domenica 8 ottobre 2017

"PARLA, MIA PAURA" DI SIMONA VINCI (EINAUDI)


https://www.amazon.it/Parla-mia-paura-Simona-Vinci/dp/8806235907
Simona Vinci non scrive libri ma capolavori. I suoi lavori sono “senza pelle”. Dopo La prima verità, vincitore del Premio Campiello 2016, nell’ultima sua fatica letteraria “Parla, mia paura” (Einaudi),Simona Vinci mette a nudo se stessa, senza pudore, senza reticenze, senza nulla nascondere.  “Parla, mia paura” è uno scarnificante viaggio nell’anima dell’Autrice, di raffinata e intrigante bellezza, in cui il proprio “Io” diviene letteratura, ma prima di tutto parola. La parola è un territorio dove la Vinci si incontra con se stessa, con le sua paure, con l’Altro, con suo figlio. La parola non è il mezzo per raggiungere la soluzione ma la soluzione stessa. La parola è una stanza e le stanze sono due e le stanze sono mondi: “Ma una stanza può anche essere un mondo, e uno stato della mente”. Ad un certo punto della vita della Scrittrice l’esistenza si alternava fra la stanza dell’analista e quella dell’estetista. Un seno florido che il corpo rifiutava perché alieno a sé doveva essere estirpato, piallato. La ricostruzione della propria fisicità femminile per ritrovare la propria identità di donna e, per mezzo di essa, la mente. Il bisturi interviene sul petto ma prima di inciderlo attende che la parola operi prima sulla mente. Il suono della bocca è il prius e il posterius: “Quella che cominciavamo a costruire insieme era una rete che sarebbe stata forse capace di salvarmi. Era fatta della stessa materia sulla quale da sempre avevo edificato la mia esistenza: le parole. La lingua, la sintassi”.
Viene offerta al lettore una lunga avventura in cui la parola diviene letteratura che si fonde nell’arte e nella musica per confondersi nella filosofia e, infine, tutto, tutto diventa un potente unicum che conduce Simonain fondo al tunnel (dove le) parve di vedere di nuovo l’azzurro, ancora lontanissimo, di quella mattina di giugno”: “L’unica consolazione vera l’ho sempre trovata nell’arte. Nella letteratura e nella musica, soprattutto, ma anche nel cinema e nella fotografia. L’espressione di un sentimento, di un’emozione, attraverso il racconto mi ha sempre aiutata a sedare l’angoscia”.
Parla. Mia paura” si inerpica lungo tre fil rouge che si annodano fra di loro in modo inestricabile: la paura, il dolore e il suicidio. La paura provoca dolore che determina il suicidio, o il suo desiderio. La Vinci si era attorcigliata la corda introno al collo: quel legaccio se l’è tolto, perché ha affrontato la paura e lenito il dolore.
La paura è “il buco, lo strappo, la cellula impazzita, il mostro bavoso, il lupo nero, l’ombra ghignante dietro la porta, il ba bau nascosto nel cespuglio in fondo al giardino, il fantasma che striscia sul pavimento della soffitta”.
“La paura mangia l’anima” come intitolava un film di Rainer Werner Fassbinder: “Un dolore troppo forte resta muto. O meglio, forse ti urla dentro e urla in gola, ma non si sa trasformarsi in un discorso articolato. Il suo al massimo è un balbettio, una lallazione”.
Le ragioni di un suicidio sono tante e nessuna, ma tutte accumunate dalla “percezione di essere arrivati al limite estremo”.
E poi sopravviene la maternità che scatena la paura e la paura si sovrappone alla maternità e perimetra la gestazione e ne conforma i lineamenti. Amore materno e paura, paura e amore materno e, dopo, la maternità che ha dentro di sé le energie per liberare Simona Vinci dalle sue fobie. Il figlio è quell’ escrescenza che fa parte di te ma non è te e in quanto non te ti libera da te, dalle tue paure, dal tuo dolore, dalla tua angoscia, da tuo desiderio di passare dall’essere al non essere: “(il figlio) non è una valigia. Non è un pacco. È un organo interno. Un’escrescenza inestirpabile. Fa parte di te. Anche se non siete la stessa cosa”.
All’impalpabilità del tormento si accosta la visibilità delle stanze della psicoterapeuta e del chirurgo plastico che non sono solo luoghi dove alberga unicamente la materia, ma spazi nei quali alla forma dei mobili si accompagna la psiche di chi vive quei mobili. L’inconsistenza tattile del male dimora nella casa, ma rifugge dai giardini. É qui che si apre, esplodendo, il commovente genio letterario della Scrittrice emiliana che evoca prose e versi dedicati ai piccoli Eden che si affacciano a villette tanto care all’Autrice, piccoli Eden in cui si incrociano animali, piante e donne e uomini il cui animo cupo anela alla loro ariosità ed alla loro luminescenza: “Nella solitudine più profonda la casa è capace di ingoiarti, il giardino no, il giardino al massimo ti ingloba. Nel giardino ci sono le piante se non gli animali – cani, gatti, scoiattoli, lucertole comunque ci saranno gli insetti, forme di vita che ti impediscono di sentire il silenzio assordante della solitudine assoluta dove l’unica cosa che produce rumore (in assenza di vicini indisciplinati, caldaie e frigoriferi roboanti o traffico esterno) è il tuo stesso corpo”.
Parla, mia paura” ha un colore e una musica.
La tinta delle parole e delle loro sonorità, il tono della storia imposta all’animo della Vinci dalla depressione che era divenuta sgomento e attacco di panico, è il “beige, sabbia, rosa e grigio, con qualcosa di nero, color ombra”.
La colonna sonora che si ode in maniera subliminale o imperiosa è quella dei Soundgarden con la voce di Chris Cornell e dei Nirvana e del loro frontman Kurt Cobain.
Quando giungerete all’ultima pagina proverete l’impulso di ricominciare daccapo.



3 commenti:

  1. lo devo leggere perché da come lo hai descritto credo che rappresenti me e tutte le donne che si confrontano sempre con la loro femminilità spesso in conflitto con le loro incombenze a volte non proprio "femminili" la nostra creatività penso sia la chiave di volta di noi donne

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  2. La vinci parla del lungo periodo di profonda e patologica depressione che le ha fatto sfiorare il suicidio

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  3. Si lo leggero' molto interessante noi donne tutte, ci rappresenta con le ns paure leggere un libro sincero non può che esserci d'aiuto

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