sabato 19 novembre 2022

“SCONTENTI. PERCHÉ NON CI PIACE IL MONDO IN CUI VIVIAMO” di MARCELLO VENEZIANI (MARSILIO NODI)








Scontenti. Perché non ci piace il mondo in cui viviamo” di Marcello Veneziani (Marsilio Nodi) è in qualche modo il secondo tempo di “La cappa”. L’energia cinetica non si era ancora dispersa, non aveva perso di potenza, la bellezza era in moto, in ansia di poter prorompere dalla penna del filosofo pugliese.

Nel tempo dell’apparire, dell’eterna giovinezza e dell’ossessione per l’autodeterminazione dei capricci personali elevati a diritti umani universali, la scontentezza fiorisce come un balsamo venefico fra le pieghe di un “Io” divinizzato.

L’essere umano è in permanente mutazione, esiste e persiste in costante conflitto con la Natura con cui ha ingaggiato una lotta per sostituirla con sempre nuove “non-identità”.

L’essere umano si fabbrica come soggetto mutante, oggetto dei propri desideri volti a plasmarlo sempre in qualche cosa di diverso, in un ansiogeno smarcarsi dalla sua impronta primigenia. La Natura è sostituita dall’ecosistema, l’egocentrismo si trasforma in eco-centrismo.

L’uomo è responsabile di ogni nefandezza e si è messo al bando per essere governato dalle sue vittime: l’Ambiente inclusivo ed animalista.

La scontentezza è ciò che qualifica e aggettiva l’uomo d’oggi o, forse, costituisce il carattere coessenziale della sua natura innata.

Rimanere legati alla propria memoria è uno dei più gravi peccati civili che possa essere compiuto: “Guy Debord notava: «Si sono tolte alle persone tutte le certezze fisse delle quali vivevano e si è anche sottratto e materialmente mutato, nel loro ambito effettivo, tutto ciò che conoscevano e credevano». In questo modo, concludeva, non li hanno resi più liberi; al contrario, sono più schiavi del loro scontento.

Dopo aver coltivato l’alienazione intorno a lui l’uomo si è industriato per alienare se stesso: il corpo gli è dato, gli è disposto, gli è imposto, intollerabile argine alla propria divina libertà. Alienarsi e sradicarsi sono gli ultimi atti per affermare l’”Io” creatore, non succube di nessuno se non delle proprie passioni transitorie, novello Prometeo che ruba il fuoco per donarlo al suo Ego. Dal sistema tolemaico si è passati a quello copernicano per approdare al modello “selficentrico”: l’essere umano gira intorno a se stesso in un vortice asfittico di scontentezza, moderna accidia libera da ogni insopportabile lacciolo morale, etico e religioso.

Il desiderio si costruisce come soggetto e l’individuo ne è l’oggetto. Il desiderio si sostituisce a Dio, agli Dei e al Mito, rompe gli argini e si fa norma indiscussa, incontrovertibile e incontrastabile. Nel desiderio dover essere ed essere coincidono.

Veneziani a questo punto palesa la sua blasfemia: “L’uomo non è il signore dell’universo, la nostra vita non è assoluta e perenne; riduciamo le pretese e i desideri, recuperiamo il senso del limite, accettiamo il destino con amor fati.”.

Il transitorio rimuove le radici e rende la persona fluttuante e priva di orizzonte. Riscoprire il senso dell’Assoluto e dell’Eterno, del Tempo e dello Spazio, di noi come figli non di una incolore ripetitività ma discendenti di  quella Umanità che ha fecondato un futuro fatto di scoperte e meraviglie, e non solo infarcito di catastrofi e tragedie. La paura priva l’uomo del suo domani, rendendolo piccolo dinanzi alle sfide che lo attendono, “in sintonia con fonti a noi superiori e meno transitorie di noi; la tradizione, la trascendenza, la comunità, i legami, l’amore.”.

Fabrizio Giulimondi

 

 

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