martedì 8 luglio 2025

"TUTTA LA VITA CHE RESTA" di ROBERTA RECCHIA (RIZZOLI)



Sembrava che, nella semincoscienza di quei giorni, la sofferenza le avesse lavorato dentro, instancabile, per scarnificare ogni sentimento. L’aveva uccisa senza che se ne accorgesse. Che nessuno se ne accorgesse. Era quieta, lontana dalle cose della vita.”.

Come si fa a recensire una emozione?

Come?

Roberta Recchia ha messo nero su bianco una lunga, interminabile emozione, che non smette di vibrare nemmeno al termine della lettura di “Tutta la vita che resta” (Rizzoli).

La tragedia di un dolore immenso che dilania le carni e devasta l’anima irradia tutta la narrazione.

Era come nuotare disperatamente verso la terraferma per accorgersi che il fondale si faceva più profondo, mentre la stanchezza annientava le braccia, tagliava le gambe, toglieva il fiato.”.

Uno studio veramente superlativo dell’“interno” dell’essere umano, letteratura, psicologia e psichiatria si intrecciano in maniera indistinta. Ogni personaggio è analizzato in tutti i suoi risvolti intimi più nascosti. Non v’è nulla di irreale, tutto è reale, per questo il lavoro della Recchia toglie il fiato: dietro a ciascuna parola che descrive ogni centimetro fisico e immateriale di Marisa, Stelvio, Ettore, Miriam, Elisabetta, Emma, Leo, Corallina, Letizia, gli stupratori e i tanti altri “caratteri” del romanzo, v’è un accurato studio delle conseguenze di un trauma. Il trauma e le sue terrifiche conseguenze si fanno letteratura. Il dramma è accompagnato dalla “Bellezza Collaterale”.

Si sentì insignificante e inutile davanti alla potenza di un male così, che marca il passaggio tra una vita e un’altra, tra un prima e un dopo, e poi svanisce senza lasciare alcun danno apparente.”.

Una storia complessa, articolata, profonda, densa, illuminata da una umanità che lascia il lettore senza maschera né scudi, un baluginio che lentamente compare e non lascia più sole le esistenze.

Le ambientazioni, l’evocazione della Strage di Bologna e il richiamo nascosto al Massacro del Circeo creano atmosfere subliminali propedeutiche allo tsunami.  

Un racconto senzapelle che denuda, emoziona, commuove.

Che cosa è la Bellezza? Che cosa è la Bellezza Collaterale? Che cosa è l’uomo senza la speranza? Esiste la speranza senza essere abbracciata ad un amore che dà tutto se stesso pur di vedere salvo l’altro?

È un dialogo fra l’Autrice ed il suo pubblico su quel dolore e quella sofferenza che ti strappano il ventre e il cuore, un dolore e una sofferenza tenuti nascosti per anni nella solitudine più cupa, una solitudine chimica “consigliata” da uno psichiatra privo di scrupoli. Nessuno deve sapere. Il buon nome della famiglia. La nonna senza luce negli occhi e gracchiante. Certe cose non devono essere sapute. Una famiglia all’oscuro di tutto ma non per questo meno colpevole. La notte buia come la pece. La belluina ferocia di un branco. La morte fisica e dell’anima.

La rinascita sulla “dimenticanza” perché la speranza e l’amore sono più forti di tutto, più forti del buio come la pece. Eroi possenti e semplici, celati dietro le mura di un negozio di alimentari.

La vita, alla fine, vince sempre.

Si sapevano consolare con la comprensione, il dolore che li accumulava li aveva resi inadeguati a qualsiasi mondo che non fosse il loro.”.

Fabrizio Giulimondi

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