La
letteratura americana è fitta come le nuvole che si addensano sulle cime delle
Montagne Rocciose e possiede uno stile morbido, cremoso, interrotto da guizzi subitanei
di vivacità ed estro impregnato di eccitazione e brio, per esplodere sul
finire, al pari di un tempo musicale prima andante, poi vivace e, infine,
allegrissimo.
L’“Ultima corriera per la saggezza” di Ivan Doig (Nutrimenti) si ascrive nella grande ars scribendi statunitense che ho più volte avuto il piacere e l’onore
di recensire.
Lo
spirito di Manitou innerva il racconto tra wisdom
con la “w” minuscola e Wisdom con
la “W” maiuscola e il titolo del libro è preambolo e prologo, annuncio e accenno,
presagio e significato, gioco di parole in cui wisdom è la città del Montana ma anche saggezza, geografia e
metafora, ricerca, cammino e meta. Sartre avrebbe detto che come Florence è una città incantevole ma anche
una donna da lui molto amata, Wisdom (wisdom)
non solo è un luogo prima di transito e poi di vita, ma è anche saggezza
cercata e anelata dai protagonisti. L’umanità dimora a Wisdom e sulla corriera,
spazio angusto di incontro e dialogo, conoscenza e inganno. La menzogna –
attenzione! - è solo un modo di
sradicare la vita dalla miseria quotidiana, una miseria che non è null’altro
che nobiltà d’animo che cerca un codice comunicativo per emergere e farsi
riconoscere dagli altri.
Herman
e Donny, il vecchio e il fanciullo, individui che per essere migliori devono
essere in due; due in uno, uno che si sviluppa in due, individualità che si sommano
per essere ciò che sono: “Dunque voi due
insieme sareste più che voi due da soli”.
È un
viaggio che prende le sembianze di un romanzo on the road, perché scrivere e viaggiare sono due facce dello
stesso spirito vitale.
È una
traversata lungo Stati, ranch, powwow, immensi spazi, nuovi orizzonti,
visioni mai immaginate, per dirigersi “da
qualche parte sotto la luna e sopra l’inferno”.
È un
viaggio ma non come quello che gli hobo
compiono seguendo i raccolti: Herman e Donny seguono l’intuizione, lo shining dell’anima, il Fingerspitzengefühl.
Doig parla di una avventura che come tutte le avventure fa
diventare altro i protagonisti o, semplicemente, fa capire a loro stessi chi
essi siano veramente.
Un quasi dodicenne, un clandestino di origine tedesca, una
obesa cretina e un branco di sciamannati, le cui storie sono unite dal fil rouge del sentore pungente e
gradevole di fieno bagnato.
Le descrizioni bucoliche fanno da scenografia all’azione del cuore
contro la coscienza, cuore e coscienza che non potranno che abbracciarsi sul
finale, in una esplosione narrativa simile alla birra schiumante quando viene
versata di getto nel boccale.
Fabrizio Giulimondi
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