Duecentosettantotto
pagine di delicatezza. Duecentosettantotto pagine di riflessione. Duecentosettantotto
pagine di quel denso e lieve ragionato spessore di cui oramai in molti della
platea umana sono privi.
L’ultimo
libro di Susanna Tamaro “Tornare umani” (Solferino) è di una struggente bellezza. Struggente perché sai che
in troppi non lo leggeranno e continueranno a intossicarsi di nefandezze
imposte dagli “squaleni”; bellezza per la poetica, in ragione della lirica
letteraria.
Gli
ideogrammi cinesi tracciano il filo di luce che il lettore segue al fine di
percepire il mondo vissuto dall’Autrice nel biennio pandemico italico. Susanna Tamaro ha rispettato i dettami
imposti dallo Stato, dai vaccini, all’uso delle mascherine, al rispetto dei
confinamenti, ai divieti serali di uscire, al distanziamento fra esseri umani.
La
paura, il Kong, è il mezzo per
impedire di pensare. Il pensiero è l’arma più potente che un essere umano
possegga e, per siffatta ragione, qualunque regime che si rispetti cerca di
impedirne il libero esercizio: “L’unico
valore ammesso è l’assoluta obbedienza”.
Dinanzi
all’irrazionalità delle misure intraprese, alla discriminazione, alla
segregazione e all’odio “ufficiale” nei confronti delle persone non vaccinate
(“Il no vax da figura folkloristica si è
trasformato nel nemico mortale della nazione”), la Tamaro, vaccinata e con la mascherina, non solo non ha cessato di
ragionare ma ha potenziato la sua volontà di entrare nel dedalo opprimente
delle prescrizioni pubbliche per indagarne le basi razionali, e non scovarne
alcuna: il vaccino non impediva nulla, né contagi, né sintomi gravi, né
ospedalizzazioni, né morti. La Scrittrice comincia ad avvertire intorno a sé
storie di danni fisici, anche fatali, di individui che, fiduciosi in una
scienza divenuta inscalfibile religione e fede dogmatica, si sono fatti
inoculare il Siero Miracoloso: “Nel culto
del vaccino non era più presente neppure la più lontana parvenza di scienza,
perché la scienza è davvero tale soltanto quando ammette il dubbio e la
possibilità dell’errore”.
“Tornare umani” è una meditazione pacata
ma tagliente immersa nelle immagini bucoliche dell’Umbria, tanto che all’orecchio
di un attento lettore possono giungere i suoni lontani del garrire delle
rondini, del mugghio delle mucche ed il fruscio delle foglie.
La
delicatezza è la cifra di questo libro, inno all’almanaccare oramai proibito da
Kong: “Il pensiero fa la grandezza dell’uomo”.
Non
conta ciò che si vede, ciò che si sente, ciò che si è, conta ciò che viene
detto “da chi vuole il nostro bene” anche se i fatti lo contraddicono
ampiamente.
Un
uomo che non pensa è un uomo che è pensato. Un uomo che non agisce è un uomo
che è agito. Un uomo che obbedisce senza analisi critica è un uomo pericoloso.
La storia del passato racconta di orrori di cui popoli interi si sono resi
complici, supini agli ordini: “Il virus
di un’irragionevole obbedienza, perché, se non si è in grado di ragionare,
tutti gli ordini scanditi con voce autorevole sembrano degni di venire obbediti.”
Il
cuore del lettore, verso l’imbrunire del lavoro, viene scaldato dalle vite di
tre giganti che hanno opposto un diniego ad obbrobri statuali che hanno inghiottito
l’Umanità, con il suo consenso, (“Come mai seguono così docilmente un
tiranno?”): Marie Curie, Fredy Hirsch e Franz Jägerstätter: "Il male provoca fracasso, dolore,
smarrimento, confusione; il bene ha una natura silenziosa, forse appena un
mormorio, ma la sua luce splende inestinguibile nell'oscurità del tempo, come
brillano le lucciole nel torrido calore delle notti estive”.
Le
pagine sul perdono che deve essere chiesto dalle Istituzioni sono di mirabile
commozione: “Non lo è (idiota, ndr) piuttosto uno Stato che impone a tutti un
obbligo su cui non brilla alcuna luce di razionalità, se non quella perversa e
cupa del controllo sociale?”.