Dopo
Benedizione di Kent Haruf (già recensito in questo blog) sono approdato al secondo volume della “Trilogia della Pianura”, “Canto della Pianura” (NN Editore).
Il vocabolo
inglese Plainsong che dà il titolo a
questo romanzo indica plasticamente lo stile narrativo in esso seguito: con il
termine Plainsong si suole
significare il “canto piano”, ossia la forma di canto monodico, senza
accompagnamento musicale, diffuso nel Medioevo, come quello gregoriano.
La
musicalità del “canto piano” si fonde nelle sonorità della pianura, musicalità
e sonorità che divengono parole, segni, lemmi. Storie semplici, comuni, intense
nella loro normalità, commoventi perché fatte di sentimenti sinceri. Realtà e
surrealismo sono un tutt’uno. La tecnica narrativa, rispetto al precedente
lavoro, è più spaziosa, più ampia, più a largo respiro, arricchita da aggettivazioni
continue e prorompenti.
Racconti
di esistenze: di una ragazzina minorenne incinta ospitata da due fratelli,
chiusi agli altri per una vita intera, delicati e affezionati, commoventemente
delicati e affezionati nei confronti di questa fragile e forte fanciulla.
Racconti
di esistenze: di un insegnate liceale con una moglie oramai fuori di senno ed i
suoi due figli, uomo che non si piega di fronte alle prepotenze, fermo e
pervicace, scatenato quando i suoi due ragazzi sono vittime di vili soprusi.
Racconti
di esistenze: una ragazza incinta, due fratelli asociali che la ospitano, un’insegnante,
i suoi due figli, la moglie depressa, vite narrate individualmente, in maniera
monadica, in maniera monastica, in maniera solipsistica, che prendono forma in
un connubio di affetti e di incontri, di “insieme” che prende il posto all’”Io”.
Holt
è un luogo fisico e immaginario, è la “casa”,
è la “Patria” dove tutto ha avuto inizio in Benedizione
e tutto avrà la sua conclusione in Crepuscolo.
Holt
è il nome di varie cittadine statunitensi, anche se nessuna è in Colorado, perché
Holt un po’ ricorda l’“Hora” dei capolavori dello scrittore Arbëreshë Carmine Abate: Holt e Hora sono luoghi
geografici e pertugi dell’anima, dove ogni lettore trova la propria dimora.
Il
tocco dell’Autore è sempre soffice, il suo sguardo benevolo, tutto si riempie
della magia dell’affetto, ogni tratto di penna è carico di attenzione per l’altro,
nulla è lasciato al caso.
Sobrietà.
Normalità. Quotidianità. Incanto. Bellezza.
Nulla
si conclude tragicamente, tutto si risolve nel tenero tocco del “cum patior”
che ogni personaggio di Haruf prova
nei confronti di un altro essere umano.
Fabrizio Giulimondi