“Il sol dell’avvenire” di e con Nanni Moretti è un lavoro in alcuni
suoi spunti felliniano, divertente e mesto, un amarcord triste, ironico e
fantasioso dei giorni a cavallo fra l’ottobre ed il novembre del 1956, che videro
la rivolta del popolo ungherese contro il proprio governo comunista, rivolta
repressa dai carri armati sovietici con l’avvallo del Partito Comunista Italiano
di Togliatti.
Moretti interpreta se stesso
mentre inizia le riprese di un film proprio su come una sezione romana del P.C.I. al
Quarticciolo ha vissuto quei giorni.
Il
regista, con il suo cast storico (Margherita
Buy, Silvio Orlando), insieme ad altri molti innesti che rendono l’opera
corale, come Barbara Bobulova, Teco Celio, Francesco Brandi e ancora ulteriori,
nel riprendere alcune tematiche già tratteggiate in “Palombella Rossa”, cita
immagini e leit motiv presenti in “Bianca”
(l’attenzione per le scarpe), “Mia madre” (il fortissimo legame con la mamma) e
“Caro diario” (il disprezzo per l’abuso della violenza e del sangue nei film).
Già in
“Ecce Bombo” il direttore – attore inizia il compimento di un cammino di critica
della Sinistra, prima comunista, poi in eterna fase di transizione. Ne “Il sol dell’avvenire” lo sguardo è
sempre più stanco e disincantato, rivolto ad un passato che avrebbe condotto ad
un diverso presente, se – a detta dell’Autore – il Partito Comunista avesse intrapreso
una direzione opposta nel 1956.
Troviamo
di nuovo l’amore per il ballo e la musica, rigorosamente italiana, specie degli
anni ’60, come abbozzato già in “Aprile”.
La
pellicola, indubbiamente gradevole, mostra un Nanni Moretti che, come molti suoi colleghi, dopo anni e anni di
produzione cineastica di ottima qualità estetica e narrativa, palesa una disillusione
per la contemporaneità e uno scetticismo per il futuro, rivolgendo, alla fine, la
propria curiosità solo al passato, magari per rimodellarlo.
Fabrizio Giulimondi