“La società coperta baratta la libertà con la
sicurezza, la civiltà con la sanità, il lavoro con la salute, la comunità con l’immunità.”.
C’è
qualcosa nell’arte, come nella natura, che ci rassicura e qualcosa invece che
ci tormenta, ci turba, ci inquieta.
Due
sentimenti in costante conflitto: da una parte la ricerca dell’ordine e dall’altra
il fascino per il caos.
Dentro
questa lotta si colloca la produzione letteraria di Marcello Veneziani.
L’arte
vera inquieta, la letteratura autentica turba, la bellezza imponderabile contrasta
con la serenità e la quiete, perché pongono domande prive di facili risposte, si
interrogano senza indicare immediate soluzioni, galleggiano con fatica sulle
violente onde di un mare in tempesta.
Fra
una statua di Fidia e la “Tempesta” di Giorgione, tra la ricerca di una armonia irraggiungibile
e l’abbandono al caos, si insinua l’ultimo saggio di Marcello Veneziani, “La
Cappa. Per una critica del presente” (Marsilio Nodi).
Nel cupo
grigiore esistenziale spinto da una paura imposta, “La Cappa” forma una chiazza vermiglia, simile ad un improvviso
lampo di luce che rischia di accecare chi da troppo tempo ha gli occhi spenti.
“La Cappa” è uno dei saggi di Veneziani fra i più illuminati e
coinvolgenti. Non v’è parola, o periodo, o pagina su cui il lettore non si
soffermi. I passaggi sulla identità, la civiltà, la preghiera e il Pater Noster tolgono il fiato. Le
riflessioni si incidono nell’anima come un coltello nella carne. Nel tempo in
cui solo la salute fisica conta, il pensiero si erge maestoso, fra incanto e
disincanto, fra Dionisio, Proteo e Narciso. Non vi sono certezze. Di certo v’è
solo lo splendore espressivo che rinchiude un bagliore dell’anima. Lo spirito,
dopo essere stato accantonato, umiliato, ritrova la sua Itaca, ritrova se
stesso. La spiritualità, finalmente e fatalmente, si impone su un permanente presente
globale, sprezzante del passato e impaurito dal futuro, troppo gravido di paventate
emergenze. La lettura de “La Cappa”
ci fa scoprire di nuovo mondi immateriali ed invisibili, non catturabili con i
cinque sensi. Con l’Autore penetriamo nella oramai insopportabile, opprimente e
densa coltre che tutto copre e intabarra menti, intelletti, esistenze e anime.
Ho avvertito
un sussurro dietro ogni tratto di inchiostro: “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.".
Fabrizio Giulimondi
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