sabato 25 ottobre 2014
giovedì 23 ottobre 2014
PATRICK MODIANO, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2014:"DORA BRUDER"
De gustibus non disputandum est ma
avrei preferito che il Premio Nobel per la letteratura 2014 fosse stato assegnato
al giapponese Murakami per la
genialità e la singolarità della sua produzione letteraria, piuttosto che al
francese Patrick Modiano per le sue
opere librarie, fra le quali “Dora
Bruder” (Narratori della Fenice) certamente
emerge per la drammatica semplicità e per lo scorrevole incidere della
narrazione negli anni ottenebrati dal
nazismo.
L’Autore
stesso è il protagonista del racconto che si snoda nella ricerca di memorie su
una ragazzina ebrea dopo la scoperta che egli compie su un giornale dell’epoca.
Modiano
intraprende un percorso fra l’immaginifico e il realistico mentre indaga su questa Anna Frank d’oltralpe lungo la Parigi
di Vichy, la Parigi cupa de I Miserabili
di Victor Hugo, la Parigi orribilmente straziata dalla occupazione tedesca fra
il luglio del 1940 e l’agosto del 1944. Storie di vita quotidiana e di
prigionia riscostruite attraverso foto sbiadite in bianco e nero e lettere
dimenticate, storie che ci conducono all’interno delle prigioni del regime, dei
campi di internamento, di concentramento e di sterminio, dove tutti i gironi
danteschi vanno a confluire. In “Doria
Bruder” v’è l’orrore rarefatto del capolavoro di Spielberg Schindler’s list e de La banalità del male della compianta Hanna Arendt.
Questo
lavoro incarna il verbo scritto senza il quale le esistenze di tante persone come
Dora Bruder si sarebbero volatilizzate: “…si
muove nel vuoto, si agita nel vuoto, attraversa il vuoto, viene deluso dal
vuoto…”(Pietro Citati).
Il trade union fra quel passato e il presente
di uno scrittore francese di origine ebraica è lo stesso Patrick Modiano: ”Ho la sensazione
di essere il solo a reggere il filo che collega la Parigi di quell’epoca e
quella di oggi, il solo che si ricordi di tutti questi particolari…..Se non
fossi qui a scriverlo, non esisterebbe più traccia della presenza di quella
sconosciuta….”.
E
poi, incamminandosi verso la fine, verso orizzonti crepuscolari, il lettore si
abbandona ad una sensazione di stupore quando dalla fuliggine che lo nascondeva
viene lentamente disvelato ciò che prima era ignoto e tale poteva rimanere: ” Eppure, sotto quella spessa coltre di
amnesia, si sentiva qualcosa, di quando in quando, un’eco lontana, soffocata,
anche se nessuno sarebbe stato in grado di dire cosa, con precisione. Era come
trovarsi sull’orlo di un campo magnetico, senza pendolo per captarne le onde.”.
Fabrizio Giulimondi
martedì 21 ottobre 2014
giovedì 16 ottobre 2014
FABRIZIO GIULIMONDI:LA RISPOSTA ALLE "TESI" DEL CARDINAL KASPER - “PERMANERE NELLA VERITÀ DI CRISTO. MATRIMONIO E COMUNIONE NELLA CHIESA CATTOLICA”, A CURA DI ROBERT DODARO O.S.A., SCRITTI DI BRANDMULLER, BURKE, CAFFARRA, DE PAOLIS, DODARO, MANKOWSKI, MULLER, RIST, VASIL
“Permanere nella verità di Cristo.
Matrimonio e comunione nella Chiesa Cattolica”, a cura di Robert Dodaro O.S.A.,
scritti di Brandmuller, Burke, Caffarra, De Paolis, Dodaro, Mankowski, Muller,
Rist, Vasil (2014, edizioni Cantagalli)
Nella
relazione presentata al Concistoro straordinario sulla famiglia (febbraio
2014), il cardinale Walter Kasper ha lanciato un appello affinché la Chiesa
armonizzi "fedeltà e misericordia di Dio nella sua azione pastorale
riguardo ai divorziati risposati con rito civile". Un invito al confronto
arriva con questo volume, scritto in vista del sinodo sulla famiglia, che vede
lo sforzo congiunto di cinque cardinali della Chiesa cattolica e di altri
quattro studiosi. Nei loro interventi, gli autori dimostrano come, esaminando i
testi biblici fondamentali e facendo ricorso alla patristica, non sia possibile
dare sostegno "sic et simpliciter" ad una "tolleranza" -
sostenuta dal cardinale Kasper - nel riconoscere la facoltà di accedere al sacramento
dell'eucaristia a quanti abbiano contratto il matrimonio civile successivamente
al divorzio. Gli autori argomentano in favore del mantenimento delle basi
teologiche e canoniche della connessione tra dottrina cattolica tradizionale e
disciplina sacramentale inerente il matrimonio e la comunione. La fedeltà della
Chiesa alla verità del matrimonio costituisce così il fondamento irrevocabile
della sua misericordiosa e amorevole risposta alla persona civilmente
divorziata e risposata. Il libro, quindi, sfida la premessa secondo la quale la
dottrina tradizionale cattolica e la pratica pastorale contemporanea sarebbero
in contraddizione.
Tratto
dal commento al libro
"LUCY" DI LUC BESSON
E se
il cervello umano usasse tutto il 100 per cento del suo potenziale cosa
accadrebbe? L’avvincente ed affascinante film di Luc Besson “Lucy” fornisce una immaginifica risposta alla
domanda che in tanti ci poniamo.
Lucy
è il primo australopiteco di sesso
femminile risalente a quattro milioni di anni fa scoperto nel novembre del 1974 in Etiopia. Lucy è la prodigiosa
protagonista interpretata dalla seducente e bravissima Scarlett Johansson (affiancata da un sempre grandioso Morgan Freeman), che non dismette nelle
sue movenze le sembianze della Vedova Nera, assumendo simultaneamente anche quelle della "eroina" di Kill Bill di Quentin Tarantino.
La pellicola è simile nella partenza al film del 2011 di Neil
Burger Limitness, per poi svilupparsi
ed esplodere in un secondo momento in un vero action movie di marcato segno fantascientifico, dove al posto di
una pasticca vi sono sacchetti di cph4, la potente sostanza che le donne
incinte producono dalla sesta settimana e che contribuisce alla trasformazione
del feto in bambino.
Bellissime le interpolazioni documentaristiche e i richiami ad alcune immagini dell’epocale opera 2001:Odissea nello spazio.
La “Messa
da requiem in re minore K 626” di Mozart come colonna sonora è il tocco artistico
finale di Besson.
Fabrizio Giulimondi
sabato 11 ottobre 2014
"NON E' FRANCESCO-LA CHIESA NELLA GRANDE TEMPESTA" DI ANTONIO SOCCI (MONDADORI)
Mentre la Chiesa vive un periodo storico
drammatico, di crisi interna e di violento attacco ai cattolici nel mondo, in
Vaticano continua un'inedita «convivenza di due Papi» su cui nessuno ha avuto
ancora il coraggio di riflettere. Lo fa, in questo libro Non è Francesco. La Chiesa nella grande tempesta (edito dalla Mondadori),
chiedendosi quali sono i motivi tuttora sconosciuti della storica rinuncia di
Benedetto XVI e se si tratta di vera rinuncia al Papato, dato che i canonisti
cominciano a sollevare gravi dubbi. Domande che adesso s'intrecciano con quelle
relative al Conclave del 13 marzo 2013 che, secondo la clamorosa ricostruzione
dell'autore, si sarebbe svolto in violazione di alcune norme della Costituzione
apostolica Universi Dominici Gregis, cosa che automaticamente rende nulla e
invalida l'elezione stessa del cardinale Jorge Mario Bergoglio. L'interrogativo
su chi è il vero Papa (ovvero se c'è bisogno di un nuovo Conclave) irrompe in
un momento in cui nella Chiesa si stanno verificando fratture drammatiche e si
annunciano eventi clamorosi. Chi può tenere il timone? Era piaciuto a tanti
l'esordio di Francesco. Sembrava un ritorno alla semplicità evangelica.
Purtroppo oggi i fedeli delusi sono moltissimi. Ci si aspettava una ventata di
rigore morale nei confronti della «sporcizia» (anche del ceto ecclesiastico)
denunciata e combattuta da Ratzinger. Ma come va interpretato il segnale dato
dal nuovo Pontificato al mondo, di lassismo e di resa sui principi morali? E
l'arrendevolezza nei confronti di ideologie e forze anticristiane, anche
persecutrici? E le traumatiche rotture con la tradizione della Chiesa? Molti
fatti soprannaturali, dalle apparizioni di Fatima alla visione di Leone XIII,
alle profezie della beata Anna Caterina Emmerich sull'epoca dei «due Papi»,
sembrano concentrarsi sui giorni nostri annunciando eventi catastrofici per il
Papato, per la Chiesa e per il mondo. Sono ineluttabili o si può ancora
imboccare un'altra strada? E con quale Papa?
Tratto dalla recensione del libro
venerdì 10 ottobre 2014
MALALA YOUSAFZAY: PREMIO NOBELPER LA PACE 2014 - "IO SONO MALALA, LA MIA BATTAGLIA PER LA LIBERTA' E L'ISTRUZIONE DELLE DONNE" DI MALALA YOUSAFZAY
“Spesso noi esseri umani non ci rendiamo conto di quanto Dio sia grande. Lui ci ha dato un cervello straordinario e un cuore sensibile e capace di amore. Ci ha benedetto donandoci due labbra con cui parlare ed esprimere i nostri sentimenti, due occhi con cui ammirare un mondo di colori e di bellezza, due piedi con cui percorrere le strade della vita, due mani che lavorano per noi, un naso capace di cogliere i profumi e due orecchie con cui sentire parole d’amore. Come avevo sperimentato nel caso del mio orecchio sinistro, non ci rendiamo conto di quanto potere ci sia in ciascuno degli organi del nostro corpo finché non ne perdiamo uno.
Ringrazio Dio per i medici che tanto lavoro hanno profuso su di me, per la mia guarigione e per averci mandati in questo mondo dove possiamo lottare per la sopravvivenza. Alcuni di noi scelgono via buone e altri vie cattive. La pallottola sparata da una persona mi ha colpito, mi ha fatto gonfiare il cervello, mi ha rubato l’udito e ha tagliato il mio nervo facciale sinistro, tutto nello spazio di un secondo. Ma passato quel secondo ci sono stati milioni di persone che hanno pregato per la mia vita e medici bravissimi che mi hanno restituito il mio corpo.
Ero una brava ragazza che nel suo cuore aveva solo il desiderio di aiutare gli altri. A interessarmi non erano premi o soldi. Ho sempre chiesto a Dio: Ti prego, voglio aiutare gli altri, aiutami a farlo!”
Questo è il desiderio che sgorga dal cuore di Malala Yousafzay, candidata al Premio Nobel per la Pace, autrice del libro autobiografico “Io sono Malala” (Garzanti), che sarebbe opportuno divenisse obbligatorio sui banchi di scuola degli istituti secondari e liceali, per dare aria alle menti di tanti adolescenti offuscate dal politically correct. A questa straordinaria pulsione intellettuale e morale di Malala i talebani rispondono con tre colpi sparati a distanza ravvicinata contro la sua testa.
Quale è la terribile colpa di Malala per meritare l’attentato? Vuole studiare. Malala ha quindici anni quando le hanno esploso tre colpi di pistola e vuole studiare, e vuole che studino tutte le ragazzine dello Swat, valle dove vive con la sua famiglia, e vuole che in tutta la sua Patria, il Pakistan, vadano a scuola le bambine e le ragazze, e vuole che abbiano una istruzione anche le donne del vicino Afghanistan e tutte le musulmane a cui viene negata la conoscenza in molti Paesi (tanti! troppi!) a prevalente religione islamica.
“Chi è fra di voi Malala?” “Io sono Malala” e poi tre esplosioni.
Malala è così, semplicemente coraggiosa e umilmente straordinaria, anche grazie a un padre al di sopra del comune, che combatte per il diritto allo studio delle donne e, per questo, mette su una scuola a rischio della propria vita, contro la volontà dei talebani, fra una bomba e un attentato kamikaze.
Malala ha una madre, analfabeta, che non vuole che lo sia anche la figlia.
Alla segregazione del purdah, che imprigiona il corpo con il burka e separa fisicamente la donna dal mondo con tende appositamente montate o pareti a ciò costruite, agli islamici radicali per i quali quasi tutto è haran, forse la vita stessa, Malala oppone una istruzione gratuita a tutti i bambini: “Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”. La cultura è halal, la vita è halal.
Le vicende di Malala – che aspira ad essere la nuova Benazir Bhutto - si accompagnano con la storia del Pakistan.
Lungo la narrazione – che, nel suo incedere, diventa sempre più marcata, trascinante e vibrante, fino alle note di grande drammaticità dell’epilogo - si intravedono i costumi, gli usi, i precetti, le concezioni, i miti di quelle regioni dell’Asia meridionale. Nel proscenio ammirerete le descrizioni delle bellezze naturali di quelle Terre e, talora, se presterete un attimo di attenzione, potreste scorgerne i colori e, magari, gustare i sapori delle pietanze tradizionali e, solo però se vi lascerete andare, udire anche i suoni che vagano nell’aria e fanno da sottofondo alle parole pronunziate da una ragazzina: una ragazzina che viene da un villaggio sperduto nella valle dello Swat, che andava a scuola terrorizzata che le potessero buttare sul viso dell’acido, a cui hanno puntato un’arma sul viso, e che adesso parla alle Nazioni Unite a New York di fronte ai Grandi della Terra.
La malinconia e la nostalgia delle ultime pagine rispecchiano la luce che Malala emana dai suoi occhi: perché ora vive a Birmingham e non è più tornata a casa sua.
“Sedermi a scuola a leggere i libri è un mio diritto. Vedere ogni essere umano sorridere di felicità è il mio desiderio. Io sono Malala. Il mio mondo è cambiato ma io no.”.
Malala Yousafzay, insieme a Kailash Satyarthi, ha ricevuto il 10 ottobre 2014 il Premio Nobel per la Pace.
Fabrizio Giulimondi
giovedì 9 ottobre 2014
domenica 5 ottobre 2014
"KAFKA SULLA SPIAGGIA" DI HARUKI MURAKAMI
“Il puro presente è il processo
impercettibile in cui il passato avanza divorando il futuro. A dire il vero, ogni percezione è già
ricordo………..Qui non c’è niente, salvo le variazioni atmosferiche, a
differenziare un giorno dall’altro. Se non ci fossero, si perderebbe ogni
distinzione. Il confine tra l’oggi e il domani, il domani e il dopodomani, è
labile: il tempo è come una nave senza ancora, trasportata qua e là dalla
corrente.”.
Si
avvicina la proclamazione della assegnazione del premio Nobel per la
letteratura 2014 e il favorito è il prodigioso scrittore nipponico Haruki Murakami, padre, insieme al
latino-americano Gabriel Garcìa Màrquez,
del “realismo magico”.
Non
è facile parlare di letteratura giapponese e, men che meno, dell’opera di un
genio globalmente riconosciuto come Murakami,
che, con il romanzo “Kafka sulla spiaggia” (Einaudi Super ET,2002), tocca livelli di
intrigata, intrigante e ineffabile bellezza.
“Kafka sulla spiaggia” turba e affascina
il lettore per il contenuto, lo stile e la stessa strutturazione del
linguaggio. Non si può approcciare questo lavoro – al pari delle altre fatiche
di Murakami – se non con la stessa
metodologia di avvicinamento usata dagli storici dell’arte per godere di una
tela cubista, surrealista o astrattista, in cui i punti di fuga, la visione
prospettica, il baricentro della rappresentazione figurativa, sono
completamente stravolti rispetto alla concezione pittorica classica, e dove la
riproduzione dell’immagine dell’essere umano è destrutturata e strappata dalla
realtà.
Alla
stessa stregua il lettore si deve muovere fra le pagine di “Kafka
sulla spiaggia”.
La
magia, il mistero, il soprannaturale, i risvolti onirici e favolistici, l’inverosimile,
la stravaganza, sono parte della realtà, sono un tutt’uno con essa. Non v’è una
separazione, una cesura, fra il mondo visibile e quello intangibile, fra lo
spazio e l’assenza di esso, tra il tempo nel suo fluire, il passato, il
presente ed il futuro, e la sua assenza. Un unico universo in cui nulla è
chiaro, non sussistono certezze nelle risposte e tutto è niente altro che una
ipotesi, avvolta in una coltre di fuliggine, che nasconde e rende indistinto, incomprensibile, impalpabile e irraggiungibile ogni particolare, ogni
verità.
L’armonia
romantica e la delicata poesia di un momento vengono improvvisamente scosse da sprazzi
di cannibalica violenza e incestuosa turpitudine erotica, propria della complessa
letteratura del Sol Levante, della ricca
cinematografia orientale e della fumettistica del “Paese dei fiori di loto”,
come le pellicole di animazione di Hayao Miyazaki ci insegnano.
Alle
descrizioni talora espressioniste,
talora impressioniste, della natura, si
sovrappongono dettagliati racconti introspettivi di ciascun personaggio. Ogni
rappresentazione della corporeità di un essere umano o di un animale è solo
l’occasione per penetrare il suo mondo interiore e la sua essenza. Fisicità e
spiritualità, yin e yang l’una dell’altra. Ogni elemento è
significante ed insignificante nello stesso tempo, avviluppato in una sacralità
panteista e scintoista.
La
narrazione è continuamente interpolata da richiami letterari risalenti alla
antichità greco-romana o alla
contemporaneità anglo-sassone e russa. Il leitmotiv
è l’Edipo re di Sofocle, ma c’è anche la ricerca
kafkiana dell’uomo e la presenza di Edgar
Allan Poe, perché Kafka in lingua ceca vuole dire Corvo, come “il ragazzo
che si chiama Corvo”, alter ego del protagonista Tamura Kafka, invero The Raven.
“Kafka sulla spiaggia” è il titolo del
capolavoro, ma è anche un brano musicale che funge da colonna sonora del libro,
ed è anche un dipinto su cui i personaggi si specchiano e attraverso di esso
tentano di capire e capirsi, senza riuscirci.
Sartre diceva che una
parola può avere molti significati, richiamare molte immagini, scatenare molte
emozioni. “Kafka sulla spiaggia” non
è solo un’opera letteraria, ma è musica e pittura e, quindi, una magmatica, vorticosa
e incontrollabile moltitudine di sentimenti, di emozioni, di sensazioni.
“Tutt’intorno a me ci sono molti validi
sostituti: il canto degli uccelli, le voci di infiniti insetti, il mormorio del
ruscello, il suono del vento che attraversa il fogliame degli alberi, i passi
di qualche animale che cammina sul tetto, il rumore della pioggia.”.
Fabrizio Giulimondi
sabato 4 ottobre 2014
"FRATELLI UNICI" DI ALESSIO MARIA FEDERICI
Dopo la notevole interpretazione di Alessandro Gassman e Luigi Lo Cascio ne I nostri Ragazzi di Ivano De
Matteo (già recensito in questa Rubrica), altra robusta recitazione di una
coppia di belli, Luca Argentero e Raoul Bova, la troviamo in “Fratelli
unici” di Alessio Maria Federici.
Questa pellicola è la prova provata
che si può far ridere il pubblico senza volgarità e parolacce e far provare
allo spettatore emozioni amorose e romantiche senza sbattergli in faccia sesso a profusione.
“Fratelli
unici” è uno splendido mix di risate e sentimenti puliti, un po’
Rain Man e tanta commedia tradizionale
italiana.
Quando vuole la cinematografia
nostrana riesce a tirare fuori ottimi lavori, specie se concepiti dalle nuove
leve, non assopite in polverosi e tristi modelli cinici ed intellettualoidi seguiti
da certi vetusti cineasti italici.
Fabrizio Giulimondi
mercoledì 1 ottobre 2014
FABRIZIO GIULIMONDI - "IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE: DALL’ILVA DI TARANTO ALLA BASF DI ROMA"
1- Introduzione
Il diritto dell’ambiente ha risvolti di varia
natura, che spesso interferiscono simultaneamente con molteplici aspetti della
persona e con le attività esercitate dagli operatori commerciali. La
supervisione operata dagli organi pubblici non può non tenere conto dei danni
che taluni comportamenti imprenditoriali provocano agli individui, alla Comunità
nel suo insieme e alla conservazione dell’ambiente. Il principio di precauzione
è uno strumento che si prefigge di interloquire fra i portatori di interessi di
non poco momento, spesso confliggenti fra loro, facendo sì che il bene supremo
della integrità fisica e psichica della persona non sia intaccato da un realizzazione
sconsiderata dell’agere imprenditoriale.
Il principio, così come configurato dallo
scrivente, si colloca nella impostazione “antropocentrica” e comparativa del
diritto ambientale[1], che muove dall’uomo e dai suoi bisogni e,
quindi, ispeziona la natura attraverso gli interessi umani[2].
Con questo breve scritto ci proponiamo di
scandagliare, in mezzo alla magmatica massa di principi che informano il
diritto dell’ambiente, il “principio di precauzione”, così come strutturato
dalla legislazione comunitaria e dalla corposa produzione dottrinaria.
Ci occuperemo, pertanto, di capire cosa sia
il principio di precauzione e come esso, attraverso l’azione legislativa e
l’opera ermeneutica posta in essere nelle aule di giustizia straniere,
comunitarie ed italiane, sia stato adoperato per coniugare occupazione,
economia, produttività, salute personale e collettiva - senza dimenticare la
salubrità ambientale – in vicende che hanno suscitato clamore nazionale (come
quella dell’Ilva di Taranto), o di richiamo più localistico (al pari della Basf
di Roma).
2- Il principio di
precauzione
I principi che informano l’azione comunitaria
nel settore dell’ambiente sono enunciati nel secondo paragrafo dell’art. 174
del Trattato. I primi tre erano già previsti dall’Atto Unico Europeo, mentre il
quarto è stato aggiunto ad opera del Trattato sull’Unione Europea[3]. Essi sono:
-
Il principio dell’azione preventiva, secondo
il quale è necessario predisporre tutte le misure volte a prevenire danni
ambientali scientificamente accertati o accertabili;
-
Il principio della correzione (soprattutto
alla fonte) dei danni causati all’ambiente, principio che impone un’immediata
rimozione della fonte di inquinamento ambientale;
-
Il principio “chi inquina paga” in base al
quale chi produce danni all’ambiente è tenuto al risarcimento della
collettività;
-
Il principio di precauzione, che impone a
tutti coloro che svolgono attività potenzialmente dannose per l’ambiente, la
ricerca di rimedi atti a scongiurare un tale evento.
Invero, la Dottrina ha effettuato una attenta
e dettagliata analisi dei principi inerenti il diritto ambientale, individuando
ed elaborando al loro interno categorie e sottocategorie correlate all’ordinamento interno e a quello comunitario[4] [5].
Entro questa congerie di principi, quello di precauzione si connota come l’insieme
delle azioni che tendono a salvaguardare la salute individuale e collettiva, ed
ha come scopo, in una ottica antropocentrica, da una parte la tutela della
integrità fisica e psichica dell’individuo, dall’altra la riduzione delle
minacce che alcuni ambienti fisici, psicologici e sociali possono provocare
alle persone[6].
Il termine italiano
“rischio” indica sia la misura del pericolo (“hazard”), sia la probabilità del
suo verificarsi (“risk”). Il rischio è multidimensionale: è in funzione della
natura del pericolo, della probabilità di incorrervi e subirne gli effetti,
oltre del grado di esposizione. E’ molto frequente la situazione in cui non vi
sia una singola conseguenza ad un evento, ma si presentino più possibili
conseguenze, ciascuna con una sua probabilità[7].
E’ stata la letteratura
giuridica tedesca a delineare per prima i contorni del principio di precauzione
e configurarne poi la forma[8].
Il diritto germanico, successivamente ripreso da quello
comunitario, riconosce come nucleo fondamentale ascrivibile alla precauzione, autonomo
principio giuridico rispetto a quello di prevenzione[9], la cura di beni
fondamentali, quali la salute o l’ambiente, per cui è necessaria l’adozione o
l’imposizione di determinate misure di cautela anche in situazioni di
incertezza scientifica, dove è ipotizzabile soltanto una situazione di rischio,
e non è invece dimostrata, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, la
sicura o anche solo probabile evoluzione del rischio in pericolo[10].
Tale anticipazione della soglia di intervento si impone - e
legittima la restrizione di alcuni diritti fondamentali, come l’iniziativa
economica privata - per la peculiare natura di beni al pari della salute e dell’ambiente,
il cui danneggiamento non potrebbe essere adeguatamente riparato attraverso un
intervento successivo, in considerazione della dimensione spaziale e temporale,
talvolta incontrollabile, nonché della temibile diffusività dei potenziali
effetti dannosi, dovuta anche alla reciproca interferenza e convergenza fra le
potenziali fonti di danno[11].
Il principio di
precauzione è stato enunciato in forme vincolanti nel 1972 alla Conferenza di
Stoccolma sull’ambiente umano[12],
ed è stato giuridicamente applicato dalla Convenzione di Vienna del 22 marzo
1985 sulla protezione dal buco dell’ozono.
Il principio di
precauzione integra il diritto europeo con l’art.130R del Trattato di
Maastricht – in seguito divenuto art. 174 del Trattato - ove è citato senza
esserne però definito.
La Dichiarazione di Rio
(3-14 giugno 1992) fa proprio il principio di precauzione nell’art.15 del
documento finale, nel quale si afferma che: “per proteggere l’ambiente si devono largamente applicare misure di
precauzione da parte degli Stati secondo le loro capacità. In caso di rischi di
danno gravi o irreversibili, l’assenza di certezze scientifiche non deve
servire come pretesto per rimandare a più tardi l’adozione di misure efficaci
volte a prevenire la degradazione dell’ambiente”.
Le definizioni adottate
nella legislazione francese sono particolarmente suggestive. Il principio di
precauzione compare nella normazione d’oltralpe in forza della legge n. 92-654
del 13 luglio 1992, relativa al controllo dell'uso e dell'emissione di
organismi geneticamente modificati, che modifica a sua volta la legge n. 76-663
del 19 luglio 1976 relativa agli impianti classificati per la tutela
dell'ambiente. La legge “Barnier” del 2 febbraio 1995[13]
ha codificato in materia ambientale i principi di precauzione, di prevenzione
alla sorgente e di partecipazione.
Con specifica attenzione
al principio che ci siamo proposti di affrontare, la citata legislazione del
1995 afferma che la precauzione è un principio “secondo il quale l’assenza di certezze, tenuto conto delle conoscenze
scientifiche del momento, non deve ritardare l’adozione di misure efficaci e
proporzionate, volte a prevenire un rischio di danni gravi e irreversibili
all’ambiente ad un costo economicamente accettabile”[14].
Evidentemente tale configurazione si presta a diverse possibili
interpretazioni. E’ opportuno notare che l’articolato francese è meno esigente
di quello di Rio: il testo francese parla di “danni gravi ed irreversibili”,
mentre quello di Rio di “danni gravi o irreversibili”.
La giurisprudenza
d’oltralpe sul principio in parola si è espressa in relazione al problema della
trasmissione dell’AIDS durante le trasfusioni, stabilendo che “in situazioni di rischio, un’ipotesi non
confermata deve essere provvisoriamente considerata valida, anche se non è
formalmente dimostrata”[15].
In Francia[16]
il principio di precauzione ha ricevuto un definitivo riconoscimento di ordine
super-primario con l’approvazione della legge costituzionale 1 marzo 2005, n
205[17]
riguardante la “Carta costituzionale dell’ambiente” (art.5)[18].
3 – La questione Ilva di Taranto
Nell’ordinamento italiano l’attuazione del
principio di precauzione emerge con forza a seguito della approvazione da parte
del Governo Monti del decreto legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito in
legge 24 dicembre 2012, n. 231 (c.d. “decreto Ilva uno”)[19],
“in forza del quale è stato disegnato un sistema eccezionale di prosecuzione
della attività produttiva per gli stabilimenti industriali ‘di interesse
strategico nazionale’, in sede di riesame della autorizzazione integrata
ambientale, allorché sia riscontrabile una assoluta necessità di salvaguardia
dell’occupazione e della produzione, anche nel caso siano stati emessi dalla
Autorità giudiziaria provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare
dello stabilimento”[20].
Su tali disposizioni è
stato richiesto lo scrutinio da parte dei giudici della Consulta.
La
sentenza 85/2013 della Corte Costituzionale[21] ha salvato il c.d.
“decreto Ilva uno”, osservando che tale provvedimento di urgenza “traccia un
percorso di risanamento ambientale” ispirato ad un ragionevole bilanciamento
fra la tutela della salute e dell’ambiente e quella della occupazione, id est “tra beni costituzionalmente
protetti”, senza peraltro far venire meno il controllo giurisdizionale sotto il
profilo sanzionatorio penale e civile: ciò, in particolare, sull’assunto che la
normativa censurata ”non prevede…la
continuazione pura e semplice dell’attività, alle medesime condizioni che
avevano reso necessario l’intervento repressivo della autorità giudiziaria, ma
impone nuove condizioni, la cui osservanza deve essere continuamente
controllata, con tutte le conseguenze giuridiche previste in generale dalle
leggi vigenti per i comportamenti illecitamente lesivi della salute e
dell’ambiente.”.
La Corte ha
dichiarato inammissibile la questione perché il diritto europeo sarebbe stato
dal tribunale rimettente “genericamente evocato”, ossia senza che lo stesso
abbia dato conto di quali disposizioni sarebbero state lese; anzi – alla luce
delle argomentazioni della Corte – senza che il giudice a quo abbia tenuto in debita considerazione la specifica produzione
normativa del diritto europeo in materia siderurgica.
Attesa la
genericità della evocazione del diritto comunitario da parte della ordinanza di
remissione alla Consulta, è bene precisare che è la medesima Corte a citare tale
diritto richiamando la direttiva 2010/75/UE[22] (citata, peraltro, dallo
stesso decreto “Salva-Ilva” e resa operativa in Italia con d.lgs 4 marzo 2014,
n. 46 - “attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni
industriali” - su delega della legge 6 agosto 2013, n. 96), contenente la
seguente norma all’art. 8, comma 2: “Laddove
la violazione delle condizioni di autorizzazione presenti un pericolo immediato
per la salute umana o minacci di provocare ripercussioni serie ed immediate
sull’ambiente e sino a che la conformità non venga ripristinata … è sospeso
l’esercizio dell’installazione…”
D’altronde,
non si può pensare che la prescrizione sulla sospensione delle attività, in
caso di pericolo per la salute, funzioni soltanto qualora l’attività
siderurgica non sia conforme alle condizioni dettate dell’A.I.A. La
interruzione di tali attività si ricava dalla ratio di quella stessa previsione: suo scopo è la tutela
incondizionata della salute e dell’ambiente.
Del resto, la direttiva 2008/1/CE[23] [24] - ricordata nella sentenza - stabilisce che: “gli Stati membri prendono le disposizioni necessarie affinché le autorità competenti garantiscano che l’impianto sia gestito in modo che … non si verifichino fenomeni di inquinamento significativi.”(art. 3, comma 1, lett. b). Pertanto: “se l’inquinamento è significativo, e cioè se da esso derivi un pericolo immediato per la salute umana o una minaccia seria ed immediata sull’ambiente e la sua salubrità, la produzione dovrebbe essere fermata”[25].
Del resto, la direttiva 2008/1/CE[23] [24] - ricordata nella sentenza - stabilisce che: “gli Stati membri prendono le disposizioni necessarie affinché le autorità competenti garantiscano che l’impianto sia gestito in modo che … non si verifichino fenomeni di inquinamento significativi.”(art. 3, comma 1, lett. b). Pertanto: “se l’inquinamento è significativo, e cioè se da esso derivi un pericolo immediato per la salute umana o una minaccia seria ed immediata sull’ambiente e la sua salubrità, la produzione dovrebbe essere fermata”[25].
Altro punto di interesse giuridico è
rappresentato dal c.d. bilanciamento dei diritti che risultano coinvolti nel caso Ilva. La parte costituita (e
cioè la società Ilva) ha sostenuto che: “sarebbe
erronea la pretesa che i diritti in questione siano insuscettibili di qualunque
bilanciamento, così dando vita ad una gerarchia tra i valori della quale non vi
sarebbe traccia in Costituzione”[26]…. e, altresì, che spetterebbe
al Legislatore procedere ad un contemperamento dei diversi diritti in gioco”[27]: da un lato, vi sarebbe,
dunque, il diritto alla prosecuzione dell’attività produttiva, corollario della
libertà di iniziativa economica privata (ex art. 41 Cost.)[28], dall’altro il diritto
alla salute e all’ambiente salubre (ex art. 32 Cost.).
La Corte ritiene realizzato il bilanciamento fra il diritto al lavoro e quello alla salute -escludendo,
quindi, la libertà di iniziativa economica privata - grazie
alla combinazione di due atti, il decreto-legge e l’A.I.A. “riesaminata”.
Al punto
9 del “considerato in diritto” si legge a tale riguardo: “La ratio della disciplina censurata consiste nella realizzazione di un
ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione,
in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto
all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse
costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il
dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso”.
A questa
conclusione la Corte approda muovendo dal seguente postulato: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla
Costituzione si trovano in rapporto di integrazione
reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la
prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre ‘sistemica e non
frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra
loro’ (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe
l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe ‘tiranno’ nei
confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e
protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della
persona. Per le ragioni esposte, non si può condividere l’assunto del
rimettente giudice per le indagini preliminari, secondo cui l’aggettivo
‘fondamentale’, contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un
‘carattere preminente’ del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della
persona. Né la definizione data da questa Corte dell’ambiente e della salute
come ‘valori primari’ (sentenza n. 365 del 1993, citata dal rimettente) implica
una ‘rigida’ gerarchia tra diritti fondamentali. La Costituzione italiana, come
le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un
continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza
pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come ‘primari’
dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non
possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente
tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine
gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non
prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella
statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo –
secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire
un sacrificio del loro nucleo essenziale.”.
In realtà, il bilanciamento non è mai tale, prevalendo fatalmente
- per alcuni Autori[29]- sempre un diritto
sull’altro. Tale locuzione rappresenterebbe in realtà una modalità per
consegnare nelle mani del legislatore la possibilità di esprimere un giudizio
di soccombenza o di prevalenza dell’un diritto rispetto all’altro. Per altra
autorevole Dottrina, “l’’interesse
ambientale si è solo affiancato e non sovrapposto all’interesse pubblico allo
sviluppo economico, e quest’ultimo è stato riorganizzato, in modo da assorbire
l’impatto sovversivo dell’ambientalismo radicale incanalandolo in strutture e
procedure finalizzate, con varia modulazione a seconda del tipo di ordinamento,
a contemperarlo con la difesa dei livelli produttivi.”[30].
Il
ragionamento che la Corte imbastisce sulla “tirannia” dei diritti evoca, in
tutta evidenza, il noto dibattito filosofico sulla “tirannia dei valori”,
incentrato sulla constatazione di come un “valore” – per l’adesione cieca che
richiede – possieda in sé una ovvia attitudine a porsi come “tiranno” rispetto
ad un altro di segno contrario[31].
L’operazione di estensione della disputa
filosofico-giuridica in senso valoriale al piano dei diritti operata dalla
Consulta lascia perplessi alcuni Commentatori[32], che interpretano i
diritti per quel che sono: “un diritto
può benissimo avere preminenza su un altro, senza che questa preminenza debba
essere qualificata come ‘tirannica’: è l’ordinamento giuridico che assegna a
ciascun diritto il suo posto nel sistema, che disegna per esso una certa
struttura, che prevede per esso certuni limiti o taluni ‘vantaggi’ ”[33].
Sono le specifiche disposizioni costituzionali che sanciscono la prevalenza di
un diritto su un altro: quando la Costituzione ritiene l’iniziativa economica
privata libera (art. 41, comma 1, Cost.), purché non sia in contrasto con
l’utilità sociale o non rechi danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana (art. 41, comma 2, Cost.), sta palesemente indicando che la sicurezza o
la dignità umana prevalgono sul diritto alla prosecuzione della attività imprenditoriale.
La Corte dice che il bilanciamento tra
contrapposti diritti in gioco (il “punto di equilibrio”) è effettuato ragionevolmente dal
decreto-legge e dall’A.I.A., in ragione del fatto che la prosecuzione
dell’attività produttiva è autorizzata per un tempo non superiore a trentasei
mesi, nel rispetto delle prescrizioni impartite con una autorizzazione
integrata ambientale (A.I.A.), rilasciata in sede di riesame, al fine di
assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le
migliori tecniche possibili.
La domanda che a questo punto si è spinti a
formulare è la seguente: è davvero possibile pensare che il diritto alla salute
sia suscettibile di bilanciamento? Non dovrebbe prevalere sempre sugli altri
diritti, inclusi quello al lavoro ed alla iniziativa economica privata? La
risposta tranchant conseguenziale (ma
che, come dimostra l’esperienza professionale di chi scrive e di cui di qui a
poco si tratterà, è molto difficile realizzare nella realtà tout court) dovrebbe, pertanto, essere:
il diritto alla salute o è tutelato o non lo è!
4 – La questione
Basf di Roma
Questo excursus dottrinario, giurisprudenziale
e legislativo sul principio di precauzione, non può non essere integrato con
dati esperienziali, personali e professionali.
Nel biennio 2009/2010 lo scrivente, nelle
vesti di Vice Capo di Gabinetto della Amministrazione capitolina, ha affrontato
la gravosa ed antica questione della fabbrica-inceneritore Basf sita in via
Salone nella zona Tiburtina di Roma[34].
Il Comune
di Roma, come “autorità sanitaria” a mente dell’art. 29 quater, comma 7, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (T.U. ambiente)[35], era stato convocato
dalla Provincia di Roma a partecipare alla conferenza di servizi interna al
procedimento amministrativo per la proroga dell’A.I.A. a favore della società
Basf.
La Basf
era ed è una società che opera in molti Paesi europei e agisce nel settore
chimico, avente una sede nella città di Roma in cui si svolgono anche attività
di incenerimento, di riciclo e trasformazione di materiali, inclusi quelli di
natura metallica, nocivi e pericolosi. Tale sede è stata costruita alla fine
degli anni ‘50 in un’area al tempo ricoperta solamente da un manto erbaceo e
boschivo e assolutamente priva di edifici. Nel tempo nella zona circostante si sono innalzate palazzine,
scuole e chiese.
Il Comune
aveva nelle proprie mani tre opzioni: bloccare la proroga, eccependo
l’incremento di patologie polmonari e della epidermide anche molto gravi, così
come affermato da alcuni comitati di quartiere; esprimere un semplice nulla
osta, senza evidenziare alcunché su un piano sanitario circa la salute dei
residenti e la situazione ambientale dell’area; ovvero, infine – come ha
provveduto a fare – disporre e imporre una serie di condizioni e di
prescrizioni stringenti che vincolassero la proroga dell’A.I.A. da parte
dell’Ente provinciale.
I
soggetti portatori di interessi costituzionalmente protetti erano numerosi e
tutti molto agguerriti: i comitati di quartiere espressione di parte della
comunità del tiburtino, richiedenti la tutela del diritto alla salute (art. 32
Cost.) e della salubrità ambientale (combinato disposto degli artt. 32 e 9
Cost.); i lavoratori (circa 350 fra operai semplici, specializzati, impiegati,
quadri e dirigenti), che pretendevano la prosecuzione delle attività per non
perdere l’impiego, affermando che alcuna patologia di rilievo era stata mai
riscontrata in seno ai luoghi di lavoro (art. 4 Cost.); i vertici della Basf,
interessati alla prosecuzione delle attività imprenditoriali (art. 41 Cost.),
non ritenendo fosse riscontrabile alcuna anomalia nel funzionamento del sistema
e fosse, dunque, tutto a norma.
In gioco,
pertanto, v’erano tre diritti di rilievo costituzionale di non poco momento: il
diritto alla salute - dei cittadini extra
moenia e dei lavoratori intra moenia -
e alla salubrità ambientale (artt. 32 e 9 Cost.); il diritto dei lavoratori al
mantenimento della occupazione (art. 4 Cost.) e della impresa alla prosecuzione
delle proprie attività (art. 41 Cost.).
In mezzo
si poneva il governo capitolino, preoccupato per la salute delle persone e per
la eventuale perdita di posti di lavoro, in un momento storico in cui già si
cominciavano a sentire i primi scricchiolii della economia municipale.
Il principio di precauzione, così come sopra esaminato, è
venuto in soccorso. Non sussistevano prove e studi certi che potessero
evidenziare l’ineluttabilità di eventi dannosi per la salute umana e la
conservazione dell’ambiente. A tal riguardo, la dottrina tedesca[36] ritiene necessaria
l’imposizione di determinate misure di cautela anche in situazioni di
incertezza scientifica, nelle quali è ipotizzabile soltanto una situazione di
rischio, e non è invece dimostrata, allo stato delle attuali conoscenze
scientifiche, la sicura o anche solo probabile evoluzione del rischio in
pericolo.
Seguendo il bilanciamento di diritti alla salute e alla
occupazione paritariamente tutelati dalla Carta Costituzionale, i Dipartimenti
comunali competenti[37] hanno prescritto una
serie di stringenti prescrizioni a cui la Basf doveva ottemperare, con il
supporto e la supervisione dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Arpa Lazio
(Agenzia Regionale Protezione Ambientale del Lazio). Queste due ultime
strutture pubbliche avevano l’obbligo, per la durata di un anno, di compiere un
permanente monitoraggio della eventuale presenza di agenti inquinanti,
rilevandone la tipologia e la quantità nel suolo, nelle acque e nell’aria,
negli spazi esterni alle mura della fabbrica. I dati dovevano essere
prontamente e costantemente inviati e messi a disposizione delle
Amministrazioni pubbliche interessate, dei comitati cittadini partecipanti al
procedimento amministrativo ed alla conferenza di servizi, oltre, ovviamente,
della Basf nelle persone della dirigenza e delle R.S.U.
Tale parere sub condicione –
espresso nel rispetto del
principio di precauzione - ha consentito il rilascio dell’A.I.A. da parte della
Provincia di Roma il 4 dicembre 2009[38], imponendo alla Basf
controlli serrati, continui, permanenti, ad opera di istituzioni altamente
specializzate, locali e nazionali, sino ad allora mai esercitati su di essa. Effetto
indiretto, ma di non poco conto, è risultato essere il mantenimento della
occupazione, avendo un occhio anche alla salute degli “interni” alla azienda.
L’Amministrazione comunale, attuando con siffatte modalità il
principio di precauzione, ha dato corpo ad una protezione comparativa o
bilanciata (concezione antropica su cui ci siamo brevemente intrattenuti nell’incipit di questo scritto)
dell’ambiente, in quanto: ”risultante
dalla “ponderazione” dell’interesse pubblico ambientale con gli altri
interessi….ammette che il valore ambientale è subordinato o equiordinato e
comunque va comparato con altri
valori.”.[39]
5- Conclusioni
Occupazione versus salute,
salute versus occupazione e, in
mezzo, la iniziativa imprenditoriale privata.
Probabilmente le attività “alla “Basf” - realtà nata negli anni ‘50
in zone ancora disabitate e poi implementatesi in maniera leviatanica negli anni
successivi - incidono negativamente non solo su principi, beni e valori primari
come la salute delle persone e la conservazione del patrimonio silvestre, ma
ineluttabilmente anche sulla corretta regolamentazione edilizia ed urbanistica.
Le determinazioni approntate dagli organi decisionali hanno un
sapore compromissorio, mentre probabilmente la soluzione migliore e definitiva per
una ottimale protezione della salute dei residenti, senza in alcun modo
intaccare la prosecuzione delle attività industriali, sarebbe proprio la
delocalizzazione degli impianti produttivi in altri lidi[40].
Tale approccio, al pari di tutte le idee che osano proporsi di
andare oltre il temporaneo ed il provvisorio, non si riesce proprio a farlo
penetrare nel nostro sistema.
L’assenza di interventi che abbiano i caratteri della definitività
determina la necessità di un corretto utilizzo ed attuazione del principio in
parola. Tramite esso si è trovato un punto di equilibrio – come si evince nei
casi proposti - fra garanzia della
occupazione, tutela della salute dei cittadini e tentativo di protezione
dell’ambiente (in realtà già compromesso da anni di stratificati ed
incontrollati insediamenti abitativi e produttivi), e si è cercato di porre un
freno a possibili immissioni nocive nell’aria, nelle acque e nella terra.
Come in precedenza riportato, indubbiamente questo principio così
come modulato nel caso concreto ha un sapore antropocentrico, calato in un
modello di diritto dell’ambiente comparatistico e bilanciato.
L’ecocentrismo e la c.d.
protezione integrale, che muove dalla supremazia del valore naturalistico,
potrebbe essere la concezione sottesa alla delocalizzazione degli impianti
presso aree geografiche prive del fattore umano. Tale collocazione limiterebbe
certamente gli effetti nocivi sull’organismo umano (almeno quelli diretti),
mantenendo però quelli pregiudizievoli per l’habitat.
Il principio di precauzione
- come, d’altronde, quello di prevenzione - è frutto di una politica di
mediazione fra punti di vista tutti strategicamente importanti, ma
sfortunatamente in contrapposizione fra di loro.
La filosofia della
concretizzazione del principio de qua
potrebbe essere sussumibile in una accezione nobile di “compromesso”, inteso come
attento scrutinio normativo, giurisprudenziale, politico e istituzionale che non
si schiera marcatamente da una parte, ma compie un’ opera di ingegneria legislativa
e di cesello comportamentale tale da consentire la continuazione della lavorazione
industriale, controllandone e vigilandone accuratamente però i modi di operare.
Non si sopprime il possibile o potenziale nocumento per il patrimonio
ambientale, né tantomeno si eliminano i rischi per l’integrità psico-fisica
dell’essere umano, ma indubbiamente se ne riducono e ridimensionano i margini
di rischio: “Le ragioni dell’economia
(non di questa o quell’impresa, o di questo o quello speculatore, ma quelle
‘complessive’ e di ‘sistema’), in ultima istanza, prevalgono sugli interessi, i
valori e le esigenze ‘ambientali.’ “.[41] [42]
Si potrebbe ritenere e sperare che un maggiore sforzo nella innovazione
tecnica, tecnologica e scientifica ed una qualitativamente e quantitativamente migliore
incentivazione all’utilizzo volontario delle certificazioni di impatto
ambientale ed ecologico, potrebbero contemperare al meglio gli interessi in
gioco. Il mercato stesso, alla luce di quanto or ora suggerito, senza mediazioni
politiche e istituzionali, sarebbe in grado di procedere direttamente alla
ponderazione e alla corretta “equilibratura” del rapporto tra ambiente,
istituzioni ed economia, avendo come stella polare l’antico proverbio indiano:
“ la Terra non ci è stata data in eredità
dai genitori, ma in affitto dai figli.”.
Fabrizio Giulimondi
[1]
G.di Plinio, Sette miliardi di ragioni,in
G.di Plinio, P.Fimiani (cur.), Principi
di diritto ambientale, Milano, Giuffrè, 2008, sec.ed.
[2]
“A differenza della concezione
‘ecocentrica’ che tende alla conservazione e allo sviluppo delle risorse, per
tutelare la stessa presenza e lo sviluppo dell’uomo, di cui considera come dato
i bisogni”(cfr. G.di Plinio, op.cit.,11).
[3]
B.L. Ferrai, E.Moavero Milanesi, Lezioni
di diritto comunitario, Napoli, Editoriale Scientifica,2002.
[4]
Cfr. M. Cecchetti, La disciplina
giuridica della tutela dell’ambiente come “diritto dell’ambiente”, in www.federalismi.it,
25/2006, 53-141; M.Cecchetti, Principi
costituzionali per la tutela dell’ambiente, Milano, Giuffrè, 2000; S.
Grassi, Problemi di diritto
costituzionale dell’ambiente, Milano, Giuffrè, 2012; G.di Plinio, P.Fimiani
(cur.),op.cit.; D, Amirante(cur.), La forza normativa dei principi, il
contributo del diritto ambientale alla teoria generale, Padova,CEDAM.,2006;
D.Amirante, Diritto ambientale italiano e
comparato.Principi, Napoli, Jovene,2003.; N. Lugaresi, Diritto dell’ambiente , Padova,CEDAM.,2012, quarta ed.; L.Pineschi, I principi del diritto internazionale dell’ambiente dal divieto di
inquinamento transfrontaliero alla tutela dell’ambiente come common concern,
in R.Ferrara, C.E.Gallo (cur.), Trattato
di diritto dell’ambiente, vol.I, Milano, Giuffrè, 2014.
[5]
”…Si può dire che i lineamenti esistenziali
del diritto dell’ambiente sono stati creati dalle imprese, dai gruppi di
pressione, dalle agenzie tecniche, dalla amministrazione e dalla
giurisprudenza; ciò significa che lo studio delle leggi ‘ambientali’ non è da
solo sufficiente per comprendere i ‘principi’ del diritto dell’ambiente;
significa inoltre che, attraverso la mediazione del diritto vivente si sono
sedimentati una serie di principi e regole giuridiche più longevi e più
radicati delle stesse leggi ambientali, che sono cambiate, sovrapposte ed affastellate
di continuo…..”( cfr.G.di Plinio, op.cit,25).
[6]
C. Petrini, Bioetica, Ambiente, Rischio:
evidenze, probabilità, documenti istituzionali nel mondo, Soveria Mannelli,
Rubettino, 2003.
[7]
A. Barone, Il diritto del rischio, in
Diritto degli enti locali e delle regioni,
collana giuridica diretta da Ignazio Maria Marino, Quaderni, Milano, Giuffré,2006,
sec.ed.
[8]
S. Grassi, Prime osservazioni sul “principio
di precauzione” come norma di diritto positivo, in S.Grassi,Diritto e gestione dell’ambiente, 2001, 38ss.
[9]
Consiglio di Stato, sentenza 21 agosto 2013, n. 4227: “Il principio di precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di
adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per
la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente….Il principio di prevenzione pone una tutela anticipata rispetto alla
fase dell'applicazione delle migliori tecniche……L'applicazione di tale principio (ndr di precauzione) fa si che, ogni qual volta non siano
conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente
pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione
anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche.”; alla
stessa stregua la pronunzia del TAR Lazio, sez III, n. 1360 del 4 febbraio
2014:“Dalla lettura degli atti del
procedimento emerge che le Amministrazioni deputate all'approvazione del
progetto non hanno adeguatamente valutato le conseguenze potenzialmente
negative per i condomini, derivanti dalla propagazione delle onde elettromagnetiche
sviluppate dalla cabina elettrica. Infatti, tale valutazione doveva essere
effettuata ex ante e non ex post.……… Appare evidente che l'Amministrazione non
ha compiuto alcuna preventiva istruttoria diretta ad accertare la quantità di
onde elettromagnetiche che una cabina elettrica di 20 KV può sviluppare al fine
di valutare, come suo precipuo obbligo, l'opportunità di approvare il
progetto……..Per giurisprudenza costante, l'azione amministrativa, in ossequio
al ‘principio di precauzione’, pur non risultando del tutto assodato in sede
scientifica il limite oltre il quale l'esposizione di campi elettromagnetici
possa arrecare danni alla salute degli esseri umani, deve essere improntata ad
un rigido criterio di sicurezza e di tutela delle persone coinvolte (TAR
Veneto, sez. II, 13 febbraio 2001 n. 236)…….. Infatti la regola della ‘precauzione’ può essere considerata come un
principio autonomo che discende dalle disposizioni del Trattato UE. L
'applicazione del ‘principio di precauzione’ comporta che, ogni qual volta non
siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente
pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione
anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei
casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali (Cons. St. IV 6
maggio 2013 n. 2446).”.
[10]
L.Kramer, Principi comunitari per la
tutela dell’ambiente, Milano, Giuffrè,2002, 82 ss.; G. Lubbe-Wolff, Richtlinie IVU und Europäische
Vorsorgeprinzip, in NVwZ, 1988, 777 ss.
[11]
C. Petrini,op.cit.
[12]
Dichiarazione delle Nazioni Unite alla Conferenza su l'ambiente umano tenutasi
a Stoccolma da 5 al 16 giugno 1972 in www.treccani.it
[13] E. M.Kerjan, Insurance against Natural Disasters: Do the French have the Answer?Strenghts and Limitations, Cahier n° 7,4,
Ecole Polytechnique, Paris, August 2001, in http://ceco.polytechnique.fr
[15]
C.Petrini,op.cit.,10.
[16]
Per una prima panoramica legislativa, dottrinaria e giurisprudenziale francese in subiecta materia v. Autorità di Bacino, Bacino pilota del
fiume Serchio, Le assicurazioni per i
danni da catastrofe naturale: riflessioni e contributo conoscitivo, Lucca,
18- 19 novembre 2002, 9-15,in www.autoritabacinoserchio.it
[17]
Legge costituzionale n° 2005-205 del 1 marzo 2005 relativa alla Carta
dell’ambiente , in G. U., n° 51, del 2 marzo 2005, 3697.
[18]Art.
5 l. cost n° 2005-205 del 1 marzo 2005(v.n.prec.):”Nel momento in cui la realizzazione di un danno, anche se incerto allo
stato delle conoscenze scientifiche,
potrebbe affettare in modo grave ed irreversibile l’ambiente, le autorità
pubbliche vegliano, in applicazione del principio di precauzione e nei loro
campi di attribuzione, alla messa in opera di procedure di valutazione dei
rischi ed all’ adozione di misure provvisorie e proporzionate al fine di
evitare la realizzazione del danno.”.
[19]
Il Governo è intervenuto successivamente con altri due provvedimenti di urgenza
per dettare ulteriori disposizioni volte a preservare la continuità del
funzionamento produttivo degli stabilimenti industriali di interesse strategico
nazionale, pur sempre nell’ottica del necessario bilanciamento con i profili di
protezione dell’ambiente e della salute e di salvaguardia dei livelli
occupazionali: decreto legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito in legge 3 agosto
2013, n. 89 (“Nuove disposizioni urgenti
a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di
interesse strategico nazionale”) (c.d. Decreto Ilva-bis); decreto legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito in legge 6
febbraio 2014, n. 6 (“Disposizioni
urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire
lo sviluppo delle aree interessate”).
[20]
Cfr. A. Masaracchia, Semplificati e
accelerati gli iter per attuare l’”Aia”, in Guida al Diritto 3/ 2014, 57.
[21]
Sentenza 85/2013 - giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale - presidente
GALLO - redattore Silvestri - udienza pubblica del 09/04/2013; decisione del
09/04/2013; deposito del 09/05/2013; pubblicazione
in G. U. del 15/5/2013; norme impugnate: artt. 1 e 3 del decreto legge
03/12/2012, n. 207, come convertito, con modificazioni, dall'art. 1, c. 1°,
legge 24/12/2012, n. 231.
[22]Direttiva
2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010 relativa
alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate
dell’inquinamento),in G.U.E.N. 17
dicembre 2010, L334/17.
[23]
Direttiva 2008/1/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008
sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (detta IPPC), in
G.U.E.N. 29 gennaio 2008, L 24/8.
[24]
Il recepimento in Italia della direttiva IPPC è avvenuto con l'emanazione del
d. lgs. n. 372 del 4 agosto 1999, abrogato dal lgs. n. 59 del 18 febbraio 2005.
[25]
E. di Salvatore, L’Ilva di Taranto, il
diritto europeo e la ‘tirannia” dei diritti, Lex, 12 maggio 2013,in www.iduepunti.it
[26]
Punto 3.2.4. del “ritenuto in fatto”.
[27]
Punto 14.2. del “ritenuto in fatto”. In senso adesivo anche l’Avvocatura dello
Stato: punto 13.2.4. del “ritenuto in fatto”.
[28]
Diritto evocato sia dal giudice a quo (punto 1.4.4. del “ritenuto in fatto”),
sia dalla parte costituita (punto 14.2. del “ritenuto in fatto”).
[29]
E. di Salvatore, op.cit.
[30]
G.di Plinio, op.cit.,33s.
[31]C.
Schmitt, La tirannia dei valori, G.
Gurisatti (cur.), Milano,Adelphi,2008.
[33]
In http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:334:0017:0119:it:PDF.
[34]
Il presente paragrafo è frutto della esperienza professionale dello scrivente presso
il Comune di Roma. La documentazione
esistente è indicata nelle note seguenti, mentre buona parte del lavoro posto
in essere è consistito in riunioni, incontri e contatti di natura verbale, di
cui non v’è inevitabilmente alcun
supporto cartaceo e di altra natura.
[35]
L'art. 7, comma 3, lettera e), d.lgs.4 marzo 2014, n. 46, ha modificato l'art.
29 quater, comma 7, e ha introdotto
il comma 6 all'art. 29 quater d.lgs.
3 aprile 2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”):
-art.
29 quater d.lgs. 3 aprile 2006, n.
152:
“6. Nell'ambito
della Conferenza dei servizi di cui al comma 5,vengono acquisite le
prescrizioni del sindaco di cui agli articoli 216 (a) e 217 (b)del regio
decreto 27 luglio 1934, n. 1265, nonché' la proposta dell'Istituto superiore per
la protezione e la ricerca ambientale, per le installazioni di competenza
statale, o il parere delle Agenzie
regionali e provinciali
per la protezione dell'ambiente, per le altre
installazioni, per quanto riguarda le modalità di monitoraggio e controllo degli
impianti e delle emissioni
nell'ambiente.
7. In presenza di circostanze intervenute successivamente
al rilascio dell'autorizzazione di cui al presente titolo, il sindaco, qualora
lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può, con proprio
motivato provvedimento, corredato dalla relativa documentazione istruttoria e da
puntuali proposte di modifica
dell'autorizzazione, chiedere all' autorità competente di riesaminare
l'autorizzazione rilasciata ai sensi dell'articolo 29 octies.”.
(a) Art. 216 Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265
(Testo unico delle leggi sanitarie):
“Le manifatture
o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che
possono riuscire in altro modo pericolose alla salute de gli abitanti sono
indicate in un elenco diviso in due classi.
La prima classe
comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane
dalle abitazioni; la seconda, quelle che esigono speciali cautele per la
incolumità del vicinato.
Questo elenco,
compilato dal Consiglio superiore di sanità, è approvato dal Ministro per
l'interno, sentito il Ministro per le corporazioni, e serve di norma per
l'esecuzione delle presenti disposizioni.
Le stesse norme
stabilite per la formazione dell'elenco sono seguite per iscrivervi ogni altra
fabbrica o manifattura che posteriormente sia riconosciuta insalubre.
Una industria o
manifattura la quale sia inserita nella prima classe, può essere permessa
nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per
l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca
nocumento alla salute del vicinato
Chiunque intende
attivare una fabbrica o manifattura, compresa nel sopra indicato elenco, deve
quindici giorni prima darne avviso per iscritto al podestà, il quale, quando lo
ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può vietarne la
attivazione o subordinarla a determinate cautele.
Il
contravventore è punito con la sanzione amministrativa da L. 40.000 a L 400.000.”.
(b) Art. 217 Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265
(Testo unico delle leggi sanitarie):
“Quando vapori,
gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da
manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute
pubblica, il podestà prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire
il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficienza.
Nel caso di
inadempimento il podestà può provvedere di ufficio nei modi e termini stabiliti
nel testo unico della legge comunale e provinciale.”.
[36]G. Lubbe-Wolff, IVU, op. cit.
[37]
Nota Dipartimento promozione dei servizi sociali e della salute e Dipartimento
tutela ambientale e del verde- Protezione civile, Roma Capitale, prot. n. 59361
del 12/10/2009, che ha fornito parere favorevole al rinnovo dell’A.I.A. alla
società Basf limitato alla durata di un anno; Nota Dipartimento promozione dei
servizi sociali e della salute e Dipartimento tutela ambientale e del verde-
Protezione civile, Roma Capitale, prot. n. 34942 del 12/12/ 2011 per la proroga
dell’A.I.A. per la durata prevista dalla
legge.
[38]
Amministrazione Provinciale di Roma - D.D. R.U. 8353 del 04/12/2009, che ha
rilasciato l’A.I.A. alla società Basf per la durata di un anno nel rispetto del
parere condizionato del Comune di Roma (v.n.prec.); Amministrazione Provinciale
di Roma -D.D. R.U. 10374 del 30/12/2011, che ha prorogato l’A.I.A. alla Basf per la durata
prevista dalla legge.
[39]
G.di Plinio, op.cit.,15.
[40]
In relazione al “caso Basf” fu presentata dalla Amministrazione capitolina ai
soggetti interessati una proposta in tal senso v. parere, Roma Capitale, prot.
59361 del 16/10/2009.
[41]G.di
Plinio, op.cit.,17.
[42]
Di questo teorema non è permeato il “diritto delle aree naturali protette”, così
come approfonditamente argomentato in G.di Plinio, Aree protette.Diritto ed economia, Milano, Giuffrè,2008.
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