“Il
momento mitico è per definizione pre-storico, limitare: non appena lo s’intravede
o lo si sfiora, quel tanto di esso che è scorto o toccato è già calato nella
storia, nella vita umana, e qui vive non più miticamente, bensì come volizione,
come fantasia poetica, come pensiero, secondo le leggi della realtà.”.
La produzione
saggistica del filosofo Marcello Veneziani non cessa di fuoriuscire dai
confini dell’ordinario e di liberarci dalla coltre asfissiante che, come una
cappa, limita ogni giorno la nostra visione mentale. L’ultima opera, “Cesare
Pavese il mito” (Vallecchi), a cura di Marcello Veneziani,
detronizza il grande letterato ed intellettuale piemontese dallo scranno
ideologico nel quale l’intellighenzia comunista, e poi progressista, lo ha intabarrato,
per liberarlo dalle superfetazioni ideologiche e dalle incrostazioni politico-partitiche.
Esiste
una bibliografia di Cesare Pavese che gravita nell’orbita dell’irrazionale,
dell’epico e del mito, ben lontana dal racconto ufficiale portato avanti dai cantori
della cultura marxista, come Italo Calvino. In “Cesare Pavese il mito” lo
storicismo materialista cede il passo a marcate venature spirituali e metafisiche,
eroiche e nietzschiane.
Pavese
è stato quello raccontato dagli epigoni della Sinistra letteraria e militante,
ma anche quello che Veneziani riporta in questo saggio imperlato di erudizione
e pensiero sommo: la letteratura italiana abbraccia quella europea e nordamericana,
allungando il proprio sguardo sulla
tragedia e commedia ellenica, fra teatro dell’antichità e neorealismo cinematografico
italico degli anni ’40.
Preparatevi:
vi immergerete senza bombole d’ossigeno nel più nobile ed elevato cantico allo
spirito, nel quale ogni scienza, arte e disciplina si uniscono in un amplesso dionisiaco
e incorporeo.
La
ricerca sul Mito - che Veneziani sta compiendo in queste sue ultime fatiche
- permea anche quest’ultimo lavoro, disvelando
ai lettori la metà lunare sconosciuta di Pavese, quella mistica, estatica,
contemplativa e misterica. Di Pavese Veneziani scopre “Il poeta –
creatore di favole – (è) geloso e studioso di questi luccichii aurorali che di
ogni bella favola sono l’avvio e l’alimento. Far poesia significa portare a
evidenza e compiutezza fantastica un germe mitico.”
Il
simbolo astrae la memoria per far vivere il passato nel presente e tramandarlo
nel futuro grazie alla potenza del mito, immortale e, pertanto, capace di togliere
all’umanità la finitudine che la depaupera: “Sensazioni remote che si sono
spogliate, macerandosi a lungo, di ogni materia, e hanno assunto nella memoria
la trasparenza dello spirito.”.