“Saggio sulla lucidità” del Premio Nobel
per la Letteratura José Saramago (Universale Economica Feltrinelli) è un
calcio nel sedere nella più brutale realtà, resa fintamente fantascientifica:
sono passati nove anni da “Cecità” (del 1995, mentre “Saggio sulla lucidità” è stato pubblicato nel 2004) e quattro dalle
vicende raccontate in “Cecità”.
Bianco
continua ad essere il colore dominante: bianco come la tinta perennemente vista
dagli improvvisi e inspiegabili ciechi di massa in “Cecità” e bianca come la
scheda riposta nell’urna dall’83 per cento della popolazione della Capitale.
Questa
votazione fa saltare il sistema e impazzire il Potere.
Il
colpevole di quella che è ritenuta una preordinata sommossa contro la democrazia
deve essere trovato costi quel che costi, ed è qui che si palesa l’anello di
congiunzione con l’opera precedente.
Questo
tipo di letteratura sarebbe stata ascrivibile, prima dell’avvento del Covid, a
quella distopica che vede capofila Orwell e Huxley, oppure a quella realistica
e magica alla Murakami e Márquez, ma letta oggi diviene neorealista.
La
lettura conduce a provare un fastidioso brivido nell’inconscio: è fantasia o
potrò accadere sul serio o, peggio, sta già capitando?
La
caratteristica estetica della tecnica grafica è sempre la medesima: lo scritto
è compatto, senza soluzione di continuità, e le virgole seguite dalle maiuscole
indicano l’inizio di una affermazione, di un discorso e di un dialogo; i punti
interrompono la conseguenzialità ossessiva delle descrizioni delle interlocuzioni
o degli accadimenti, determinando uno stato inizialmente inavvertito di
disagio. Il lettore ha pochi secondi per recuperare il fiato, pochi secondi per
attingere ossigeno dall’esterno: i pensieri sono pericolosi, come le idee e le
parole, e vanno repressi, imprigionati, vietati, ma, attenzione, non in modo
esplicito, ufficiale.
“Lo faceva concentrato per tenere i pensieri
a distanza, per farli entrare a uno a uno, dopo aver loro domandato cosa
portavano, il fatto è che coi pensieri non c’è prudenza che basti, alcuni ci si
presentano con un’arietta di ingenuità ipocrita e subito dopo, ma troppo tardi,
manifestano quanto sono malvagi”.
Fabrizio Giulimondi
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