Il
decreto legge n. 14 del 20.2.2017 ( convertito nella legge 18 aprile 2017, n. 48) ha ambizioni ulteriori rispetto ai tanti
“pacchetti sicurezza” cui ci ha abituato la legislazione emergenziale degli
ultimi anni. Sarebbe ingiusto negare che, questa volta, l’approccio al tema
della sicurezza appare più articolato e meno proteso alla definizione di semplici
“misure manifesto” capaci di sedare per poco le preoccupazioni della pubblica
opinione.
Il tandem tra decreto sicurezza e decreto
immigrazione (d.l. 17.2.2017, n. 13, convertito in legge 13 aprile 2017, n. 46) assegna, innanzitutto, un ruolo centrale agli
apparati di prevenzione.
Se il
decreto n. 13 del 2017 individua nel Dipartimento della Pubblica Sicurezza e,
quindi, nel Capo della Polizia, l’Istituzione chiamata a coniugare le esigenze
di contenimento dei flussi migratori con la necessità di controllare gli
ingressi illegali in Italia (anche) a fini di anti- terrorismo, il decreto n.
14 del 2017 ha una visione plurale della sicurezza urbana e segna, per così
dire, un significativo arretramento delle forze di polizia dalla piena
responsabilità del controllo delle aree urbane e del contrasto all’illegalità
di strada.
L’esordio
del decreto mostra, in modo significativo, il percorso che si intende perseguire,
abbandonando le precedenti incertezze e percorrendo in maniera decisa la via
del coinvolgimento delle Istituzioni comunali nel contenimento del degrado
cittadino.
La
nozione di “sicurezza integrata” appare l’architrave del decreto legge 14/2017:
“Si intende per sicurezza integrata l’insieme degli interventi assicurati dallo
Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti
locali, nonché da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno
nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e
all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere
delle comunità territoriali”.
La
nozione di “concorso” delle competenze in vista del “benessere” locale traccia un
importante arretramento della mera prevenzione di polizia verso un più
complesso approccio al contesto urbano, all’interno delle quali devianze
criminali e insicurezza collettive vengono in emergenza.
Se
l’orientamento normativo precedente era quello di “militarizzare” la sicurezza
urbana (pensiamo alle operazioni “Strade sicure”), estendendo alle polizie
locali i compiti e talune funzioni proprie delle forze dell’ordine, in una
visione destinata alla immediata repressione
dei fattori di criticità della tranquillità dei cittadini, la mission del 2017 è interamente volta a stimolare e corresponsabilizzare tutti i
soggetti pubblici legati alla gestione
del territorio affinché contribuiscano alla costruzione di una città ordinata.
L’ordine
pubblico si materializza negli spazi urbani e ambisce alla costituzione di
comunità agevolmente gestibili e, quindi, sicure. E’ vero che l’art. 2
esordisce salvaguardando “le competenze esclusive dello Stato in materia di
ordine pubblico e sicurezze”, ma questi due ambiti convergono e si amalgamano
risultando alla fine difficile distinguere tra misure rientranti nel novero
della “sicurezza” e provvedimenti appartenenti al perimetro dell’”ordine
pubblico”. La norma costituzionale affida alla competenza legislativa esclusiva
statale la materia dell’ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia
amministrativa locale [art. 117, comma 2, lett. h), della Costituzione], mentre
le Regioni possono cooperare a tal fine solo mediante misure ricomprese nelle
proprie attribuzioni.
L’azione
è multilivello e si snoda fra lo Stato, le Regioni ed i Comuni che, per la
naturale maggiore vicinanza alla Comunità, vedono rafforzati i propri poteri,
competenze e funzioni.
La
filosofia di questo intervento legislativo si incentra sulle finalità
identificabili nell’esigenza di realizzare più incisive forme di coordinamento
tra Stato, Regioni, Province autonome, enti locali e altri soggetti
istituzionali, quali il Prefetto e il Questore, onde comporre al meglio un sistema
unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle Comunità territoriali.
La “sicurezza integrata” si pone come sintesi
delle iniziative di polizia di prevenzione e degli interventi in tema di decoro
urbano, di corretta fruizione degli spazi pubblici, di cura delle aree
collettive. L’eliminazione delle condizioni di insicurezza pubblica è
l’obiettivo di un’azione composita delle forze di polizia (chiamate a reprimere
i fenomeni illegali) e delle Istituzioni locali, che devono bonificare gli
spazi, impedendo il ricrearsi delle situazioni di allarme sociale.
Per
intendersi: nessuno potrà invocare una “retata” di polizia in un parco pubblico
adoperato dai pusher, senza al
contempo prevedere iniziative di sistemazione di quell’area onde prevenire il
riproporsi di fenomeni analoghi a breve durata.
Il
decreto legge 14/2017, come si legge nella Relazione che accompagna il d.d.l.
di conversione, evidenzia che la sicurezza “non è più soltanto da identificarsi
con la sfera della prevenzione e repressione dei reati … ma è intesa anche come volta al perseguimento
di fattori di equilibrio e di coesione sociale, di vivibilità e di prevenzione
situazionale connessi ai processi di affievolimento della socialità nei
territori delle aree metropolitane e di conurbazione”. Un compito certo
impegnativo, che costringe le Comunità locali a prevedere l’impiego di cospicui
finanziamenti che dovranno svolgersi, nella prospettiva del decreto 14/2017, in
sincrono con l’attività di polizia in senso stretto.
Lo
Stato, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, prende definitivamente
atto che è impossibile garantire una “sicurezza dall’alto”, prendendo contezza
della necessità di un maggiore avvicinamento alla popolazione, rafforzando la
dimensione funzionale dell’ente più ad essa viciniore, ossia l’amministrazione
comunale.
La
nuova via annunciata dal decreto 14 è quella di attuare interventi radicali nei
centri urbani a rischio, per risanare le condizioni di vita e di tranquillità,
corresponsabilizzando da subito gli organi di polizia e le entità del
“benessere” collettivo.
In
questo scenario lo Stato e le Regioni possono concludere specifici accordi per
la promozione della sicurezza integrata, anche diretti a disciplinare gli
interventi a sostegno della formazione e dell’aggiornamento professionale del
personale della polizia locale. Le Regioni, anche sulla base di accordi,
possono sostenere, nell’ambito delle proprie competenze e funzioni, iniziative
e progetti volti ad attuare interventi di promozione della sicurezza integrata
nel territorio di riferimento, ivi inclusa l’adozione di misure di sostegno
finanziario a favore dei Comuni maggiormente interessati da fenomeni di
criminalità diffusa.
E’ un
punto di svolta.
Non
solo presidio armato e qualificato de territorio, ma bonifica della marginalità
sociale, inclusione, recupero.
La
“sicurezza urbana” è “il bene pubblico che
afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche
attraverso interventi di riqualificazione e recupero delle aree o dei siti più
degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale,
la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la
promozione del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli
di coesione sociale e convivenza civile, cui concorrono prioritariamente, anche
con interventi integrati, lo Stato, le Regioni e gli enti locali, nel rispetto
delle rispettive competenze e funzioni”.
Quel
che preme evidenziare è la novità del c.d. Daspo cittadino, ossia la misura
dell’allontanamento e del divieto di accesso a determinati luoghi ai fini della
tutela della sicurezza delle città e del decoro urbano. E, tra le regole che ne
disciplinano il funzionamento, una in particolare manifesta i segni del riposizionamento
istituzionale e politico, ossia l’art. 9 che prevede che “i regolamenti di
polizia urbana possono individuare aree urbane su cui insistono musei, aree e
parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della
cultura interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verse pubblico,
alle quali si applicano le disposizioni di prevenzione pubblica”. Le amministrazioni
locali potranno, pertanto, rafforzare la tutela di porzioni consistenti del
proprio territorio interdicendo la presenza di quanti metteranno a repentaglio,
con le proprie condotte, non solo la sicurezza, ma anche il decoro di quelle
aree.
Di
grande interesse, come luogo di interlocuzione istituzionale dove avviene un
confronto alla pari fra strutture periferiche dello Stato e autorità locali, è
il (novello) “Comitato metropolitano”, co-presieduto dal Prefetto e dal
Sindaco, cui sono chiamati a partecipare soggetti pubblici e/o privati
dell’ambito territoriale interessato.
Questo
Comitato si affianca al “Comitato provinciale per l’ordine pubblico e la
sicurezza pubblica” (presieduto solamente dal Prefetto) e non ne costituisce
affatto un duplicato.
Il “Comitato
provinciale per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica” affronta realtà in
cui vi sono le condizioni attuali o potenziali di pregiudizio per la sicurezza
pubblica, mentre il “Comitato metropolitano” assume una valenza più
programmatica, in una ottica preventiva e di promozione degli interventi
ritenuti necessari per il perseguimento del bene pubblico della sicurezza
urbana. Il Comitato metropolitano svolge, quindi, compiti propositivi ed
attuativi dei “Patti in materia di sicurezza urbana”, sottoscritti tra il
Prefetto ed il Sindaco o i Sindaci delle aree interessate, in virtù dei quali
si individuano gli obiettivi che i diversi attori pubblici, in via sinergica,
debbono conseguire per attingere il "bene" della sicurezza urbana.
Fabrizio Giulimondi