L'Autrice
del saggio "Le Antigone tra Scilla
e Cariddi. Figure anarchiche e ribelli del nostro tempo" (Promocultura edizioni) Caterina Capponi- come nel precedente
lavoro "Le lunghe notti di Medea in Calabria"- attualizza le figure
della grande letteratura classica ellenica, adoperandole come novelle eroine
contro la criminalità mafiosa calabrese: il coraggio delle donne contro i
tiranni dell'antica Grecia e il coraggio delle donne di oggi contro la feroce dittatura
dell' 'ndrangheta.
Molto
efficace è la scelta dell’Autrice di usare uno dei più classici miti letterari
del mondo greco, Antigone, per sublimare il coraggio di donne che avversano, sino
all'estremo sacrificio, le logiche prevaricatrici disumane della 'ndrangheta. L'intuizione
artistica della Capponi consiste proprio nel mostrare il parallelismo esistente
tra storie assai distanti nel tempo per riaffermare l'idea cara a Benedetto
Croce, secondo cui ogni storia è storia contemporanea: la storia di Oggi non è
altro che la continuazione della storia di Ieri e la storia di Ieri è
prodromica alla storia di Oggi.
Antigone
rifiuta l'ordine scellerato di Creonte, re di Tebe e, contro la sua volontà,
seppellisce il corpo del fratello Polinice dato in pasto ai cani. Parimenti le
Antigone dei nostri tempi, impavide vittime delle mafie: come Antigone non si
cura della legge del Re perché in aperto contrasto con quella divina (l'amore
della sorella per il fratello), le donne nate e cresciute in contesti criminali
alzano la testa per riaffermare la legge della propria coscienza, a costo della
fine più crudele.
Le
similitudini tra il mito letterario di Antigone e la brutalità del mondo dell''ndrangheta
sono molteplici: anche la ferocia dei mafiosi si manifesta attraverso la
tecnica dell'annientamento del nemico, che non viene solo ucciso ma fatto
scomparire (c.d. lupara bianca): cancellare il ricordo diviene imperativo
perché di quell'uomo non ne rimanga più nulla (i mafiosi non volevano che la
madre di Peppino Impastato andasse al funerale del figlio ridotto a pezzettini
da una bomba). Moltissime donne hanno
fatto questa tragica fine, Antigone redivive. Una fra le tantissime è Rossella
Casini, il cui corpo è stato disperso nelle acque della Tonnara di Palmi. La punizione
deve essere esemplare quando le donne (madri, figlie, mogli, fidanzate,
sorelle) osino rompere il silenzio omertoso mettendo in crisi l’intero sistema.
Le mafie
ricorrono anche ad un ulteriore strumento di morte simbolica e tragicamente
reale: il suicidio. E così ha ricorso al gesto estremo e disperato Rita Atria, che
ebbe il coraggio di ribellarsi alla propria famiglia mafiosa e di collaborare
con Paolo Borsellino, uccidendosi nel 1992 a soli 17 anni ad una settimana dalla
strage di via D'Amelio.
Questa
è la cultura mafiosa, punire con la morte ed anche oltre e dopo la morte. Ma la
combattiva Antigone ha tramandato il suo insegnamento fino ai nostri giorni
divenendo l'archetipo di chi decide di non soggiacere al Male, alla violenza,
alla inumanità, anche a costo della fine più efferata. Ancora una volta il
parallelismo è evidente fra Antigone che si rifiutò di obbedire alla legge del
Tiranno per soggiacere a quella divina sino a farsi murare viva e le donne,
vittime della ‘ndrangheta, che si sono opposte e si oppongono al potere mafioso.
Fabrizio Giulimondi