“Ascolta, ho forse creato io il mondo?
Ovviamente no. Il peccato è peccato, e la debolezza debolezza. Che cosa è
venuto prima il peccato o Gesù? Quasi mi dispiace per il povero vecchio Gesù.
Ma il peccato ha goduto di un bel vantaggio su di lui.”.
Lo
statunitense Don Robertson ha scritto
18 corpulenti romanzi. “Paradise Falls
1. Il paradiso” (Nutrimenti) è uno di questi. Romanzo volumetrico, pagano
nella sua pura essenza protestante, è composto da un reticolato di storie corali
costruite intono a personaggi pulviscolari e, non ha alcuna importanza se essi
siano protagonisti o semplici comparse: l’attenzione descrittiva dei loro corpi
e delle loro anime possiede la medesima forza attrattiva, volti e intelletti
dove primeggia la bassezza etica incartata in un sacchetto di
quasi ilare ipocrisia. Le parole sono ben piantate nella terra narrativa e l’aggettivazione
abbondante e affabulante ne costituisce il concime fecondo. Le grandi idee e i
maestosi principi danno solo l’orticaria alle donne e agli uomini di Don Robertson, donne e uomini avvinti
unicamente alla “mortalità” e alla “possibilità”.
Charley
e la sua brutta copia Phil sono gli anti-eroi immersi nella oscurità, come originati
da un sequel del romanzo di Oscar Wilde “Il ritratto di Dora Gray”, ambientato,
però, nella Guerra civile americana del 1861-1865.
Una moltitudine
in apparenza disordinata di nomi anonimi è tutta legata da un medesimo destino privo
di Cielo e tutto penetrato nella materia che domina e dirige ogni azione.
Non si
può invocare Dio per sublimare ogni miseria umana. Non v’è Spirito, solo denaro,
solo bramosia di potere, soltanto desiderio di sopraffare e vendicarsi: tanti
Hobbes in tenuta da contadino o minatore o “padrone”.
L’Autore
incanta il lettore al quale sembra di partecipare a feste descritte con dovizia
di particolari e di sentire l’odore acre del fiato impregnato di whisky dei giocatori
intenti in una partita di poker all’ultimo bigliettone, o di partecipare delle
doglie delle partorienti.
Le descrizioni
del mondo in cui si imbatte ogni giorno ciascun essere umano costituisce la
lunga concatenazione di vertebre su cui si regge il corpo del racconto.
Sembra
di stare dentro una stanza con la luce sempre accesa ma poco intensa anche
quando ci si muove in spazi ampli e primaverili, e il profumo del fieno
dovrebbe, invece, colpire con la sua fragranza acuta il lettore. L’oscurità è l’unico
vero attore principale e indiscusso della storia e rivaleggia con la luce finché
non la sconfigge in modo beffardo: “Disprezzava
gli istinti, le passioni; preferiva restare solenne, inflessibile, fermo in ascolto
del suono della oscurità.”.
Fabrizio Giulimondi
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