriel García Márquez.

La ragazza dello Sputnik” è un romanzo in cui la sensualità percorre come corrente elettrica tutte le trame del racconto, facendo vibrare i personaggi di una luce lunare che irradia ogni contorno nascosto delle loro personalità. Nessuno è una persona sola ma tutti hanno un lato illuminato dai raggi solari riflessi dalla Luna e un lato immerso in una oscurità misterica ed intrigante: “Davanti a me si apriva un’oscurità senza fondo, dietro di me c’era un mondo pallidamente illuminato … Rimasi sotto l’assedio della Luna, della forza di gravità, dell’agitazione nell’atmosfera … La luce della Luna distorceva i suoni, dissolveva i significati e seminava dubbi.”.

La musica classica traccia un luogo immateriale ed invisibile dove si incontra chi c’è con chi non c’è pur essendoci come fumo che si scioglie nel vento.

Quale è la differenza fra segno e simbolo?

Murakami accarezza l’animo del lettore lasciandolo nella eterea incertezza poetica di un finale senza tempo né spazio, immaginifico e sognante, un finale della stessa sostanza della sabbia che confonde l’orizzonte del deserto con il cielo bruno-rossastro, cielo esso stesso deserto, cielo esso stesso sabbia con venature ocra.

Ma dentro di me qualcosa era bruciato, e non esisteva più. Era scorso del sangue. Qualcuno, qualcosa che era dentro di me se ne è andato. La faccia nascosta, senza una parola. La porta si è aperta, la porta si è richiusa. La luce si è spenta. Questo è l’ultimo giorno per la persona che sono. Il mio ultimo tramonto. Spuntata l’alba, il me di adesso non ci sarà più. Nel mio corpo entrerà un altro.”.

Fabrizio Giulimondi

sabato 11 gennaio 2025

"MARIA" di PABLO LARRAÍN

 


Una grandiosa Angelina Jolie interpreta il crepuscolo del soprano greco, la Divina Maria Callas (New York, 2 dicembre 1923 – Parigi, 16 settembre 1977), in “Maria” di Pablo Larraín.

La fotografia di Edward Lachman -probabile vincitore di Premi al pari dell’Oscar – tratteggia immagini stupefacenti, con primi piani intensi e tragici carichi di quella ellenicità che accompagna la voce potente, senza spazio né tempo, oltre il visibile e l’invisibile, della Callas; una voce che sprigionava l’essenza dell’animo di Maria, massima cantrice di Puccini, le cui opere costituiscono l’ossatura della colonna sonore del film di Larraín.

La tristezza colora il viso, gli occhi della protagonista, colora la sua esistenza e la sua voce, il portamento e l’incedere, il non volersi dare sconfitta mentre già ci si è dati per sconfitti. La voce che non è più quella di prima; l’amore per Onassis che però prediligerà come moglie Jacqueline Kennedy; la Diva, che come tutte le grandi Dive, non accetta il proprio inesorabile declino. Le visioni. Le allucinazioni. Il torpore della mente. Gli psicofarmaci. L’alcol. Lo sforzo sino alla morte di tirare fuori la potenza vocale di un tempo. I fedeli servitori, veri e unici amici (due grandi attori: Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher), con cui la Callas condivide momenti di autentica serenità, sciolti in una semplicità quotidiana e domestica che contrasta con lo scintillio di tempi andati.

Alti livelli di recitazione fusi nella intensa tragicità ateniese di volti e occhi che divengono un tutt’uno con l’atmosfera originata da un mobilio ancienne e da una Parigi distratta e punteggiata da cori pucciniani come presenze ectoplasmatiche.

Fabrizio Giulimondi


                        


sabato 4 gennaio 2025

"NOSFERATU" di ROBERT EGGERS

 


Prima appare come “Nosferatu il vampiro”, film muto diretto nel 1922 da Friedrich Wilhelm Murnau, poi prende le sembianze di Klaus Kinski nel 1979 in “Nosferatu, il principe della notte” di Werner Herzog e, da ultimo, Il Mai-Morto manifesta al pubblico nel 2024 il suo strascico di incubi nel “Nosferatu” di Robert Eggers.

Con tinte estremamente fosche, cupe e gotiche, in un tempo e uno spazio sospesi, la lunga narrazione della pellicola ripercorre le tappe ben conosciute della storia di Dracula, in una maniera, questa volta, ben più cruda delle precedenti, anche per la repellenza di alcune sue scene.

La struttura della sceneggiatura e la ruvidezza delle immagini sono ben costruita e, di conseguenza, il prodotto finale è ben confezionato.

Non c’è nulla del fascino, della eleganza e del magnetismo del “Dracula” di Francis Ford Coppola (1992) nel “Nosferatu” di Eggers, vampiro che si mostra in tutta la sua blasfema e ignominiosa mostruosità mentre succhia rumorosamente sangue umano spaccando, insaziabile e animalesco, il cuore delle proprie vittime.

Anche qui il sacrificio finale della fanciulla così bramata segnerà la fine del Mostro,  il cui corpo ributtante sarà colto nell’amplesso dai raggi del sole che lo riconsegneranno al suo non più interrotto destino di morte.

Fabrizio Giulimondi