“Le figlie di Ulisse”, opera prima del
ventenne ascolano Edoardo Manzi (Giuliano Landolfi editore), si muove
lungo tre piani prospettici, narrativi e cronologici: l’Autore racconta di una
antichità omerica che transita in un futuro risucchiante il presente.
La
storia, portata avanti con approccio erudito e stile agile, è un accattivante cocktail
di Tolkien, Omero, Asimov e Michael Ende, avente come set quel mondo di mezzo borderline
fra fantasy e fantascienza classica.
Suggestiva
e intrigante l’intuizione di proiettare nel “Domani che verrà” le peripezie di
Ulisse, realizzandone un’abile metamorfosi e rivisitazione. Un poema che
diviene fantascienza con tinte fantasy (o che diviene un fantasy con tinte
fantascientifiche?), ed evoca le opere di Valerio Massimo Manfredi.
Manzi palesa la mejo gioventù italica, a cui, però,
mi permetto di dare un consiglio: nella “Parola” bisogna entrare dentro per
darvi un tocco di pathos, non
tenersene lontani in posizione di osservatori di lei amanti.
Fabrizio Giulimondi
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