Film
bello quanto duro e spietato, “Non
essere cattivo”(candidato per l'Italia agli Oscar 2016 come "miglior film straniero") del compianto regista underground
Claudio Calipari, cala la platea fra
esseri “subumani” che sguazzano fra “non luoghi”, tra “non spazi” delle borgate
romane pasoliniane degli anni ‘70, lungo un litorale laziale “sgarrupato”,
sporco e desolato come quello decritto in Una
vita violenta e Ragazzi di vita: al
consumo e allo spaccio di cocaina, eroina e pasticche pare non esservi alcuna alternativa!
Cesare
(interpretato da uno straordinario Luca
Marinelli) - che ha sempre in testa un cappello molto somigliante a quello indossato da uno dei protagonisti di Arancia meccanica di Kubrick - incarna questa assenza di alternative, impersona una disperata
autodistruzione fisica e morale senza appello; Vittorio (il bravissimo Alessandro Borghi) personifica, invece, la
commovente ricerca di “altro”, che non sia deturpato dal tocco funereo di “quella”
periferia.
Ricco
di simbolismo, a tratti grottesco, “Non essere cattivo”
usa la pialla e il cemento e i mattoni e la fatica fisica e il cantiere per raffigurare
plasticamente il tenace sforzo di
Vittorio di voler cambiare, di voler costruire una nuova esistenza, lontana da
crimini e “sballi” allucinatori.
Lo
sprone per questo mutamento sono – come spesso
accade – due donne (la popolare attrice Silvia
D’Amico e Roberta Mattei), anche
se solo una raggiungerà l’intento, perché l’altra è troppo “dentro il sistema”
e troppo marcio il compagno.
La splendida
fotografia (di Maurizio Calvesi) e le suggestive inquadrature si sforzano di
attenuare la costante tensione che, inevitabilmente, lo spettatore proverà per
tutta la durata della proiezione.
Fabrizio Giulimondi
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