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martedì 10 luglio 2018

PIERO CORIGLIANO: "MELLON COLLIE AND THE INFINITE SADNESS"


Risultati immagini per Smashing Pumpkins

Gli Smashing Pumpkins si presentano alla terza prova ufficiale della loro carriera tirati a lucido e in formazione completa dopo un promettente, ma acerbo disco di esordio, Gish (1991) e un brillante secondo album, Siamese dream (1993), definito da alcuni critici un capolavoro.
Si comincia a intravedere la personalità di Billy Corgan, cantante e chitarrista principale del gruppo, dotato di una timbrica vocale molto particolare, nasale e stridula, sottile e aspra, che tuttavia affascina per sensibilità, freschezza e irriverenza. Le composizioni della band sono quasi tutte firmate Corgan, mettendone in luce i tratti da protagonista e accentratore, che tende ad oscurare gli altri, pur validi, componenti della band, che sono James Iha, seconda chitarra, D'Arcy Wretzky, al basso e il batterista Jimmy Chamberlin.
In questo nuovo album che vede la luce alla fine del 1995 tuttavia, non appare solo un seme, un embrione, ma un frutto gustoso e compiuto: la personalità di Corgan esce fuori definitivamente, nei suoni e nelle liriche, regalandoci un viaggio appassionante nell' “Universo rock”.
Lo scorrere delle tracks mette in evidenza la sua natura di concept album: la prima parte si chiama “Dawn to dusk”, dall' alba al tramonto, la seconda parte è intitolata “Twilight to starlight”, dal crepuscolo alla notte stellata.
L'apertura è affidata al giro di piano circolare della title-track, brano solo strumentale che scorre soavemente.
A seguire troviamo “Tonight, Tonight” il cui maestoso inizio scandito da una sinfonia di archi è il preludio a un autentico inno sulla bellezza del vivere qui e adesso, in una dimensione romantica e sognante, ma sincera e profonda, come il timbro vocale di Corgan, che si ama o si odia, ma è indiscutibilmente genuino in questo bellissimo pezzo di rock-opera.
Dopo gli incanti della notte, arriva la furia di “Jellybelly” a spazzare via tutto, mettendo in chiaro quello che gli Smashing Pumpkins sono effettivamente, cioè una rock band.
E il 'Welcome to nowhere' urlato da Corgan suona come un grido di sfida e di battaglia, che ci fa sprofondare in questa terra di nessuno, dove si perdono le mappe, i confini e i riferimenti.
Zero” irrompe con un riff di chitarra dirompente, con una forte carica di energia e fra i muri di chitarre distorte lascia intravedere uno sfogo amaro e negativo, di un protagonista che non nutre alcuna stima di se stesso e rifiuta persino di specchiarsi nella propria immagine.
Here is no why” è un omaggio di Corgan alla noia adolescenziale, la narrazione delle giornate ripetitive e solitarie di un ragazzo immaginario, che non riesce a intravedere un motivo nella propria esistenza. Musicalmente è un brano rock di buona fattura.
La traccia n. 6, pur continuando sulla scia del leit motiv pessimistico, non può lasciare indifferenti, per l'interpretazione corganiana che sorretta da una band in perfetta forma, raggiunge livelli di intensità e pathos difficilmente emulabili: è “Bullet with butterfly wings” martellante e acidissimo brano rock and roll a tinte grunge, capace di raggiungere vette di lacerante dolore.
Tra vuoti e pieni, silenzi e improvvise esplosioni chitarristiche, rullate di batteria precise e potenti e velenosi squarci di rabbia repressa e carica di effetto nella voce dell’egocentrico leader.

To forgive” rilassa un po’ gli animi, tra un senso di utilità (o inutilità?) del tempo che affiora e momenti di nostalgia dell'infanzia, quasi una forma di riflessione su passato e presente.
An ode to no one” riprende invece i Pumpkins arrabbiati con il mondo, unendo l'irruenza del punk alla forza del metal, senza suonare affatto scontata.
Il verso 'Destroy the mind, destroy the body, but you cannot destroy the heart' suona come un altro grido di battaglia per la generazione ribelle e tormentata, di cui Corgan si erge a portavoce.
Segue “Love”, originale brano sull' amore, un synth-rock tra i più sperimentali del disco, sospeso tra minimali effetti chitarristici che lo tengono in un difficile e pretenzioso, ma riuscito equilibrio.
Cupid de Locke” e “Galapogos” sono due dolci e splendide melodie dalle quali farsi cullare senza troppi pensieri, la prima soffice e sognante, la seconda caratterizzata da quell' infinita e inspiegabile malinconia che marchia a fuoco il disco, come un timbro indelebile.
Muzzle” e “Porcelina of the vast oceans” hanno il pregio di innalzare il gruppo su vette di hard-rock notevoli, con un grande slancio la prima, con velleità progressive la seconda, caratterizzata da alcune parti strumentali e da dirompenti attacchi di chitarra, basso e batteria, alternati a momenti di pausa, con la vocalità psichedelica di Corgan a richiamare figure immaginarie.
La prima parte del disco, molto bella, si conclude con “Take me down”, affidata alla voce di James Iha; suona come un'intima canzone d'amore, rappresentando il ritorno ad una sorta di normalità, dopo la carrellata di songs dai tratti variopinti e teatrali.
La seconda parte dell'album “Twilight to starlight” appare come la meno riuscita, ma considerando che un lavoro da 28 canzoni non è qualcosa di molto frequente, qualche passo falso si può, a parer mio, giustificare alla band di Chicago, assegnando all' opera più ambiziosa della loro produzione un voto comunque alto.
L'inizio è affidato a “Where boys fear to thread” brano rock grintoso e ritmato costruito su un bel riff di chitarra elettrica, segue “Bodies”, punk-rock veloce e spinto in modo forsennato da chitarra e batteria, con Corgan che irrompe col verso 'Love is suicide', a sottolineare con enfasi e sintesi l'ambivalenza del sentimento amoroso.
Thirty-tree” è una ballad raffinata ed elegante e “1979” un singolo di grande successo, collocabile nel peculiare filone pop-wave, cantato con trasporto emotivo; i sette minuti di “X.Y.U.” sono un hard-rock rabbioso e chitarristico, ai limiti del noise.
La track n.7 è “Thru the eyes of Ruby” canzone inclassificabile in un genere preciso, ma splendida, con un crescendo strumentale e vocale superbo, e improvvisi cambi di ritmo, che suggellano il passaggio dal crepuscolo alla notte stellata.
We only come out at night”, “Beautiful”, “Lily” e “By starlight” sono momenti di tranquilla spensieratezza, che dimostrano l'abilità dei Pumpkins ad adattarsi, a livello compositivo e timbrico, anche al format pop più convenzionale, sempre arricchito da un pizzico di velata malinconia.
Stumbleine” e “In the arms of sleep” si iscrivono anch'esse in tale filone, rallentando ancora di più i ritmi e la metrica, mentre “Tales from a Scorched earth” è un esperimento industrial che non appare del tutto riuscito.
Farewell and goodnight” chiude in bellezza augurandoci una dolce buona notte e regalandoci attimi di meritata serenità, dopo la notevole cavalcata di oltre due ore di musica.
Gli Smashing Pumpkins, raggiunto l'apice con questo album, si sarebbero mantenuti su livelli di eccellenza con “Adore”, completamente diverso dal precedente ma molto apprezzato dalla critica e in parte, anche dal pubblico, per poi ritornare su un hard-rock più maturo con “Machina”, l'ultima fatica prima dello scioglimento.

Piero Corigliano


giovedì 15 febbraio 2018

PIERO CORIGLIANO: "QUATTRO NOTE SUI R.E.M."


Risultati immagini per FOTO REM
Correva l’anno 1992, quando i R.E.M. diedero alle stampe questo “Automatic for the people”.
E’ uscita a Novembre 2017 la versione rimasterizzata dell’album, ristampato per i suoi 25 anni in due versioni ‘extralarge’, una da due cd, con il disco originale remixato e l’unico concerto live registrato dalla band nel ’92, e l’altra (Deluxe) con 20 demo mixati nel 1992 e il disco stesso ascoltabile in versione “sonora” Dolby Atmos.
Solo un anno prima, grazie ai mandolini e al pathos del singolo “Losing my religion” i R.E.M., fino a quel momento conosciuti come la band di punta del rock indipendente americano, avevano sfondato a livello internazionale, facendo entrare ai primi posti delle classifiche “Out of time”. Quest’ ultimo era un disco di folk-rock maturo e mainstream, con alcuni singoli capaci di fare breccia presso le categorie più disparate di ascoltatori.
La band dopo “Out of time” decise, a sorpresa, di non fare un tour promozionale, col quale avrebbe capitalizzato al meglio le vendite milionarie del disco e si chiuse pazientemente in studio a registrare delle nuove canzoni, che confluirono in “Automatic for the people”.
Il risultato è un disco cupo e malinconico, funereo e notturno, che tratta a piene mani il tema della mortalità, degli affetti e delle fragilità umane, con un suono barocco, delicato e migliorato da raffinate orchestrazioni, dirette dal sapiente lavoro di John Paul Jones, ex bassista dei Led Zeppelin.
Forse è riduttivo definire “Automatic for the people un disco, perché musiche, testi e atmosfere di queste 12 canzoni sono così interconnessi da creare un tutt’ uno di visioni oniriche, sogni, ricordi, orizzonti, frammenti di vita, immagini, delusioni e speranze.
Ingredienti messi insieme dai quattro R.E.M. con un sapiente lavoro di ‘cucitura’, realizzato col produttore Scott Litt, e ammantati in un mood dimesso, specchio dei tempi incerti che si vivevano negli Stati Uniti finita l’era Reagan, con i tanti dilemmi che si portava con sé il periodo post Guerra Fredda e verso l’incerta fase di transizione di fine ventesimo secolo.
La strumentazione è prevalentemente acustica, con inserti di banjo, armoniche, organi, bouzouki. In realtà lo stile delle canzoni può essere considerato come un’evoluzione più matura del disco precedente, anche se al tempo stesso vi prende le distanze: laddove Out of time era solare e spensierato, Automatic risulta invece cupo, scarno, malinconico e minimalista.
Questo testimonia anche la volontà del gruppo di non sedersi sugli allori del successo, ma di cercare di recuperare una dimensione più personale e introspettiva.
Il viaggio parte con “Drive”, che è anche il singolo apripista dell’album.
Singolo che non concede nulla agli stereotipi commerciali, partendo in modo lento e ipnotico con un lieve, insistito arpeggio chitarristico e un sottofondo ammaliante, per poi esplodere lentamente con la grande entrata della chitarra elettrica e di una spettacolare sezione d’ archi. Stipe canta: “hey kids, rock and roll, nobody tells you where to go” ovvero dei versi criptici (nel suo stile) ma che sembrano dire ai giovani: seguite la vostra via, vivete la vostra vita, non cercate mai quello che vi dicono gli altri.
La canzone vive sull’ alternanza vuoti/pieni e sfuma lentamente, così come era iniziata.
Due chitarre che si rincorrono e il tema dell’eutanasia sono il sottofondo di “Try not to breathe”, una melodia semplice e raffinata che vive nel controcanti di Stipe e Mills e nel ritornello i suoi passaggi migliori. Un organo ne accompagna il lento incedere nel finale, il testo racconta di un anziano che giunto alla fine della sua vita, ne ricorda i momenti più belli e struggenti e mette in evidenza l’argomento degli affetti.
La musica è un pretesto per toccare temi importanti e evocare visioni suggestive, tutto “Automatic” richiede attenzione per l’ascolto in se stesso ma anche per i temi che sono trattati attraverso di esso.
The sidewinder sleeps tonite” costituisce un momento di evasione rispetto ai primi due brani, grazie a un intreccio scintillante fra organo e chitarra e uno Stipe che canta (e bene) in tonalità molto alte, facendo il verso a ‘The lion sleeps tonite’, con liriche originali e al limite dell’incomprensibile. Il risultato è ottimo e riesce ad allentare un pò il clima, senza allentarlo troppo al tempo stesso.
Segue “Everybody hurts” e sin dai suoi primi momenti si ha la sensazione di essere immersi nel mood dei primi due brani.
Ci sarebbe poco da dire, se non invitare all’ ascolto. Un semplice arpeggio di chitarra di Buck introduce verso una melodia corposa e cantata con intensità da aria funebre da Michael Stipe; il basso di Mills gira a meraviglia, la chitarra elettrica e la batteria si limitano a pochi interventi che accompagnano il momento di maggiore climax emozionale. Il tema è quello della sofferenza e del disagio esistenziale, quelli di un aspirante suicida che viene invitato a non cedere e continuare a vivere. ‘Take comfort in your friends’ e il ripetersi della frase ‘No, no, no, you’ re not alone’ sottolineano il messaggio positivo che i R.E.M. vogliono trasmettere, pur parlando di morte e dolore.
Il video felliniano che accompagnò la canzone è un must ed è consigliabile non perderlo.
New Orleans Instrumental n.5” è un brano strumentale, riflessivo e notturno al quale segue “Sweetness follows”, splendido blues in cui la voce matura e melodica di Stipe, anche qui bravissimo, viene sorretta da un magico impasto sonoro di chitarra acustica e violoncello prima ed organo poi. Ovvero, come fare grande musica con pochi, semplici ‘ingredienti’.
Qui la morte viene vista con gli occhi innocenti di un ragazzo che deve dare sepoltura ai suoi genitori: il senso della riflessione remmiana è di tenere sempre vivo il ricordo, a fronte del rischio dell’insensibilità e del tempo che passa, insomma un invito a recuperare la pienezza degli affetti.
Monty got a raw deal” rappresenta l’omaggio dolceamaro a Montgomery Clift, celebre attore che negli anni 50’ dissipò tutte le sue fortune tra alcool e droga, andando incontro a una morte dannata e prematura.
Un arpeggio di Buck lo introduce, segue la decisa entrata della batteria, l’accompagnamento di armoniche e bouzouki ne guida l’incedere lento e straniante, quasi drammatico, con Stipe che canta su tonalità basse. Il personaggio sfortunato di Monty viene raffigurato come “buried in the sand” (sepolto nella sabbia) e “strung up in a tree” (appeso a un albero), immagini efficacissime che simboleggiano il destino di quest’ uomo solo.
Sembra chiaro l’invito a non farsi travolgere dalle facili e vacue promesse della celebrità, quasi un’auto raccomandazione da parte del gruppo.
Il cammino di “Automatic for the people” continua con “Ignoreland”, che arriva con la sua ritmica dissonante e un piglio decisamente rock’n’roll, rappresentando un episodio a parte nell’ album: Stipe snocciola versi velocissimi, quasi incomprensibili, che in realtà mascherano un’invettiva politica dai toni accesi ed accorati contro le presidenze americane di Reagan e Bush.
Star me kitten” è invece, in antitesi, un tranquillo momento di pace, un’oasi sonora in cui tutti i sensi sembrano per un attimo placarsi. Qui una dolce chitarra di sottofondo accompagna versi magici e sospesi, con sottili ricami jazzistici, preparando all’ ascolto del trittico finale.
Segue “Man on the moon”, canzone che celebra il ricordo del comico anni 60′ Andy Kaufman. Anch’ egli aveva avuto in vita una sorte tragica e da incompreso, nonostante lo humour e l’ ironia dei suoi personaggi. Verrà riscoperto, proprio grazie ai R.E.M. fino al film in suo omaggio diretto da Milos Forman.
Il testo è una sorta di dialogo surreale con lo sfortunato protagonista, accompagnato da un incedere ritmico vibrante, ammiccante e pop ma calibrato con classe dai R.E.M., con Stipe che nel cantato omaggia Elvis Presley e un’impennata chitarristica di Buck a conferire un tocco di epicità.
Nightswimming” è una dolce e soffusa ballata pianistica che incanta, un piccolo capolavoro di semplicità ed emozioni.
Il breve stacco iniziale prepara l’ingresso di un pianoforte che recita da protagonista, splendido ed evocativo come le luci della luna richiamate nel testo. L’ atmosfera è intrisa di nostalgia e di memorie del passato, di un’adolescenza vissuta attraverso nuotate notturne, foto antiche poggiate sul cruscotto e sfuggenti incontri amorosi, poi perduta irrimediabilmente.
Find the river” conclude l’album, introdotta da pochi, toccanti accordi di chitarra. La voce di Stipe irrompe con versi poetici e leggeri, armoniosi e compatti.
Tutto è rallentato, eppure gradevole e autenticamente sentito da parte dei quattro R.E.M., che firmano un’altra perla piena di intensità. La ricerca del fiume rispecchia ancora la metafora esistenziale della ricerca di se stessi e della propria via.
Il dolce pianoforte in sottofondo, un coro e una fisarmonica nel ritornello accompagnano i momenti migliori di questa gemma, fino alla sua conclusione lenta e inesorabile, come il percorso del fiume che finisce nell’ oceano.
Piero Corigliano

martedì 10 ottobre 2017

PIERO CORIGLIANO: "NIRVANA"

Cari amici del Blog,
ho il piacere di ospitare un "pezzo" di Piero Corigliano sui Nirvana, storico gruppo rock statunitense. Corigliano con il suo intervento innova questo spazio culturale con sonorità musicali grunge.
Buona lettura!
Fabrizio Giulimondi  

Dettagli prodotto
Sono le prime note di questo disco a farci capire immediatamente cosa ci aspetta: il leggendario intro di “Smells like teen spirit” ci proietta in una dimensione particolare e parallela, fatta di rabbia, caos, violenza sonora, sofferenza, atroce dolore. 
Sono i Nirvana, misconosciuta band dell’indie rock americano con alle spalle un solo disco, “Bleach”, pubblicato appena due anni prima.  Le aspettative per il secondo disco da parte della nuova casa discografica (Geffen) non sono poi così alte, ma il successo che arriverà sarà clamoroso, proiettando il gruppo in una dimensione internazionale incredibile e inaspettata. 
E’ “Smells like teen spirit, interamente composta dal leader Kurt Cobain, il brano che cambierà la loro carriera e segnerà una parte della storia del rock alternativo anni ‘90. Dopo l'intro di chitarra è la batteria di Grohl, con le sue rullate sontuose e potentissime, a sorreggere la struttura portante della canzone. Seguono delle strofe lente e melodiche, cantate con trasporto e profondità e alternate al rabbioso e veloce ritornello, diretto come un pugno nello stomaco, e poi l’assolo, e che assolo: suonato in modo semplice e con il cuore. La voce di Cobain è potente e disperata, potente quanto basta per catturare l'atmosfera del brano e disperata quanto basta per catturare il seguito di milioni di adolescenti, che elevano la canzone a inno generazionale.  
Segue ‘In bloom’, con il suo attacco bruciante di chitarra e batteria e un testo ambiguo e a tratti indecifrabile, espressione del disagio esistenziale che provava Kurt Cobain (“Sell the kids for food, weather changes mood”). Non è possibile arrivare ai livelli del brano precedente, ma il pezzo è orecchiabile e funziona con i suoi cambi di ritmo ed il suo effetto, in qualche modo, spiazzante.
Come as you are” parte con una linea di basso che entra nella leggenda, è una canzone che vede gli strumenti accordati di mezzo tono sotto (mania di Cobain) e funziona benissimo, con un che di straniante e psichedelico che si aggiunge al sentimento di rabbia espresso da Cobain; il testo è ricco di riferimenti ai suoi disagi nei rapporti interpersonali. Mi ha sempre colpito molto la bellezza e l’espressività della frase: "Take your time, hurry up. The choice is yours, don' t be late".
'Breed' è un hard- rock veloce e potente, dove il suono di chitarra si fa più grezzo; la velocità della canzone, che verrà suonata spesso dal vivo, è davvero coinvolgente. 
'Lithium' è un funky-pop che piacque molto ai fan più giovani dei Nirvana. Pezzo veloce e scanzonato, con riferimenti alle droghe, con un ritornello orecchiabile e innovativo.
Ma stiamo parlando di un album che è un masterpiece, e le belle canzoni non finiscono certamente qui: 'Polly' arriva in netta antitesi rispetto ai brani precedenti, con le sue atmosfere acustiche, assenza di batteria e la voce di Cobain più soffice e leggera a declamarne il testo, che è una denuncia: si tratta della vicenda vera di una ragazza, rapita e stuprata da più persone.
'Territorial pissings' accelera di nuovo i ritmi, rappresentando una travolgente esplosione punk; personalmente non la amo molto, ma è comunque una botta di energia.
Energia quasi 'fisica' che si trova anche nelle due tracce successive: 'Drain you' e 'Lounge act' sono un concentrato di chitarre ruggenti e basso in grande evidenza, con ritmi veloci eppure sempre “filtrati” dalla voce rabbiosa di Cobain, dotata di un grande impatto emotivo.
'Stay away' è un pezzo che i Nirvana non suonarono mai dal vivo, eppure ancora ricco di energia e molto ben supportato dalla batteria di Dave Grohl.
La successiva 'On a plain' recupera i Nirvana più melodici, quelli che vedremo protagonisti nel celebre “Unpluggedin New York, mentre 'Something in the way' è lenta, soffusa e ricca di pathos, dolente nei suoi riferimenti al passato difficile di Cobain e catartica nel suo lento incedere verso la conclusione del disco, che arriva poi realmente con la Ghost track 'Endless name' dominata da imponenti distorsioni chitarristiche e feroci urla.
Si tratta di un disco epocale, generazionale, in cui si fondono l'aspetto prettamente musicale e i suoi significati culturali più profondi, visto che aprì le porte del successo commerciale a una serie importante e numerosa di band alternative.
"Nevermind" genera ancora oggi delle emozioni importanti, a più di venticinque anni dalla sua uscita discografica. 

Piero Corigliano