“Wonder” di Stephen Chbosky - adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di
R.J.Palacio del 2012 - è un film gradevole
sui buoni sentimenti che non scende mai in una noiosa e trita banalità, forse
per la bravura dei grandi attori e attrici che vi recitano (Julia Roberts, Owen Wilson, Izabela Vidovic
e il promettentissimo ragazzino Jacob
Tremblay, nei panni del protagonista dal viso nato deturpato ed operato ben
ventisette volte Auggie Pullman).
La
pellicola richiama, sin dalle prime battute, lavori come Dietro la maschera di Peter
Bogdanovich e The elephant man di
David Lynch, di ben più drammatica
portata.
Si alterna
fra l’endemico e crudele fenomeno statunitense del bullismo e interessanti
momenti di descrizioni caratteriali ed analisi dei problemi conseguenti alla
presenza di un familiare “problematico”, per ragioni fisiche (come in questo
caso) o mentali. La sorella di Auggie, Via Pullman – in realtà sua co-protagonista
-, interpretata da Izabela Vidovic, è
una “sorella unica”, perché ha dovuto costruirsi un percorso tutto da sola per
non aggravare il “fardello” dei genitori, completamente presi dal figlio,
specialmente la madre (Julia Roberts )
la cui attenzione è concentrata unicamente sul figlio, dopo aver abbandonato aspirazioni
(fondate) artistiche: Auggie è il sole e il padre (Owen Wilson), la madre e la sorella costituiscono il sistema dei
pianeti che introno a lui girano.
Il
film è un segnale di rinascita in quanto sarà la scuola (la prima media) che,
da tormento per il bambino, diverrà momento di liberazione, grazie alla “forza
silenziosa” di Auggie.
La
liberazione è interiore ma non potrà non passare attraverso la fuga dalla prigione
che il bambino si è costruito addosso, ponendosi un casco da astronauta
perennemente sul capo.
Le
pennellate immaginifiche ed oniriche forniscono un tocco di delicatezza
sorniona alla visone di “Wonder”,
che risulta godibile nel mandare esplicitamente un messaggio che in questi
tempi non è facile a trovarsi: la famiglia è importante e aiuta i suoi
componenti ad uscire da difficoltà anche di grande densità e pesantezza.
Una standing ovation spetta a tutti, almeno
una volta nella vita.
Fabrizio Giulimondi
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