Venerdì
13 novembre 2015 Parigi è stata teatro di un massacro ad opera della mano islamista.
La
sala da concerti Bataclan, lo stadio di calcio e alcuni bistrot sono stati
presi da assalto dall’odio terrorista musulmano che ha portato all’omicidio di
130 persone colpevoli di essere occidentali: 130 morti, un suicida per grave
stato depressivo e centinaia di feriti nel corpo e nell’anima.
Emmanuel Carrère in “V13. Cronaca giudiziaria” (Adelphi) “dal 2 settembre
2021 al 7 luglio 2022, ha raccontato nei dettagli per i lettori dell’’Obs la
brutta storia, piena di lacrime e sangue, di quel maledetto 13 novembre 2015”.
Dal 2
novembre 2021 al 7 luglio 2022 si è svolto il processo ai fiancheggiatori e
favoreggiatori degli stragisti, morti dopo essersi fatti saltare in aria. L’Occidente
ama la vita, costoro la morte, propria e altrui.
Il
processo di “V13” non è più soltanto
la sede nella quale si amministra la giustizia ma un rito collettivo di
metabolizzazione del dolore che perde, così, i suoi connotati individuali per
elevarsi a interiorizzazione della tragedia vissuta, mutando da orrore solipsico
a riconoscimento del proprio dolore per mezzo della sofferenza dell’altro, così
diversa e così eguale. L’angoscia altrui comprende anche il proprio dramma che,
acquisendo una forma comunitaria, assume una nuova qualificazione, una nuova
struttura, una diversa dimensione. È proprio la dimensione della terribile
afflizione provata a modificarsi elevandosi da percezione individuale a ultra-individuale:
“Ci hanno dato un luogo, e del tempo, tutto
il tempo necessario per fare qualcosa del dolore. Trasformarlo, metabolizzarlo.
E ha funzionato. Questo è quello che è successo. Siamo partiti, abbiamo fatto
questa lunga, lunga traversata, e adesso la nave entra in porto. Scendiamo a
terra”.
Il lutto
necessita sempre di una elaborazione per non cadere nella disperazione, o,
peggio ancora, nella autoeliminazione fisica, psichica o morale. Se il lutto
coinvolge centinaia di persone allora abbisogna di un lavoro interiore di gruppo
accompagnato da una cerimonia formale collettiva: il processo.
Il
processo raccontato minuziosamente con grande partecipazione emotiva dall’Autore
non è solo una concatenazione di formule, atti e comportamenti aventi valore
giuridico, bensì, e soprattutto, un procedimento umano che dall’interno degli
animi, delle menti e dei cuori dei protagonisti del Bataclan viene proiettato
all’esterno e reso visibile ed intellegibile a tutti, a partire dalle stesse
vittime.
Letteratura,
psichiatria, cronaca e taqiyya si
interconnettono a tale punto da divenire una rete inestricabile.
Fabrizio Giulimondi