Dunkirk è l’anglicismo di
Dunkerque, la località marittima francese teatro fra il 26 maggio e il 3 giugno
1940 del colossale rimpatrio - su ordine
di Churchill - di 335.000 soldati
britannici, sotto i colpi della aeronautica tedesca, a seguito dell’occupazione
del territorio transalpino ad opera della Wehrmacht.
All’inizio
vi furono le lunghe e sconvolgenti scene iniziali dell’opera di Steven
Spielberg “Salvate il soldato Ryan”. Poi, dopo lungo tempo, ecco Dunkirk, del pirotecnico Christopher Nolan, le cui capacità
artistiche e creative le abbiamo già ben conosciute con “Memento”.
Dunkirk possiede delle
particolarità che lo rendono unico dentro il ricchissimo filone cinematografico
bellico: mai si era vista una pellicola che contenesse 106 minuti ininterrotti
di guerra. Realismo puro. Voi vivrete 106 minuti di guerra. Il sonoro (Premio Oscar 2018 come Miglior Montaggio Sonoro, come Miglior Sonoro e miglior Montaggio) e la
colonna sonora (Hans Zimmer) determinano
nell’animo dello spettatore uno stato di permanente tensione che sconfina,
talora, nell’angoscia. Autenticità allo stato brado: i colpi delle
mitragliatrici e le esplosioni delle bombe sembrano che attingano proprio Voi.
Coralità.
Questo film è corale, corale e interpretato da attori che esprimono il dolore,
il terrore, l’entusiasmo e l’attesa più con le espressioni mimiche e corporee
che con la parola. I volti dei soldati, degli ufficiali e dei civili punteggiano
la storia. Forse i veri protagonisti-eroi sono i tanti civili che andarono a
soccorrere oltre Manica i loro militi per trasportarli verso le bianche
costiere di Dover.
Christopher Nolan fa
seguire al suo pubblico l’azione scenica da tre punti prospettici: la terra, il
mare e il cielo.
Ad un
sonoro da Oscar si aggiunge una fotografia (Hoyte
Van Hoytema) da “Statuetta”. Nello scenario maestoso delle spiagge, della
volta e dell’oceano di Dunkerque le battaglie aeree e navali si susseguono
senza tregua, incollando, suggestionando e terrorizzando lo spettatore.
Un
colossal didattico e didascalico che si inserisce nella migliore tradizione
americana dei film “di guerra”.
Fabrizio Giulimondi
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