I PROTOCOLLI DI LEGALITA’
Negli ultimi anni si registra una grande diffusione dei “protocolli di legalità”, con cui le amministrazioni assumono, di regola, l’obbligo di inserire nei bandi di gara, quale condizione per la partecipazione, l’accettazione preventiva, da parte degli operatori economici, di determinate clausole introdotte per la prevenzione, il controllo ed il contrasto dei tentativi di infiltrazione mafiosa, nonché per la verifica della sicurezza e della regolarità dei luoghi di lavoro.
Molto frequentemente con detti strumenti convenzionali si estendono talune misure di controllo previste dalla legislazione antimafia (recentemente modificata) al di fuori dei casi strettamente previsti dalla legge.
Una fattispecie molto ricorrente è quella del subappalto che può essere acquisito solo da imprese appartenenti a determinate categorie e che hanno sottoscritto “protocolli d’intesa”.
TRASPARENZA Quanto sino ad ora accennato suggerisce la necessità di investire in trasparenza: una Pubblica Amministrazione intesa, per dirla con Turati, come una “Casa di vetro” costituisce il più grande ostacolo all’opera di corruttela, che sostanzia uno dei principali cromosomi del DNA mafioso.
Gli open data formano gli anticorpi ai condizionamenti malavitosi degli apparati pubblici. Di questi anticorpi più se ne immettono nel sistema e più la resistenza alla ramificazione metastatica mafiosa è efficace e vincente.
Credo che oramai si è preso coscienza che la Mafia, o meglio, le Mafie, rappresentino un problema non solo di ordine interno alla sovranità nazionale, ma anche di sicurezza internazionale.
Il fenomeno sociale ed economico della globalizzazione ha coinvolto anche le Mafie, che oramai interloquiscono fra di loro e stipulano accordi criminali ed affaristici al pari di qualsiasi altro soggetto privato o pubblico. La Mafia è un modello agevolmente esportabile, una sorta di format da prendere a modello e riprodurre negli Territori più disparati.
La dimensione sempre più marcatamente transnazionale dei processi economici, specialmente sul versante finanziario, rischia di mettere fuori gioco gli strumenti giuridici tradizionali a base nazionale.
Parallelamente alla globalizzazione delle Mafie si deve procedere alla globalizzazione del dialogo fra autorità giudiziarie e polizie.
Le Mafie seguono i capitali e la mafia con la scoppola in testa è un antico retaggio che può piacere ai cineasti, ma non corrisponde più alla realtà odierna: i mafiosi sono diventati poliglotti ed esperti di regole della finanza e dell’economia e gestiscono “affari” di ogni tipo. Mafia, infatti, vuole dire commercio di droghe, ma anche tratta di esseri umani in concomitanza all’incremento del fenomeno migratorio di massa e vuole dire anche “appalti” per “ripulire” i proventi sporchi, acquisirne di legittimi e dare lavoro agli “amici e agli amici degli amici”.
Come afferma il compianto sociologo Bauman, non si possono dare risposte locali a problemi globali, vista la presenza di Mafie in molti Paesi europei ed extra-europei.
La diversità delle legislazioni penali – ma anche civili e amministrative, specie nel settore delle procedure concessorie e sugli appalti - fra i vari ordinamenti può rappresentare un ostacolo alla cooperazione internazionale e, per tale ragione, è opportuno in seno alla Comunità internazionale renderle maggiormente omogenee.
In particolare, nel settore degli appalti l’omogeneità delle discipline europee ed extraeuropee è fondamentale per attingere il risultato di assegnare ai “migliori” il lavoro, tenendo lontane le associazioni malavitose. Come la Mafia parla linguaggi criminali diversificati con variegate modalità operative a seconda di dove opera, altrettanto deve essere multiforme l’azione portata avanti dagli ordinamenti giuridici a livello nazionale, europeo ed internazionale.
Encomiabile è stato lo sforzo del Governo e delle Assemblee nel dare alla luce il codice degli appalti 50/2015, modificato ed integrato con il decreto correttivo 56/2017, che hanno accolto e positivizzato gli spunti scaturiti dalla elaborazione ermeneutica del codice degli appalti (d.lgs 163/2006) ad opera della giurisprudenza amministrativa. Sicuramente il legislatore ha dato attuazione alle direttive europee sugli appalti pubblici del 2014 calibrando le esigenze di tutela della concorrenza e del mercato con quelle delle stazioni appaltanti pubbliche di ottenere il miglior risultato in termini di “prodotto finale da acquisire”, sia sotto l’aspetto qualitativo che di contenimento della spesa pubblica, senza alcun condizionamento mafioso e criminale.
Questo discorso vale a maggior ragione nell’ambito della ricostruzione post sismica, che vede la necessità di contemperare i legittimi interessi della popolazione ad avere celermente la fruizione di edifici abitativi e pubblici staticamente e funzionalmente perfetti, con la parimenti importante e ineludibile necessità che le cosche criminali non “mettano mano” su siffatta riedificazione.
SUGGERIMENTI DELLA COMMISSIONE EUROPEA. Per la Commissione europea (3 febbraio 2014) l’approvazione da parte del Parlamento italiano della legge anticorruzione 190/2012 segna un importante passo in avanti nel contrasto al fenomeno.
La nuova normativa dà rilievo a politiche di prevenzione mirate a potenziare la responsabilità (accountability) dei pubblici ufficiali e della classe politica e a riequilibrare l’onere della lotta anticorruzione, che attualmente grava quasi esclusivamente sulle forze dell’ordine e sulla magistratura.
La Commissione ha proferito vari suggerimenti normativi al legislatore italiano per contrastare al meglio il fenomeno della corruttela, fra cui quello di rendere più trasparenti gli appalti pubblici, prima e dopo l’aggiudicazione.
IL PARLAMENTO ITALIANO SI È BEN ATTIVATO IN TAL SENSO.
I recenti provvedimenti adottati dal Governo, in particolare l’approvazione del decreto legislativo sulla corruzione tra privati (decreto legislativo 38/2017, in attuazione della delega prevista dall’art. 19 della legge di delegazione europea 2015 - legge 170/2016), costituiscono un ulteriore passo in avanti all’interno di un percorso riformatore che, in questi anni, ha inteso combattere senza quartiere la corruzione, riformulando le ipotesi criminose, aggravando la risposta sanzionatoria ed introducendo anche meccanismi premiali e di deterrenza.
L’intervento in esame si polarizza ancora una volta sia sui soggetti operanti che sulle condotte di reato punendo, per il reato di corruzione nel settore privato, coloro che svolgono funzioni direttive all’interno di un ente ed ampliano le condotte sanzionatorie ricomprendendovi anche l’istigazione alla corruzione.
Il fenomeno corruttivo provoca, infatti, danni all’interno del sistema, pubblico e privato, creando un deficit di trasparenza ed efficienza che incrina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e indebolisce il mercato, favorendo la concorrenza sleale e scoraggiando gli investitori stranieri. Il provvedimento ha completato la risposta normativa rispetto al fenomeno corruttivo tra privati, già colpita dal nuovo codice degli appalti che ha introdotto, tra le altre misure, il sistema del rating di legalità quale strumento di garanzia di accesso delle imprese sul mercato pubblico. Senza contare l’introduzione di poteri molto più pervicaci in capo all’ANAC sul fronte repressivo oltre che preventivo.
E’ necessario stabilire un lavoro sempre più sinergico fra tutti gli attori istituzionali che agevoli il nostro Paese ad implementare la propria crescita economica, i livelli occupazionali già in costante aumento ed il clima di fiducia (già migliorata), rafforzando contestualmente la cornice di legalità all’interno del sistema economico e sociale.
Grazie al nuovo codice degli appalti, i controlli nel settore degli appalti pubblici sono diventati ancora più stringenti. Un giro di vite utilissimo per garantire la legalità, insieme agli strumenti che possono essere messi in campo a livello locale per prevenire le infiltrazioni. Un modo per contribuire alla riforma del codice degli appalti bisogna operare su due piani: l'applicazione delle nuove regole, in sintonia con le linee guida dell’Anac e lo snellimento del contenzioso, attraverso gli istituti alternativi - dagli accordi, alle transazioni e agli arbitrati - previsti e potenziati dalla riforma.
Abbiamo messo in campo azioni finalizzate al mantenimento della continuità aziendale, alla maggiore accessibilità al credito per le imprese che si trovano in un momento di difficoltà e a rendere più celere il recupero dei crediti, con la creazione della nuova figura del pegno non possessorio. Strumenti non solo repressivi, dunque, ma che intendono affiancare i settori produttivi in crisi in un’ottica virtuosa e collaborativa, evitando che siano le sacche mafiose a svolgere funzioni di “welfare” criminale per le imprese.
Vincere la sfida della legalità vuole significare, prima di tutto, una sfida che è prima di tutto culturale (VEDI DISCORSO SOPRA SUGLI STATI GENERALI ANTIMAFIA), sfida che devono, in prima battuta, compiere le aziende italiane nella propria azione economica: solo contrastando con efficacia gli incancreniti fenomeni mafiosi si può davvero ripristinare il rispetto della legalità nei rapporti sociali ed economici. Istituzioni e mercato hanno il dovere di garantire una leale concorrenza sul mercato, improntata a parametri di equità e di equilibrio sociale.
Inoltre, occorre garantire una maggiore appetibilità delle strutture e delle funzioni statuali, a cominciare dalle regioni maggiormente in difficoltà dal punto di vista economico. Bisogna aiutare i cittadini a scegliere lo Stato e aiutare lo Stato stesso ad essere appetibile agli occhi dai cittadini. Dobbiamo rompere questo circuito pernicioso che conduce a trovare nelle mille opportunità sommerse dell’economia mafiosa le risposte ai piccoli e grandi drammi occupazionali e sociali esistenti, a maggior ragione in quei imprenditoriali sfibrati dalla crisi.
TERZO PROVVEDIMENTO D’URGENZA “TERREMOTO”: decreto-legge 9 febbraio 2017, n. 8 convertito in legge 7 aprile 2017, n. 45 recante: “Nuovi interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017”:
· Per quanto riguarda gli appalti, si conferma il rafforzamento delle procedure emergenziali. L'appalto integrato (progettazione e realizzazione) affidato a trattativa privata a inviti (almeno cinque imprese) diventa la regola per realizzare le nuove scuole permanenti (già indicate in una ordinanza dell’allora Commissario alla ricostruzione Vasco Errani). La scelta della migliore proposta sarà fatta da una apposita commissione sulla base del progetto definitivo. Trattativa privata a inviti con affidamento al massimo ribasso anche per affidare i lavori di urbanizzazione dei moduli temporanei (abitativi, per l'impresa o per uffici pubblici), a cura delle Regioni.
IMPORTANTE:
Le misure emergenziali e le “deroghe” alla legislazione ordinaria forniscono una risposta nell’immediato ma rischiano di creare confusione in seno ad una normazione già complessa e molto articolata, che il legislatore ha cercato di semplificare tramite lo strumento della codificazione. Il legislatore deve fissare regole semplici e chiare per tutti, magari inserendo nel medesimo testo disposizioni particolari in presenza di situazioni peculiari, ma eviti di predisporre diversificate e molteplici norme dentro differenti articolati emergenziali e/o derogatori delle regole generali (decreti legge, decreti legislativi, regolamenti). Senza dubbio è utile la produzione di soft law da parte dell’ANAC in chiave chiarificatrice, anche se risulta opportuno, se non necessario, ben collocarla nell’ambito della gerarchia delle fonti e capirne natura ed efficacia.
WHITE LIST
Le white list rappresentano una delle soluzioni seguite dal legislatore, riprendendo opzioni legislative estere, per consentire agli operatori economici e imprenditoriali di accedere alle procedure ad evidenza pubblica senza vedersi scavalcati da soggetti poco inclini alla legalità e per far sì che stazioni appaltanti e soggetti aggiudicatari possano attingere da liste di fornitori “pulite” per individuare, rispettivamente, assegnatari di lavori, servizi e forniture e subappaltatori.
Quello delle white list è stato un percorso accidentato e non privo di dubbi e ripensamenti. La condivisione che determinati mercati legali fossero sottoposti a una influenza irresistibile da parte della criminalità organizzata, nonché la contestuale preoccupazione di cospicui settori dell’imprenditoria (Ance in primo luogo) che fosse impossibile per le aziende pulite evitare la contaminazione con quelle illegali, ha generato un consenso sullo strumento delle white list, ossia sugli elenchi di imprese da cui si potessero tranquillamente attingere subappaltatori, fornitori e noleggiatori, in linea con la disciplina del codice degli appalti.
Le white list perseguano il fine di creare un bacino di imprese selezionate e controllate a monte, presso cui qualsiasi imprenditore può accedere per individuare, ad esempio, il subcontraente, con il risultato di un affrancamento da eventuali, successive censure ad opera della prefettura. Il ricorso alle liste di cui al comma 52 dell'art. 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190 ("Disposizioni per la prevenzione della corruzione e dell'illegalità nella Pubblica Amministrazione") dovrebbe radicalmente preservare la committente capofila dalla contestazione di aver inserito nel ciclo produttivo per la realizzazione dell’opera pubblica una bad company (contestazione che in qualche caso ha prodotto anche gravi danni all’impresa aggiudicatrice dell’appalto con l’emissione di interdittive antimafia e la contestuale revoca della commessa).
Per fare ciò, sin dalla conversione in legge del decreto legge 28 aprile 2009, n. 39, dedicato alla emergenza per gli eventi sismici in Abruzzo, si è previsto che “con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri….è prevista la costituzione, presso i prefetto territorialmente competente, di elenchi di fornitori e prestatori di servizi, non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, cui possono rivolgersi gli esecutori dei lavori oggetto del presente decreto”.
Il Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Grandi Opere, presso il Ministero dell’Interno, curò l’emanazione di una serie di linee guida. In particolare, le linee guida del 1 agosto 2010 ebbero a curare il dettaglio di tutti gli adempimenti necessari per l’inserimento delle imprese nelle white list, per i controlli successivi a tale annotazione, per la cancellazione, etc..
Il comma 52 dell’art. 1, legge 190/2012, prevede che “l’iscrizione negli elenchi della prefettura della provincia in cui l’impresa ha sede soddisfa i requisiti per l’informazione antimafia per l’esercizio della relativa attività.” Dalla lettura delle citate linee guida del 12 agosto 2010 si ricava quanto segue:”Appare conseguenziale che l’iscrizione nell’elenco venga perciò a essere correlata ad accertamenti approfonditi che, nella specie, non possono che corrispondere alla verifica della non ricorrenza nei confronti dell’operatore economico del fumus di mafiosità. Come si vede, è una forma di controllo particolarmente rafforzata, che è stata espansa dall’emergenza Abruzzo ai lavori di Expo 2015 (d.l.25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge 20 novembre 2009, n. 166). E’ interessante notare che, come era implicito sin dalla sua prima elaborazione in sede di “Protocolli di legalità”, il sistema delle white list sia andato assumendo anche i connotati di un rimedio di semplificazione delle gare d’appalto, esonerando le imprese aggiudicatrici e le stazioni appaltanti da defatiganti controlli antimafia.
Per partecipare alle gare d’appalto nei settori a rischio di infiltrazione mafiosa è obbligatoria l’iscrizione alle white list. Lo spiega il DPCM 24 novembre 2014 che ha modificato IL DPCM 18 aprile 2013.
In base alla legge 190/2012 i settori maggiormente esposti al rischio di infiltrazione criminale sono, ad esempio, il
trasporto di materiali a discarica per conto di terzi e
l’estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti.
Allo stesso tempo, il decreto chiarisce che senza iscrizione non sarà possibile né partecipare a gare né farsi affidare lavori in subappalto.
A dire il vero si tratta di una elencazione che rispecchia modalità di presenza delle mafie nel settore delle attività economiche di sicuro tuttora largamente praticate, ma che descrivono anche una mafia imprenditrice tutto sommato arretrata di alcuni decenni. La tendenza delle cosche più strutturate ad assumere la leadership in determinati settori del mercato rischia di restare esclusa da una visione premoderna dell’infiltrazione mafiosa, quale è quella fotografata dall’art.1,comma 53, legge 190/2012, ossia l’elenco prima riportato. E’ per tale ragione che appare sicuramente opportuno e congruo il rimedio individuato dal comma 54, che intende perseguire lo scopo di un aggiornamento del catalogo delle attività a rischio e, quindi, quello di inseguire le nuove mafie sui terreni più insidiosi, ad esempio, dei prodotti finanziari connessi alle gare, della progettazione, etc.
WHISTLEBLOWING (AC 3365-B, approvato Camera, modificato Senato, ora Commissione Giustizia Camera)
L'art. 2 del disegno di legge estende al settore privato la tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti, attraverso modifiche all'articolo 6 del decreto legislativo n. 231 del 2001. In particolare, è integrata la disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti privati derivante da reati. La disciplina concerne gli enti, società e associazioni (anche prive di personalità giuridica) privati, nonché gli enti pubblici economici. In base a questa normativa, essi sono responsabili per i reati commessi da determinati soggetti nell'interesse o a vantaggio dell'ente. La responsabilità di quest'ultimo è esclusa qualora ricorrano alcune condizioni, tra cui l'adozione e l'attuazione di modelli di organizzazione e gestione aventi determinati requisiti. Le novelle all'articolo 6 del decreto legislativo n. 231 del 2001 integrano i requisiti stabiliti per i suddetti modelli. Nello specifico, essi devono contemplare, a carico di coloro che a qualsiasi titolo dirigano o collaborino con l'ente, l'obbligo di presentare segnalazioni circostanziate di illeciti o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte.
AMBIENTE Anche il mercato pubblico fa da nuova leva per impresa rivolta all’ambiente e al sociale. Il nuovo codice degli appalti (d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50; d.lgs "correttivo" 19 aprile 2017, n. 56) si occupa di sviluppo sostenibile laddove pone in relazione l’accesso e la contendibilità dei mercati pubblici con la tutela dell’ambiente. Il profilo di interesse è quello degli acquisiti verdi della p.a. (green public agreement)à strumento per scegliere prodotti e servizi che hanno un minore, oppure un ridotto effetto sulla salute umana e sull'ambiente rispetto ad altri prodotti e servizi utilizzati allo stesso scopo. Assumono rilievo a tal fine i criteri ambientali minimali che obbligano la PA ad inserire nei bandi di gara e nei capitolati specifiche clausole tecniche per la sostenibilità ambientale consumi della PA.
FIGURA DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO COME AMANAGER IMMOBILIARE: Di particolare importanza è proprio la sicurezza statica degli edifici che deve emergere da elementi descritti oggettivamente dall’amministratore, nella loro chiarezza documentale. Le fonti possono essere: il fascicolo del fabbricato, se esistente, le certificazioni obbligatorie di conformità di impianti comuni alla legge, gli aggiornamenti della situazione statica, che gravano sull’ amministratore per fatti o opere successive al ricevimento del suo mandato. Una ricostruzione delle vicende edilizie dell’immobile rientra, quindi, fra i doveri dell’amministratore, come è stato confermato dalla giurisprudenza (sent. Cass. n. 1085/2010)
Fabrizio Giulimondi
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