Il
desiderio è sovrano, unico parametro, paradigma, archetipo e norma auto –
prodotta. Il desiderio in quanto unico sovrano deve rimuovere ogni limite che
possa contrastarlo al fine di impedire che la sovranità del desiderio sia
ostacolata nel suo libero e arbitrario dispiegarsi. La discrezionalità è infarcita
di regole. L’arbitrio non conosce regole. Il desiderio è arbitrio che si pone
come legge. Ogni limite di qualunque natura al desiderio come unico sovrano
sarebbe inevitabilmente colto come insopportabile argine alla sovranità del
desiderio. La sovranità in ragione della sua stessa natura tende ad assolutizzarsi
e si norma autonomamente, manifestandosi all'esterno (finché esisterà) in veste
di principio assoluto. Il limite è un intralcio, discrimina l'assolutismo del
desiderio. Il desiderio coniugato alla scienza e alla tecnica consolida il
proprio assolutismo. La scienza e la tecnica sono a loro volta sovrane e
tendono per propria natura ad espandersi sino ad abbracciare qualunque aspetto
esistenziale in ragione del fatto che ciò che è scientificamente e tecnicamente
possibile non può che implementare l'estensione illimitata del desiderio/ sovrano
assoluto che è norma a se stessa, principio di tutte le norme invero fatte della sostanza della prima norma,
formali filiazioni della norma fonte, ossia il
desiderio-assoluto-sovrano-illimitato, vera e autentica norma sostanziale e
vincolante le altre norme, sola norma vivente: il desiderio che basta a se
stesso, principio e conclusione della
condotta umana, intesa come movimento cinetico dello stesso desiderio. Il
desiderio nel suo nucleo atomistico è assolutistico e insensibile a qualsiasi
limite, argine, confine, termine, avvertiti al pari di minacciosi ostacoli. Il
desiderio abbisogna di gemellarsi con la parallela sovranità assoluta della
scienza e della tecnica le quali, in sinergia con il primo creano un assoluto
sommatoria di due assoluti. L'assoluto del desiderio e l'assoluto della scienza
plasmano l'assoluto dell'Io, un Io che incorpora, invera, incarna, plasma due
assoluti. Il desiderio meccanicamente si espande e per propulsione interna - dovuta alla propria natura eternamente in
cerca di oggetti da desiderare ed ingoiare - tutto ingloba e tutto attrae, supportato con
necessario cameratismo dall'assolutismo della scienza e della tecnica. Ogni
limite, ostacolo, argine, sono percepiti come discriminanti, ingombri tesi ad imporre
un discernimento inconcepibile per l’esistenza del desiderio, ontologicamente
incompatibile con qualsiasi recinto che ne freni o rallenti l’azione in eterno
divenire. La sua mancata realizzazione
determina l’insorgenza della inesistenza del desiderio, perdendo esso la
propria connotazione per cui esiste, ossia desiderare senza impedimenti: il non
esaudimento del desiderio fa collassare le fondamenta di quest'ultimo, che si
suicida. Il desiderio è assoluto ed esiste per essere esaudito e il suo non
esaudimento nega se stesso. Un desiderio che non viene esaudito è un simulacro
di desiderio, lo rende inesistente. Il desiderio deve portare a compimento se
stesso per non divenire un non essere. Il desiderio o si compie o non esiste
più o non è mai esistito. Il desiderio esiste in quanto si realizza. È essere
che include l'azione della sua realizzazione per tornare all'essere. Il
desiderio è impossibilitato a rimanere statico in virtù della forza motrice che
lo muove che, per fisica antropologica, necessita di realizzazione permanente
di se stesso, inclusiva dell'azione di realizzazione per captazione degli
oggetti del desiderio da inglobare. Il desiderio è un essere in perenne
divenire, in ricerca di continue realizzazioni di se stesso, acquisizione di oggetti
del proprio desiderio da prelevare dall'esterno e portare al suo interno. Il
desiderio è essere che esiste solo nel realizzare se stesso. Essere che nel
divenire si mantiene come essere. Se non realizza continuamente se stesso non
esiste più, si auto-demolisce. Il desiderio necessita per essere, ossia per
esistere, della continua realizzazione di se stesso e, quindi, è essere che attrae
in se stesso oggetti esterni a sé. Il desiderio esiste proprio nella attrazione
di ogni oggetto del suo desiderio - posto al suo esterno - al suo
interno facendolo divenire parte del proprio essere. Il desiderio esiste solo
desiderando continuamente, prendendo l'oggetto del proprio desiderio e
facendolo divenire parte di se stesso. Essere. Azione. Poi di nuovo essere per
poi ancora trasformarsi in azione e compiere una metamorfosi ossessiva
dell'azione in essere, e dell'essere in azione al fine di far perdere
all'oggetto del desiderio la sua autonomia per mutarlo in una parte inanimata e
non più autonoma del desiderio/essere. Il desiderio/essere renderà l'oggetto
esterno del proprio desiderio (termine finale dell'esercizio dell'azione
costante che qualifica esistente il desiderio), una volta acquisito, parte non
più identificabile di se stesso. Il
desiderio ha portato a compimento se stesso nell'acquisire l'oggetto della
propria azione desiderante cooptandolo nel proprio interno e facendolo divenire
parte di se stesso. È la medesima natura
autoritaria, anzi totalitaria, della sovranità assoluta del desiderio a non
consentite l’accettazione di altro da se stesso e ad imporsi a qualsiasi
elemento sia in rerum natura, cioè al
di fuori di sé desiderio. La Natura esterna ed oggettiva, animata e reale, non
è consentanea alla natura tirannica e assolutistica del desiderio che può solo desiderare,
volere, anelare a tutto ciò che è posto al di fuori di se stesso per
annientarlo in se stesso, unico modo per consentire la propria permanenza in
vita. Il desiderio, pertanto, è per moto proprio volto alla espansione
illimitata di se stesso, in quanto finché sussiste l'esterno il desiderio può
ancora inglobarlo: il desiderio esiste per desiderare tutto ciò che non ha
ancora ottenuto e finché esisterà un altro fuori da sé esisterà il
desiderio. Il desiderio desidera l'altro
da sé e per moto incessante agirà per fagocitare tutto ciò che esiste fuori dal
suo essere. Il desiderio o è assoluto o non è. É prescrizione ineludibile del
desiderio internalizzare l’esterno e metamorfosizzare l’oggetto del desiderio
da dimensione del vivente a parte ignota del desiderio/essere. La dicotomia
lecito e illecito è estranea al desiderio perché limiterebbe la sua azione
ponendo in non essere se stesso. Il desiderio è sovrano assoluto e illimitato,
non conosce né può conoscere il lecito e l'illecito, perché altrimenti
estinguerebbe se stesso. L'etica, la morale, la politica, la sociologia, la
psicologia sono plurime, pulviscolari, comunitarie, accumunanti, affascianti
più e indeterminati soggetti, mentre il desiderio appartiene solo e soltanto
all'Io, incessante desiderio pulsante personificato in una individualità
monadica, solipsica, solitaria, disperata. La liceità o l'illeicità
costituiscono un freno alla sovranità assoluta ed illimitata del desiderio,
anzi, il freno nega l'esistenza stessa del desiderio. Il desiderio in quanto
assoluto e illimitato non concepisce freni. Il desiderio è desiderio. La
liceità esiste solo se soggettiva per essere compatibile con il desiderio in
quanto componente del desiderio. Il desiderio, soggettività pura, conosce solo
una liceità, una etica e una morale soggettiva, la propria, quella del
desiderio stesso che decide ciò che è lecito, morale o etico, ossia ne nega la
valenza eteronoma ed eterodiretta. Ogni desiderio decide ciò che è lecito e ciò
che non lo è assolutizzando la soggettività dell'etica. È il desiderio a
qualificare l'etica, non viceversa. L'etica non è esterna ma interna al
desiderio: non esiste se non ad
colorandam di una pulsione istintuale primordiale, conseguenza della pura
soggettività del desiderio, istinto non mediato ma sorgivo, iniziatico bing bang, comportamento irrefrenabile; l'etica
auto - creatasi nella perenne staticità (in un apparente divenire) dell’Io ne è
la componente informe, anodina, unilateralmente e incondizionatamente potestativa
e, pertanto, anarchica. Il desiderio stabilisce ciò che è lecito e ciò che non
lo è. L'istinto è il substrato del
desiderio e la decisione ne è solo l'aspetto estetico, simulatamente razionale.
Il desiderio è la sostanza la decisione la mera forma, pura apparenza.
L'istinto è la parete tinteggiata dalla decisione. Il desiderio è unico motore,
inizio e fine, buco nero che addensa in se stesso tutto ciò che vi è
all'esterno. L'oggetto del desiderio è il desiderio stesso, la propaggine della
sua espansione, la unica meta finale, la sua vera e unica ratio: soggettivizzazione del desiderio, oggettivizzazione del
soggetto, soggetto che muta in oggetto e oggetto che diviene soggetto. La personificazione del desiderio si struttura
nell'Io che è istinto che si fa desiderio per trasformarsi in azione, che avvince
a se medesimo l'oggetto prelevandolo dall'esterno e facendolo divenire parte
indistinta del proprio essere. Istinto. Desiderio. Azione. Oggetto che passa
dall'esterno all'interno. Essere. Di nuovo azione ossessiva, costante,
permanente, compulsiva, dando corpo al proprio naturale e tirannico assolutismo
che nulla vuole fuori da sé ma tutto in sé.
L'Io è
desiderio e il desiderio l'Io che in se stesso assomma e comprime tutti gli
oggetti del proprio desiderio che divengono il desiderio stesso e il desiderio
è sovrano assoluto e illimitato, non permettendo l'esistenza di nulla al di
fuori di se, ma tutto in sé. Il desiderio è forza coercitiva di se stesso e non
tollera nulla che possa frapposi fra se stesso e l'oggetto della sua azione
desiderante: l’oggetto del desiderio diviene il desiderio stesso, e il
desiderio sostanzia l’Io che nella sua continua e improcrastinabile espansione
non riconosce nulla al di fuori del proprio essere che si fa azione cooptante
di beni che da aerobici mutano in anaerobici. L’Io desiderante riconosce a se
stesso come unica legge solo il proprio desiderio che non ammette altro che se
stesso. Il desiderio vuole solo desiderare e il desiderare vuole l’oggetto del
suo desiderare e, una volta ottenuto e divenuto di nuovo semplice essere in
posizione statica necessita subitaneamente di desiderare l’altro da sé in un
moto perpetuo di desiderio, oggetto da desiderare, oggetto ottenuto con il
desiderio pronto per desiderare immediatamente altro. Il desiderio esiste
soltanto se diventa azione. Il desiderio sostantivo si coniuga inscindibilmente
con il verbo desiderare. Il desiderio esiste perché desidera. Il sostantivo ed
il verbo sono la stessa cosa e anche il verbo e il suo complemento oggetto
(l'oggetto del desiderare) si identificano e il medesimo complemento oggetto,
al termine, si aggancia al sostantivo che è il desiderio che si incorpora nel
complemento oggetto. Il desiderio desidera sempre qualche cosa: il desiderio si
identifica nel desiderare, il desiderare nel qualche cosa che desidera, il
qualche cosa desiderato che diviene l’Io desiderante/desiderio, e così via. Un
circuito di soggetto, verbo e complemento oggetto che, in realtà, sono un unicum: uno e trino (Il desiderio che è
l'Io desiderante e l'Io desiderante che è il desiderio stesso - il desiderare come verbo e, quindi, come azione
- l’oggetto destinatario del desiderio che si è fatto azione del desiderare - l’oggetto desiderato e acquisito nell’Io che,
a sua volta, diviene quell’oggetto, non essendovi più un discrimine fra Io
desiderante e oggetto desiderato). Il
limite etico è fittizio perché è l’Io desiderante stesso che lo crea a sua
immagine e somiglianza e, invero, l’etica non è altro che l’immagine creata
dallo stesso Io desiderante. L’etica è la proiezione onirica, immaginifica,
irreale dell’Io desiderante che si crea un fondamento - in realtà inesistente - alla sua esistenza. L’Io desiderante, ossia il
desiderio che si personifica e si soggettivizza, non ha necessità dell’etica
perché basta a se stesso e forgia una immagine narcisistica di se stesso ma,
appunto, una immagine che, in quanto tale, è irreale. È reale solo il desiderio
che si è dato un fondamento “etico” inesistente, ancorandosi unicamente a se
stesso e non ad un patrimonio morale e valoriale oggettivato dall’esterno e
nell’esterno. Il desiderio inventa una ragione fondante di se stesso, ragione
che non esiste perché il desiderio è fondamento, ragione, causa e fine di se
stesso e trova la sua ragione di essere nell’acquisire gli oggetti della sua
azione desiderante, continuando ad esistere finché esisteranno oggetti esterni
a se stesso da desiderare e da acquisire nel suo essere. L’etica vive nel cono
d’ombra del desiderio ma è il desiderio stesso, il desiderio che inganna se
stesso: l’etica individuale è auto-creazione, inganno del desiderio che vuole
opporre giustificazioni al suo esistere e non consentire ad etiche esterne - oggettivate dall’esterno e nell’esterno - di penetrare in se stesso. L'etica è un punto
di vista che non desidera, è specularmente opposto al desiderio ed è incompatibile
con l'assolutismo illimitatamente sovrano del desiderio. L’etica è non
desiderio che contrasta il desiderio che si fa assoluto e sovrano. Per l'Io assoluto composto di solo desiderio
assolutizzato sarebbe elemento disgregante ammettere elementi estranei a se
stesso. I diktat etico-morali,
politici e sociali costituirebbero un virus incontenibile e insopportabile che
attiverebbero una rapida procedura di destrutturazione dell'Io - buco nero -
desiderio assoluto posto a norma assoluta di se stesso. L’etica oggettivizzata
e sostanziantesi in regole che parassitizza il desiderio relativizzandolo. L'etica oggettiva che riconosce leggi a se
superiori e che vede nel non desiderio il proprio substrato connettivo desovranizza
e deassolutizza il desiderio, rimuovendolo dal trono. L'Io cessa di essere Dio di se stesso, oggetto
di divinazione e divinità esso stesso. O v’è l’etica esterna, oggettiva e
soggetta ad altro, capace di partorire l’homo
socius, ovvero v’è l’etica individuale che configura un Io solipsico e narciso
che crea una propria etica, altrettanto solipsica e narcisa, individualità che
si fa sovrano e Dio. Tante etiche per tanti desideri per tanti individui per
tanti Io assoluti per tanti individui sovrani di se stessi.
L’Io
che avrà esteso se stesso sino ad abbracciare ogni latitudine e longitudine
degli oggetti da desiderare, nella sua imperitura azione desiderante giungerà
al suo massimo compimento nella propria eliminazione perché, inglobato l’ultimo
oggetto da desiderare, non avrà più null’altro al di fuori da se da catturare
nella sua azione desiderante e, cessata la realizzazione di ogni desiderio,
venendo meno il proprio esercizio desiderante che compone il suo essere stesso,
verrà meno l’essere stesso. Il desiderio è essere che si fa azione desiderante
ma, venendo meno ogni oggetto esterno a se stesso da desiderare, verrà meno
anche il compimento della azione desiderante facendo venire meno lo stesso
desiderio come essere che compone ed è lo stesso Io. L’Io - che non pone in essere più l'azione
desiderante perché non v’è più nulla da desiderare in quanto tutto è stato
desiderato e nulla v’è più fuori dal desiderio e tutto è dentro il desiderio - cessa
di esistere perché vengono meno le ragioni, le cause, le fondamenta e i motivi
della sua esistenza. L’essere scompare e con esso la sua soggettivizzazione e la
sua personificazione: l’Io desiderante non è più Essere ma Non Essere. Non
esiste più. Fuori di esso non v'è più nulla. Anche dentro non v'è più nulla,
perché è venuto a scomparire anche l'Io essendo evaporato l'Io desiderante che
era l'unica componente dell'Io. Il desiderio è non essere, l'Io desiderante è
non essere. L'io è non essere. Il di fuori di sé, ossia l'esterno oggetto del
desiderio oramai tutto esaudito, è non essere. Il Non Essere ha sostituito
definitivamente l'Essere.
Fabrizio Giulimondi