Si può recensire un’emozione?
Si
possono recensire sentimenti che si affastellano alla rinfusa senza poterli più
governare, né controllare, né porvi freni o rimedi?
“La leggenda di Fiore” di Marcello Veneziani (Marsilio) è la valle dove confluiscono i
tanti lavori di Veneziani che, a mo’ di fiumi carsici, trasudano dalla terra al
ridosso della vallata per riempirla con una intramontabile bellezza dalle
sembianze di un lungo racconto. Una narrazione per simboli e metafore che assumono
la forma di parole che, imbarcazioni immaginarie, trasportano pensieri resi visibili
dal linguaggio della poesia e della prosa: la poesia sfuma in prosa e, solitarie
compagne di viaggio, si confondono nell’idioma filosofico occhieggiante la
teologia. “La leggenda di Fiore” è una
creatura mitologica, autobiografica nella intimità, alchemica nell’approccio,
mistica e misterica nel contenuto, contemplativa, eremitica, sciamanica e
melodiosa, onirica e favolistica nell’orizzonte. L’Autore verga un viaggio geo-religioso
in cui non lo spazio ed il tempo, ma la spiritualità e l’”Altrove” guidano Fiore.
Veneziani è il cantore della profondità
e della ricerca, degli interrogativi che costituiscono la vera trama del romanzo
come nodi di un tappeto persiano, pressanti e incessanti, vividi come il rosso
acceso che tinge i petali dei gladioli, pugni diretti allo stomaco, richiamanti
altri interrogativi e altri ancora, florilegio di bozzetti che non si
trasformeranno mai in pittura essendo essi stessi, nella loro finitezza,
minuscole opere d’arte.
“La leggenda di Fiore” è una storia di
Maestri e figli e di padri e discepoli, fra Gibran e Tolkien, dove fiere
dantesche accompagnano Fiore, novello Ulisse, Marco Polo dei giorni nostri, mentre
ingaggia un viaggio metafisico fra Occidente e Oriente che si incrociano, al
termine, nella Terra di Mezzo, luogo nel quale Est e Ovest si sciolgono e si
fondono.
Un
lungo dolce addio dal quale la morte sboccia dopo la vita come un fiore muta in
frutto, ben consapevole Fiore che la morte non è il futuro ma solo il passato, ergendosi
dinnanzi a sé, maestosa, luminescente, un’altra vita.
“Viaggiava da Oriente a Occidente, sempre nel
Sud, come a tracciare una geografia dello spirito sottratta agli eventi, alle guerre,
agli imperi, agli stati; dove i luoghi non erano schiavi dei tempi, agli angoli
estremi del pianeta, dove era possibile conoscere la verità nuda e indifesa
delle cose.”.
Fabrizio Giulimondi