venerdì 8 maggio 2020

"PARADISE FALLS 1. IL PARADISO" di DON ROBERTSON


Ascolta, ho forse creato io il mondo? Ovviamente no. Il peccato è peccato, e la debolezza debolezza. Che cosa è venuto prima il peccato o Gesù? Quasi mi dispiace per il povero vecchio Gesù. Ma il peccato ha goduto di un bel vantaggio su di lui.”.
Lo statunitense Don Robertson ha scritto 18 corpulenti romanzi. “Paradise Falls 1. Il paradiso” (Nutrimenti) è uno di questi. Romanzo volumetrico, pagano nella sua pura essenza protestante, è composto da un reticolato di storie corali costruite intono a personaggi pulviscolari e, non ha alcuna importanza se essi siano protagonisti o semplici comparse: l’attenzione descrittiva dei loro corpi e delle loro anime possiede la medesima forza attrattiva, volti e intelletti dove primeggia   la bassezza etica incartata in un sacchetto di quasi ilare ipocrisia. Le parole sono ben piantate nella terra narrativa e l’aggettivazione abbondante e affabulante ne costituisce il concime fecondo. Le grandi idee e i maestosi principi danno solo l’orticaria alle donne e agli uomini di Don Robertson, donne e uomini avvinti unicamente alla “mortalità” e alla “possibilità”.
Charley e la sua brutta copia Phil sono gli anti-eroi immersi nella oscurità, come originati da un sequel del romanzo di Oscar Wilde “Il ritratto di Dora Gray”, ambientato, però, nella Guerra civile americana del 1861-1865.
Una moltitudine in apparenza disordinata di nomi anonimi è tutta legata da un medesimo destino privo di Cielo e tutto penetrato nella materia che domina e dirige ogni azione.
Non si può invocare Dio per sublimare ogni miseria umana. Non v’è Spirito, solo denaro, solo bramosia di potere, soltanto desiderio di sopraffare e vendicarsi: tanti Hobbes in tenuta da contadino o minatore o “padrone”.
L’Autore incanta il lettore al quale sembra di partecipare a feste descritte con dovizia di particolari e di sentire l’odore acre del fiato impregnato di whisky dei giocatori intenti in una partita di poker all’ultimo bigliettone, o di partecipare delle doglie delle partorienti.
Le descrizioni del mondo in cui si imbatte ogni giorno ciascun essere umano costituisce la lunga concatenazione di vertebre su cui si regge il corpo del racconto.
Sembra di stare dentro una stanza con la luce sempre accesa ma poco intensa anche quando ci si muove in spazi ampli e primaverili, e il profumo del fieno dovrebbe, invece, colpire con la sua fragranza acuta il lettore. L’oscurità è l’unico vero attore principale e indiscusso della storia e rivaleggia con la luce finché non la sconfigge in modo beffardo: “Disprezzava gli istinti, le passioni; preferiva restare solenne, inflessibile, fermo in ascolto del suono della oscurità.”.
Fabrizio Giulimondi

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