sabato 23 maggio 2020

"L'ULTIMA CORRIERA PER LA SAGGEZZA" di IVAN DOIG (NUTRIMENTI)



La letteratura americana è fitta come le nuvole che si addensano sulle cime delle Montagne Rocciose e possiede uno stile morbido, cremoso, interrotto da guizzi subitanei di vivacità ed estro impregnato di eccitazione e brio, per esplodere sul finire, al pari di un tempo musicale prima andante, poi vivace e, infine, allegrissimo.
L’“Ultima corriera per la saggezza” di Ivan Doig (Nutrimenti) si ascrive nella grande ars scribendi statunitense che ho più volte avuto il piacere e l’onore di recensire.
Lo spirito di Manitou innerva il racconto tra wisdom con la “w” minuscola e Wisdom con la “W” maiuscola e il titolo del libro è preambolo e prologo, annuncio e accenno, presagio e significato, gioco di parole in cui wisdom è la città del Montana ma anche saggezza, geografia e metafora, ricerca, cammino e meta. Sartre avrebbe detto che come Florence è una città incantevole ma anche una donna da lui molto amata, Wisdom (wisdom) non solo è un luogo prima di transito e poi di vita, ma è anche saggezza cercata e anelata dai protagonisti. L’umanità dimora a Wisdom e sulla corriera, spazio angusto di incontro e dialogo, conoscenza e inganno. La menzogna – attenzione! -  è solo un modo di sradicare la vita dalla miseria quotidiana, una miseria che non è null’altro che nobiltà d’animo che cerca un codice comunicativo per emergere e farsi riconoscere dagli altri.
Herman e Donny, il vecchio e il fanciullo, individui che per essere migliori devono essere in due; due in uno, uno che si sviluppa in due, individualità che si sommano per essere ciò che sono: “Dunque voi due insieme sareste più che voi due da soli”.
È un viaggio che prende le sembianze di un romanzo on the road, perché scrivere e viaggiare sono due facce dello stesso spirito vitale.
È una traversata lungo Stati, ranch, powwow, immensi spazi, nuovi orizzonti, visioni mai immaginate, per dirigersi “da qualche parte sotto la luna e sopra l’inferno”.
È un viaggio ma non come quello che gli hobo compiono seguendo i raccolti: Herman e Donny seguono l’intuizione, lo shining dell’anima, il Fingerspitzengefühl.
Doig parla di una avventura che come tutte le avventure fa diventare altro i protagonisti o, semplicemente, fa capire a loro stessi chi essi siano veramente.
Un quasi dodicenne, un clandestino di origine tedesca, una obesa cretina e un branco di sciamannati, le cui storie sono unite dal fil rouge del sentore pungente e gradevole di fieno bagnato.
Le descrizioni bucoliche fanno da scenografia all’azione del cuore contro la coscienza, cuore e coscienza che non potranno che abbracciarsi sul finale, in una esplosione narrativa simile alla birra schiumante quando viene versata di getto nel boccale.

Fabrizio Giulimondi

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