“American Sniper”,
insieme a The imitation game,
arricchisce quella parte della galassia
cinematografica che si sta avvicinando al
prossimo 22 febbraio (The Oscar nignt)
con animo fiducioso, avendo buone possibilità di prendere il prestigioso Premio
in qualcuno degli innumerevoli settori filmistici.
Clint Eastwood ci
regala un altro straordinario film della sua luminosa e corposa carriera di
regista, un film di guerra come non se ne vedevano dai tempi del filone sul
Vietnam, intriso di American pride e
di amore per la propria Patria.
La
storia si basa sull’autobiografia ("American sniper", Mondadori) di Chris Kyle (interpretato da Bradley Cooper), il migliore dei componenti dei
Seal, il gruppo di cecchini che in
Iraq, durante e successivamente alla
seconda guerra del Golfo (iniziata nel marzo 2003 e terminata nel dicembre del
2011), protesse i marines nelle azioni belliche contro i terroristi alqaidisti,
nella ricerca Al-Zarqawi (il referente di Al Qa’ida in Iraq) e del macellaio,
che amava torturare ed uccidere con un trapano elettrico anche solo chi osava
parlare con i soldati americani.
Chris Kyle
La
filmografia statunitense sul conflitti armati occupa intere monografie e American sniper si ascrive a pieno
titolo in questo genere, riprendendone alcuni temi come gli addestramenti ultra
massacranti delle reclute (di cui Soldato
Jane ne è la stella polare), la ferocia dei combattimenti già efficacemente
descritti nelle scene iniziali de Salvate
il soldato Ryan di Spielberg, il fascino nell’orrore di una battaglia
immersa in una tempesta di sabbia, simile agli innumerevoli scontri armati
immortalati negli indimenticabili Il
Cacciatore, Platoon, Apocalypse now e Full
metal jacket.
E il
the end, vero, come la vita di Chris
Kyle, un’ eroe americano, vero come le esistenze di tanti reduci americani,
vero come la loro drammatica conclusione.
Fabrizio Giulimondi
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