“Il coraggio degli italiani” (Palladino Editore - 2012), terzo lavoro
dell’ingegnere Antonio Pardo Pastorini,
è un intrigante, immaginifico, allucinatorio, onirico e apocalittico romanzo che
ripercorre in chiave fanta-politica un futuro - forse - non troppo lontano e, intraprende percorsi sontuosamente
ricchi di suggestioni letterarie e filosofiche latine, inframezzati da miti cavallereschi
medievali e ardori crociati, incupiti da pasoliniane e boccaccesche visioni di
ingordigia culinaria imposta a umiliati e odiati parlamentari e politici. Si
nutrono di dantesco contrappasso le feroci punizioni che vengono inflitte ai
rei di viltà e tradimento della Patria.
La
narrazione - sviluppata con irremovibile sguardo su “La città del sole” di Tommaso
Campanella - è un’orgia di riferimenti ad
opere ciceroniane e senechiane, di vasti richiami storici di sapore liviano alle
pugnae e alle antiche glorie romane,
e di appassionate e commosse rimembranze dell"italico coraggio in Libia durante
la seconda guerra mondiale.
Lo
stile è talora manzoniano, talune volte il periodare è a struttura classica
latina, altre ancora ricorda lo stentoreo parlare dei proclami del ventennio
fascista o, al contrario, il pacato e saggio interloquire in “The Prophet” di Gibran.
Vetuste
e ricercate e studiate parole, a cui l’Autore
fa ritrovare la sopita lucentezza, sono
riportate agli antichi fasti di un tempo.
Tutto
ha inizio nello studio di “Annozero” condotto da Michele Santoro, in presenza dei
soliti volti noti della politica italiana.
Un doppio colpo di Stato irrompe nel
racconto: i "Legionari", ferrei garanti di valori patriottici, familistici e spirituali
(l’Assoluto Fondante l’Umano), con l’aiuto dei Cavalieri Alati, cercano di sovvertire,
con il brando e il senso della sacralità della esistenza terrena, il
materialismo e il consumismo imperante, la concezione di un uomo ripiegato su
se stesso e su le proprie becere e miserrime brame, la supremazia tirannica
dell’ “Io” senza D - come direbbe
Marcello Veneziani - del tutto dimentico di una Entità superiore; i "Becchini", demoniaci
e inumani in ogni loro gesta, ferocemente atei e sprezzanti di ogni difetto
fisico e valore umano, sterminano chiunque non rispecchi il loro pagano ideale dell’uomo,
privi di ogni forma di misericordia, esaltatori, semmai, del suo esatto contrario.
I
cittadini di Roma dovranno riscattare con le armi la loro molle concezione di
vita, riguadagnare il senso del proprio passato, riconquistare una dignità persa
anche nell’uso della propria lingua, usurpata e mutilata nella sua primigenia
bellezza e autenticità da anni di occupazione spagnola, francese, austriaca,
tedesca e anglo-americana.
Nel
proscenio, ove si svolge l’azione, sosta una Roma magnificente, descritta in
tutte le sue fulgide bellezze, gremita di un millenario trascorso.
Fabrizio Giulimondi